Años después, los biólogos de la posguerra
estudiaron los ecosistemas:
Tal vez era posible catalogar
aquello que había crecido
entre la carroña:
cactáceas, agaváceas, siemprevivas,
yerbasbrujas, malasyerbas.
Nadie quería pensar
que, a lo mejor,
ahí habían arrojado al poeta.
Anni dopo, i biologi della postguerra
studiarono gli ecosistemi:
Forse era possibile catalogare
ciò che era cresciuto
tra le:
cactacee, agavacee, semprevive, erbacce.
Nessuno voleva pensare
che, magari,
lì avevano gettato il poeta.
Elena Salamanca riflette sul rapporto tra disastri e la ricostruzione della memoria. Il testo rimanda a un contesto postbellico: si parla del dopoguerra, degli studi realizzati dai biologi.
I piccoli dettagli rivelano la storia del paesaggio, elencano ciò che nasce dalla terra, dalle carogne, e suggeriscono che forse lì è stato gettato un poeta. Un Roque Dalton, per esempio.
Parla dell’invisibilizzazione che artisti e pensatori subiscono in tempi di crisi o di guerra, quando le loro voci vengono messe a tacere e le loro vite scartate assieme alle carogne.
Le piante che trovano gli esperti sono una traccia della violenza subita, e che si continua a subire tutt’ora nel mondo. La sua poetica è un manifesto a favore della rigenerazione dopo la devastazione, della resistenza e resilienza della natura e della cultura, anche in terreni difficili.
Influenzata dai paesaggi vulcanici di El Salvador, la scrittura dell’autrice è ricca di sensibilità verso le forme di vita che riconfigurano il passato e il presente; propone al lettore una visuale di esplorazione del modo in cui la vita fiorisce in mezzo alla morte.
Traduzione e commento di Federico Cantoni e Rocío Bolaños