In Eucariota, ultima raccolta di poesie di Giuseppe Nibali, edita da Pordenonelegge – Samuele Editore (2023) all’interno della Collana Gialla, sembrano celarsi parallelamente un messaggio esplicito e uno implicito. Nel primo sono racchiusi significati e significanti del testo poetico, nel secondo invece è racchiusa una visione chiaramente più sommersa che riguarda l’aspetto antilirico o la direzione dello sperimentalismo come postura poetica. L’io lirico non è, in questo caso, un io personale ma la personificazione di altri soggetti: il poeta pone lo sguardo nello sguardo altrui. Enunciatori (femminili e maschili) distinti dall’io autobiografico caratterizzano quindi il verso, una versificazione che si estroflette con il cedere completamente all’altro la parola. Ma se questo non comporta necessariamente la fuoriuscita dai territori del genere lirico, dunque siamo di fronte ad una questione controversa, totalmente superabile dall’analisi semantica dei componimenti.
L’opera di Nibali è una raccolta aneddotica, intrisa di situazioni infauste dove il poeta sembra andare attorno – in maniera quasi rasente – ai dolori, alle violenze e alla morte, come se una telecamera ci mostrasse cosa c’è all’interno di una scena del crimine o negli immediati dintorni. Pur interpellando situazioni dolenti e infelici, in Eucariota la materia poetica non è colatura, trasudazione del dolore bensì dello sguardo che arriva dopo il dolore, quando quest’ultimo viene affrontato, elaborato “a mente fredda”.
Una narrazione poetica i cui soggetti mutano, in particolare solo nella prima parte del libro – corpus principale della raccolta -, attraverso un graduale dominio plastico delle immagini, in cui prende forma il tragico e il drammatico.
Morti ammazzati, violenze, abusi, incesti, cannibalismo: il poeta Nibali ci mette di fronte alle aberrazioni dell’essere umano. Ma è un male ‘visto’ e ‘ascoltato’ come una notizia in tv, con distacco e senza sentimentalismi o partecipazione attiva dall’autore. In questa raccolta la prospettiva di chi scrive non parte dalla domanda: “chi sono io di fronte agli accadimenti tragici?” bensì “come si comporta la società di fronte a essi?”, laddove la reazione diventa assuefazione: «ma è cronaca, diranno e che ogni/ anno se ne sente».
Eucariota non lascia spazio alle evocazioni e alle suggestioni pur riuscendo a far entrare nel verso l’oscurità, il nero dell’orrore e l’ambiguità di un andamento realistico/irrealistico.
L’uomo come parte del mondo e come tale inscindibile da esso assieme alle sue brutture o artefice di quest’ultime, l’uomo come animale e il regno animale all’interno del dominio degli Eucarioti: il titolo richiama la filogenesi in contrapposizione all’irreversibile involuzione umana.
In un solo momento, come una sorta di incursione o di squarcio, la poesia diventa vernacolare, richiamando la musicalità e la territorialità del poeta di origini siciliane.
Nella parte conclusiva della raccolta è presente la sezione intitolata “Il male”, una serie di componimenti in cui la narrazione poetica trasla in uno scenario spazio-tempo ben definito rispetto alla prima parte: la Chernobyl post incidente nucleare. Il leitmotiv della raccolta appare immutato, il disastro è sempre al centro, visto come azione ad opera dell’uomo, dove si aggiunge la spettacolarizzazione degli eventi catastrofici simboleggiata dal “Chernobyl tour
Il ‘sarcofago’ della centrale nucleare, più volte citato, diventa correlativo oggettivo dell’angoscia, un’angoscia di morte, dove il male diventa elemento visibile ma confinato e conglobato, e tutto il bene diventa natura, flora e fauna che si riappropria dei luoghi («il sito è stato preso dagli animali») e dove il silenzio ha fatto spazio e l’essere umano si è annientato.
Serena Mansueto
La volta quella in cui ci siamo tuffati
io e lui di corsa nella piscina comunale
i primi di agosto la puzza di cloro e bromo
poi mi ha fatto vedere il cazzo era la prima volta
un verme spesso con la testa tonda e un poro
mi ha detto di succhiarlo e io ho girato le spalle
voleva scoparmi e io gliel’ho preso in bocca
abbiamo litigato, gli ho detto che lo avrei
detto a papà ho messo parte della furia in quella lite
a casa ho aspettato un messaggio che non è arrivato
ballando per mezz’ora nuda in cucina che mi vedevo
riflessa alla finestra che sentivo cuore viscido dentro la fica.
Pare un esemplare invaso dal demonio
nemmeno due metri, piccolo ma bisogna sparare
l’esplosione del colpo è stata persa, sono stati
frammenti e non si vedono. L’incidente dovrà essere
bene spiegato agli abitanti, qui ci sarà un taglio e nel taglio
saranno segrete cose. Come grida di lepre
tra vicini e passanti scorreranno parole tutte per soccorrere
e aiutare la madre rimasta a fissare dal balcone
continuamente ripeterà di aver sofferto quel momento che
finalmente non dovrà ripetersi come ogni giorno ha fatto
nella sua mente. tornerà nella tana dopo
un tempo miserabile, guarderà La prova del cuoco
dicendo della conduttrice: che persona educata che cuore
che lavoratrice; per anni sbaglierà il nome del figlio nel ricordo,
Biagiuzzo dirà in preghiera ma era Paolo.
Con noi calpestavano le erbacce degli americani
Look at me! Take a picture of this atomic shit!
poi anche giapponesi e gente lì dell’Ucraina
Pripyat, si chiamava, con le case tutte quadrate
la guida ha parlato russo e poi in inglese, mamma
si è abbassata per tradurmi lui ha gridato qualcosa,
l’uomo e mamma ha chiesto sorry e si è tolta la terra
dai jeans. Non si poteva toccare niente,
ci hanno dato un fischietto se venivano i cani.
Avevamo un telecomandino giallo per misurare le radiazioni
io l’ho messo in tasca ma è caduto nell’erba
Chernobyl tour c’era scritto sopra.
Basta.