Alcune domande a Paolo Lagazzi, la cui ultima pubblicazione è I volti di Hermes (Moretti&Vitali, 2023). A cura di Rossella Frollà.
Rossella Frollà: «Ma ti ritroverò luce violetta della primavera?». Il sentimento dell’attesa in questi versi di Attilio Bertolucci vibra in un cuore che, sospeso, separa e abbraccia luce e ombra, gioia e impazienza di esistere, quiete e dolore. C’è qualcosa di questa componente ansiosa che si lega al tuo carattere?
Paolo Lagazzi: Sì, ho una tendenza all’ansia che fra i venti e i trent’anni mi accompagnava senza tregua ma che nel corso della vita sono riuscito a contenere anzitutto grazie allo Zen, alla meditazione, alla tradizione sapienziale e poetica giapponese, ma anche grazie alla poesia di Attilio. In lui, nel lato più profondo dell’anima, c’era un pathos d’infinito che mi ha trasmesso, qualcosa di leggero e irriducibile, una verità che andava oltre tutte le contraddizioni, oltre il dualismo del qui ed ora e di quel che nel tempo fuggiva. L’oscillazione cardiaca che provocava ansia era solo una parte del cammino quotidiano di Bertolucci lungo i sentieri di Casarola. Io ho cercato di guardare il poeta da lontano e da vicino in tutta la sua complessità.
R.F.: Come ti sei avvicinato alla poesia di Bertolucci e cosa di lui ti è rimasto?
P.L.: Ricordo ancora il giorno e la libreria di Parma che ora non c’è più. Entrai e chiesi un buon libro da leggere, il vecchio libraio Belledi mi consigliò Viaggio d’inverno e poi mi disse: – L’autore è là in fondo, puoi parlargli. – Ma io presi il libro e andai via. A casa, non appena cominciai a leggerlo, fui subito folgorato dalla sua bellezza. Mi piaceva tutto di quel libro: la sua anima vibrava dentro la mia. La natura, il linguaggio, la verità della luce e dell’ombra si dilatavano di continuo in modo misterioso, astuto e innocente intrigandomi, regalandomi sussulti, emozioni sottili, rivelazioni profonde.
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