Flaminia Cruciani

Flaminia Cruciani (Italia) - ita/espa

foto di Dino Ignani

 
 

Callábamos en la misma lengua / Tacevamo nella stessa lingua è – spiega Flaminia Cruciani “un’antologia che raccoglie una selezione di mie poesie, pubblicata a Granada a febbraio 2020 da Javier Bozalongo per Sonámbulos Ediciones. La prima parte contiene inediti in Italia, o testi che sono stati pubblicati in antologie, ma non nel nuovo libro che è ancora in corso d’opera. La prima sezione di inediti arriva fino a pagina 58 e contiene alcuni testi a cui sono molto legata come ‘Metapoesia’ (una poesia sulla poesia), ‘Quando mi abitarono i viventi’ e anche ‘Lo chiamano tempo’, poesie che ho letto al Festival internazionale di poesia di Medellín nel 2018 quando sono stata invitata. Da pagina 58 a 111 sono poesie tratte dal mio libro Semiotica del male, pubblicato da Campanotto nel 2016. mentre le ultime dopo pagina 111 sono da Piano di evacuazione, Samuele Editore 2017, un libro a cui sono molto legata e che rappresenta un po’ la mia autodafé”.

Nel libro, anche bellissime poesie, scelte per dare un’idea di chi è Flaminia Cruciani agli spagnoli.

Pierangela Rossi

 
 
 
 

Quando mi abitarono i viventi
 
Quando mi abitarono i viventi
nelle doglie di Dio
e un coro di semi nella culla minerale
filava la mia pelle di tempo luce
quando mandrie di alberi mi correvano dentro
e l’alfiere sellava il fuoco indomabile
del mo regno smisurato,
nei solchi del mio corpo
un santo rincasava la bestia
sorridendo nella mia bocca.
Da quale litigio d’angeli
è parlata la mia voce levigata?
Quale funambolo sta in equilibrio
sul mio cordone ombelicale?
Chi è in pellegrinaggio nel mio passo?
Un esercito appicca visioni spiritate nell’ippocampo
e un naufrago sulle rive della mia assenza
sta sognando la mia vita adesso.
Ci incontriamo talvolta io e il guardiano della mia vigna
quando ara più gioia di quella che possa contenere,
mentre un centauro con l’arco di marmo
tira al bersaglio con il mio cuore.
A volte le mie mani sono zampe che
artigliano gli infiniti e
una delle cento respira la mia clessidra
e scrive le litanie dell’acqua,
mani vedove in me scavano volti e seppelliscono idoli
fino a quando le leggi intere avvolgeranno
le conifere della memoria
e tutte le mie creature corpo a corpo
precipiteranno in una, sbucciando il buio.
In un’unica somiglianza disarmerò il destino
sarò spoglia, costola di verbo,
vertebra di saliva, muscolo di vento.
Non mi basterà l’eternità per capire chi,
assassini o sirene, corsari o beati hanno
cantato, vissuto, ballato e
amato al mio posto,
nel mio petto maiuscolo,
quando mi chiamavano viva
mentre io continuavo a morire.
 
 
 
 
 
 
 1
Metapoesia
 
Stasera il sole non riesce a tramontare
È come un cappio di grano appeso agli occhi
ti tocco la schiena e t’inarchi
come un petalo al vento del mare
gli occhi calpestano l’infinito davanti.
Ti parlo come si dice un segreto
della mia fiamma a fiato in cui cerco la poesia
nascosta nella sua cripta di veli
delle mie mani stanche al lavoro
coraggiose e colme di parole ribelli
con cui estraggo il fuoco ogni giorno
di pensieri che crocifiggono e guardano verso l’alto.
Mi guardi e i tuoi occhi cambiano voce
mentre ci copriamo con il cappotto, vorresti consolarmi.
Ti racconto delle emozioni orfane
quando vogliono restare in versi
come offerte ostinate al tempio
di tentazioni che non danno anima né tregua
che portano all’inferno e
che non cifre, né figli, né case.
Ti parlo di sogni mescolati a diluvi
che vorrei fissare e fermare
di quando le parole non si aprono ancora
e sono vicoli bui, viaggi di sola andata
e a volte patti di bellezza definitivi
codici aperti di nuove resurrezioni
quando dimostrano galassie e fiumi
e il tempo predatore procede
a passi inginocchiati nella campana senza ringhiere
dove i pani tornano alla mia bocca colma di aprile
che bacia il tuo profilo contro il sole
sospesi sull’ala con cui ogni giorno provo
a innalzarmi oltre gli elmi degli angeli
come in cielo così in terra.
 
 
 
 
 
 
Flaminia Cruciani 2
Diventai notte alba saliva lunare
 
Diventai notte alba
con quattro soli tenuti in mano
c’erano flauti e cancelli nella voce
e occhi senza denti a spiare
le simmetrie del cielo.
Ci toccavamo dentro
la zavorra di petali
che non ci faceva volare
correvamo baracche di vento
in cortili di ginestre
dove tutto il Dio veniva versato.