Conversari – Alfonso Guida


Conversari - Alfonso Guida 1

Conversari, Alfonso Guida (‘round midnight edizioni, 2021).

 

Conversari è un libro senza indice.

Cose vecchie, la poesia, i poeti.

Si apre con l’abbandono, si chiude con una dedica alla madre: “non mi ricordo niente ora/ delle botteghe di confetti, il pugno/ di sale sparso tra gli ombrelli”.

La prosa iniziale – lungi dall’essere un dialogo con se stessi – apre a riflessioni intense sul tempo, la parola. Essere nel tempo con le mani giunte sulla faccia, scavare una grotta per non restare disorientati.

La parola è un luogo. A volte è il luogo dell’incontro. Molto spesso è luogo di frattura, di scompenso. Quando si legge Alfonso Guida pare di essere nel luogo della frattura, luogo che il poeta cerca di ricostruire a se stesso, in un interiore che ci affascina e allo stesso tempo ci inquieta. Non ci sentiamo al sicuro.

Ci sono parti di questo libro – Conversari – che fomentano il destino della visione: vogliamo salvarci e corriamo. E ancora: “Questo è un destino: dover essere immedicabili, pianifichi, /ordini, componi: lo scenario del sacro. Il dolore/ non è mai un verme. La beatitudine, laggiù, è il fuoco/ impenitente di un’altra felicità”.

Dicevo che è un libro senza indice perché non ne ha bisogno. Ma Conversari non è un magma. La parola poetica viene a chiedere il conto a ogni passo, nelle agonie degli autunni, nelle memorie del passato, nelle grazie del Signore, nelle riletture di Pascoli, nella visione di una realtà fatta anche di elementi semplici: il paesino, le perdite della caldaia, le semine.

Ritorna spesso la parola “raggio”, come a dire che non possiamo nasconderci, come a dire che se ci disperdiamo è per ritornare a vedere, come a dire che tutto si dirada ma non la parola.

 

Melania Panico

 
 
 
 
(…)
Guardiamo candele, finestre illuminate.
Ci si mette in fila per l’ostia. Vogliamo salvarci e corriamo.
I capelli si attorcigliano ai pampini di zolfo
dei cancelli. Lo sfregio è una miniatura araldica.
 
Tagliatori di teste che si piegano, a notte,
sui rosari, accarezzando fiori, il pegno agrario
dei simboli. Al mattino si alzano, violenti, dai tavoli.
Provano a baciarti. Sono sdentati e chiedono un bacio.
Questo è un destino: dover essere immedicabili, pianifichi,
ordini, componi: lo scenario del sacro. Il dolore
non è mai un verme. La beatitudine, laggiù, è il fuoco
impenitente di un’altra felicità.