Continuano gli speciali di Laboratori Poesia. Presentiamo Desunt Nonnulla – Piccole Omissioni di Sandro Pecchiari.
Desunt Nonnulla
Piccole Omissioni
l’aria nutre pure il lupo che ci azzanna
(arrossa i fianchi della sera
e brucia il bosco nella fuga
forte, e scorzerebbe il corpo
la falce furibonda nella corsa) ma
il vetro arretra ogni ventata
ostruisce i varchi della veneziana.
dalla mezzanotte niente acqua o cibo
è un mantra scabro di calmanti
et tu quoque attento accanto attendi e appari
quasi disseccato
la vita da ora si misura in meno
parole da scambiare
saranno bottino
dopo
shavasana è la scansione primitiva
dei non morti, li affida alla gravità
accetta i colpi scelti per salvarsi
gli oggetti sanno come permanere
certe morti sono più immutabili.
così parla il sasso se lo pesti
o il gambo se lo spezzi
dentro il suono il segno dentro
ferma la linfa, il lattice
il frusciare nel racconto
così sfolla il cuore
il silenzio si assume
senza sonno
fuori il sonno non cercato
inietta voci fuse
ancora in parte vere
in questo equilibrio dopo un prima
su questo spiego il fosco che ho gestito
un corpo da tagliare sarà di nuovo
imbelle di cibo e scarti
com’è irrisorio dire di non potersi vivere
se il corpo insiste a vincere
esplorarsi per tratti
brevi per favore e a fiato corto
per dissimetrie o riverberi
lanciando bracciate di spazio vuoto
scrutando dal corpo il corpo
saggiando le linee di corrispondenza
scoprendo che non hai
percorso un campo arato
che non hai appreso a divinare
la geomanzia delle cicatrici
scordare è entrare nella lotta forti
e senza armi uccidersi
salve, vale, ave
così è puro e conclusivo elenco cieco
il disappunto contro se stesso armato
ma è il corpo che sa tutto e parla
così tanti a rinsaldare la fine
in una privacy di vuoto tra i paragrafi
la punteggiatura è una staffilata
il punto non è mai la quiete.
sostituendo ogni antidolore
anticoagulo antidisidratazione
disgiungendo questo posto dal suo tempo
il tempo ripensa senza tempo
e ripete aggrovigliando
un figlio che sfidava forte dalle vene
hoc erat corpus meum
appiattirsi è il segreto della pagina
aspettare
il corpo spunta storie altrui
intrusioni che si fanno segnalibro
la sabbia l’acqua
gli alberi di fronte
flettono il vento
prima della voce
serve a questo il torace che si alza?
basta sempre altro per vedersi
per rendersi visibili al respiro
In principio verbum non erat
c’era prima questo suono solo
gutturale e tende il collo, torce
un ciglio che si inclina
l’occhio che suggerisce e mira
anche una mano in sovrabbondanza
vale molto
perché stringe forte
quello che sarà
ricordi i riferimenti
e il ricollegarsi tra i residui?
sei tu questa ostruzione che alimenta
il terreno di coltura per gli altri?
cammino sulle mura dei tuoi occhi
mi scuso per queste trafitture –
la via sussurra coincidenze –
– parole – istruzioni per le mani
il traghetto attacca il molo
riscrive continui aggiustamenti
gratta la riva, la incide
e fonde le sue tracce
per dimenticare bisogna non distrarsi
di fronte l’alba a lame taglia il bosco
il bosco scambia animali e umani
insonni come endovene annusano
il primo pane da lontano
non visti che da pochi
gli altri fissano vie furtive alle finestre
in ghirlande di fiato di stranieri
oltre i vetri
il loro proseguire a tentativi
allarma tutti i fari indifferente
anabbagliando la foschia
e li spegne nella luce
noi qui isolati da finestre alte.
contiamo le case e ridiamo
nomi ai villaggi come a vidimarli
confermiamo le colline e il mare
l’esserci stati rassicura dalla lontananza
noi collegati a tubi d’aria controllata
veniamo allattati di sangue e sale
questo era il mio nome
storpialo come puoi
mi fido
Alessandro ha vissuto il non saper lasciare
e ricomporne l’irricuperabile
alle nostre frasi l’aria reagisce come un cane
qui dentro è il dialogo, non nelle cose dette
Marco dice male delle mie difese
è vero, basta un bisturi ad assiepare gli anni
nel taglio netto di mannello
le ricordanze avversano la vita
Sameh esibisce amanti come pietre
che spanciano e rimbalzano
e parlano affondando
soffocando nella buccia aspra di parole
non riuscirà a costruire un muro
che non scarti storie
Cristina conosce tutto questo doppio
che sostiene la vita se si smorza
e assume lo sparire dentro un quadro
con la forza del chiodo che lo appende
decidere la rotta, Dora, ricordi?
è superare ferite fatte pietra
non l’amuleto nascosto nella borsa
ma la secca disarmonia dentro ai confini, inciampare
tra le lettere del tuo stesso nome
sono tessuti in pieno divenire
questa è la scarsa correttezza della vita
è il dispotismo della trasparenza
e odio d’orizzonte raggrinzito
vederti andare nel sollievo incollerito
sarei stato per noi selvaggio d’acqua.
fuori il riflesso non riconosce
il gioco di rifare un estraneo
punta le mani dallo specchio
per tornare
ma cambiare trionfa nonostante
conterò piano, comincerò da mille,
piano, inceppando il conto alla rovescia
puoi lavarmi la schiena per favore?
esce indeciso come una lingua appena appresa.
ho il respiro pulito come un mantice
di chilometri
il buongiorno dei suoni
mantienilo nel caldo del lenzuolo
le tracce del respiro secco
il toccarsi senza rilessicazioni
l’allungarsi delle mani
sui sogni senza dirli
non fidarti
si respira sempre senza aria
ricorda lo staccarsi della terra dal tallone
quando trasporti verso un dove altrove
il tuo calcare indeciso il suolo
ne resta un tinnitus appena dentro ai lobi
tu vali solo come movimento –
stacca e resta. e scatta.
alle spalle si disfa una bica d’abitudine:
il tuo letto durerà se ricorda le tue mani
rinnegalo con attenzione e vai
se ti volti ti fai sale
stare cattivo dentro il labirinto
confronta il guarire sulla pelle
con il livore ostile dell’interno
senza guerrieri ormai. senza figlio.
salvo
ora le mura si sperdono senza porte –
andranno chiamate con un altro nome
camminiamo lenti
le mosche hanno buon gioco
e pinzano messaggi sulla pelle
con brivido guardiamo quei riflessi
– bluastri verdastri smossi –
e andiamo morsi di lentezza
che è cibo e stazione per gli altri
l’avremmo detto mai
che saremmo stati solo pelle
il resto [ ] occupa una nube inconoscibile
dentro che scegliamo
di non attraversare.
we’re the slow walkers
flies take advantage of us
and pinch their little messages on our skin
we writhe and look at their reflexes
– bluish and greenish in motion –
and walk bitten by our slowness
that is food or post for others
who would have guessed
we were reduced to mere skin
the rest [ ] a dark unknown cloud inside
we choose not to fathom.
Desunt nonnulla