Da lontano – Note sulla poesia di Mario Benedetti di Michele Maggini


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Da lontano
Note sulla poesia di Mario Benedetti

di Michele Maggini

Il titolo della poesia scelta, Da lontano, di per sé determina e riassume la prospettiva narratologica di Benedetti nello sceneggiare gli avvenimenti, fungendo da manifesto della sua poetica in Umana Gloria.

Il soggetto è disperso in una moltitudine di piani esistenziali, fenomenologici e filosofici; privato della possibilità di coniugarsi alle scene del testo a causa della lontananza ne partecipa attraverso l’estraneità. Infatti, vive in uno stato di disconoscimento che non accresce nessuna consapevolezza rispetto alla realtà degli avvenimenti, come in un mondo fiabesco privato della morale, non però della capacità di affascinare.

In questi versi, si percepisce uno scollamento del fiabesco dai suoi presupposti di gioia o riscatto, del romanticismo dall’infanzia. La sottrazione di queste parti riduce l’immaginario di Benedetti in grottesche apparizioni di una realtà percepibile solo a tratti e parzialmente. Questo percepire non è risultato di una febbre (“Non lo sapevo, non avevo febbre, […]”), che recherebbe con sé sconvolgimenti di umore e stati di agitazione, ma comporta lacune di tipo linguistico, sintattico e non solo. Piuttosto, il percepire di Benedetti è febbrile nel senso in cui l’ansia di captare l’intorno del soggetto in tutte le sue manifestazioni domina (“Era perché non poteva restare niente di tutto questo/ che gli occhi facevano i matti), generando delle compenetrazioni tra sottintesi e realtà distinte e altrimenti inaccostabili. Questo com-portamento supera le capacità cognitive umane che non sono in grado di recepire tutti gli stimoli di un dato intervallo o spazio, operando vuoti sintattici e semantici sulla realtà: “senza braccio”, oppure “da un cervello ferito in una parte”.

Con tale padronanza della lingua, ridotta al suo grado zero – una comunicazione degli oggetti della poesia che avviene senza l’ausilio degli strumenti retorici di cui la poesia si dovrebbe comporre – la poesia di Benedetti ci disorienta perché privata di metafore o similitudini di alcun tipo (“sentivo una carnagione nelle tende le parole in giro/ del viso della nonna”).

In altri termini, l’autore si disfa della Rettorica michaelstedteriana, ossia l’apparato di parole e gesti che occultano la possibilità di raggiungere la Persuasione, il possesso di se stessi, e da questa distraggono. Infatti, in testi successivi, Benedetti dirà con un imperativo esortativo: “non distrarti”.

Michele Maggini

 
 
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In copertina un ritratto di Dino Ignani