Su
È su che si radica
ogni forma di vita
stellare l’osserviamo
con miliardi d’anni di ritardo
da quest’inerme geografia
di terre e d’acque pullulanti
nel fuoco dell’Origine
che spinge il Tutto e ogni sua parte
di galassia in galassia
muovendoli espandendoli
nessuno sa verso cosa o chi
e il sapere è il non-sapere
una gioia tragica.
O eterno, come un flusso.
Noi qui, testi dell’ora,
presi in ostaggio nella lingua, che adempiamo
l’opera del cuore.
Abbarbicato dentro le mie fibre
qualcosa di celeste
continua a martellarmi fra le arterie,
s’irraggia nell’io-specchio e mi dirama,
mi chiama il mondo addosso
dietro a questo…
(Luce, però, tu non abbandonarmi
al mio sgomento: avvicinami.)
Novizio, dentro, di un ordine nascosto
rimbalzo in mezzo ai nomi
come un’eco. Ma alla mia bocca
mi affido con cautela. La inarco
per tacere. Amo la duplice
natura del silenzio. Schiocca la lingua
e asserve le parole al sillabario
soltanto quando mi possiede
la voce che riecheggia dal profondo
con dense increspature d’oltremondo.
Lo scrittore Massimo Morasso, traduttore, critico e fine studioso, è tra le voci più autorevoli del panorama poetico contemporaneo. È autore della Carta per la Terra e per l’Uomo (2001), un manifesto di etica ambientale firmato da sette premi Pulitzer per la Poesia e da cinque premi Nobel per la Letteratura. Queste poesie sono state scelte ed estratte dalla sua ultima raccolta poetica, «Frammenti di nobili cose» per Passigli Poesia, collana fondata da Mario Luzi. Con i suoi nobili fragmenta di petrarchesca memoria divisi in cinque sezioni, il poeta ci invita, come insegna anche la mistica brabantina Pseudo Hadewijch di Anversa a «dimorare in alto», a percorrere la via della spoliazione, della sua pura essenza, cioè a dire del togliersi tutto e dare spazio alla leggerezza del cuore, alla nudità: «È su che si radica / ogni forma di vita / stellare l’osserviamo / con miliardi d’anni di ritardo […] nessuno sa verso cosa o chi / e il sapere è il non-sapere / una gioia tragica». In fondo, a ben guardare, questo adagio non è altro che l’insegnamento spirituale dei grandi padri del deserto, penso a Isacco di Ninive e allo smisurato silenzio del suo deserto, dove la parola non è più possibile: «Noi qui, testi dell’ora, / presi in ostaggio nella lingua, che adempiamo / l’opera del cuore». Il non sapere è alla base della conoscenza che ci priva, ci mette a nudo, ci rende tragicamente gioiosi e semplici, come i puri, come i «santi folli» e la loro follia. Morasso sa bene che si scrive a partire da un’assenza, dal silenzio, e in questo si avverte l’eco luziano. Ma, la scrittura è anche fuga da sé verso l’ignoto, sempre pronta a rinunciare, ad abbandonare: «Novizio, dentro, di un ordine nascosto / rimbalzo in mezzo ai nomi / come un’eco. Ma alla mia bocca / mi affido con cautela. La inarco / per tacere». La sottrazione si dichiara nel presente, nel perpetuo ritiro da sé, nell’altrove invisibile, nel conflitto tra presenza e assenza che consuma il corpo posseduto: «Amo la duplice / natura del silenzio. Schiocca la lingua / e asserve le parole al sillabario / soltanto quando mi possiede / la voce che riecheggia dal profondo / con dense increspature d’oltremondo». Lo spazio poetico è interamente proiettato in un fuori che è l’intérieur, il rincorrersi di luce e ombre che prenderà il posto del mondo su cui si costruiranno le geografie dell’anima: «(Luce, però, tu non abbandonarmi / al mio sgomento: avvicinami.)».
Anita Piscazzi
Massimo Morasso (Genova 1964). Germanista di formazione, come studioso ha pubblicato dei libri su Cristina Campo, William Congdon, Walter Benjamin e Rainer Maria Rilke, associando anche una eccellente attività di traduttore, in particolare dal tedesco (Meister, Rilke, Goll), dall’inglese (Yeats, Jones). Ha pubblicato anche l’ampio zibaldone Il mondo senza Benjamin (Moretti & Vitali, 2014) e alcuni testi di meditazione fra letteratura, estetica e teologia. Ha scritto il vasto ciclo poetico de Il portavoce (in più raccolte con L’Obliquo1997 e 2000, Raffaelli 2010, Jaca Book 2012 e Algra 2023) e altri quattro libri di versi: Le poesie di Vivien Leigh (Marietti 2005), L’opera in rosso (Passigli 2016), American Dreams (Interno Poesia 2019), La leggenda della primavera (Algra 2023) e Frammenti di nobili cose (Passigli 2023). È autore della Carta per la Terra e per l’Uomo (2001), un manifesto di etica ambientale firmato anche da 5 premi Nobel per la Letteratura e 7 premi Pulitzer per la Poesia. Ha ricevuto importanti premi, come il Gozzano (2017) e il Catullo (2018) dell’Accademia Mondiale della Poesia dell’UNESCO. È Presidente del Premio Genova-Valéry, dirige la rivista “AV” e collabora alle pagine culturali di alcuni quotidiani.