Contrassegni: Natura

Nel secondo numero del “Nuovo Almanacco del Ramo d’Oro” (serie speciale di “Laboratori critici“, a cura di Gabriella Musetti), uscito a dicembre 2024, la redazione composta da Roberto Dedenaro, Giovanni Fierro, Claudio Grisancich, Marco Kravos, Gabriella Musetti, Sandro Pecchiari, Marijana Šutić, Francesco Tomada e Rodolfo Zucco, ha deciso di inserire una sezione di piccole recensioni dal titolo Contrassegni. Tali recensioni usciranno anche su Laboratori Poesia a partire da quella qui presente a cura di Giovanni Fierro su Natura di Roberto Cescon (Stampa2009, 2023, finalista al Premio Strega Poesia 2024).

 

 

Ogni raccolta di poesie è un dire e un raccontare, ed è anche un mostrare cosa l’autore intenda per poesia.
Roberto Cescon con il suo Natura mette in atto tutto questo, porta in evidenza il desiderio di rimettere al centro del suo scrivere la possibilità di ridefinire la poesia.
In questo suo gesto non può che partire dalla parola, nel suo essere segno e suono. E lo fa in quello spazio minimo ma assoluto che è la vicinanza con un’altra persona, in quel momento dove la comunicazione è parola che si pronuncia, e ancora prima parola che si pensa e si sente.
Un luogo nel quale «Sto aspettando da un silenzio che è tuo, / è stato mio, sarà tuo», mettendo così al centro della sua scrittura la radice più profonda di ogni parola, ovvero il silenzio da cui proviene.
Ed è in questa verità che Roberto Cescon indica lo svelamento possibile, la prossimità di ogni accadere umano, la fiducia che ancora si deve sempre e di più alle parole: «Potresti dire che tutto accade / nel tempo in cui viviamo, ma è lo spazio / delle tue parole che fa diventare tempo / lo spazio tuo e degli altri».
Ancora di più Natura si immerge nella poesia quando le sue pagine diventano un invito a viverla, come realtà in sé, come un qualcosa che succede e che è pura percezione, «in un tempo / come ora che mi tocca e non si muove / e l’improvviso frusciare delle foglie / per una biscia o altro che non indovino / come quest’odore nella voce / affiorano i pensieri / non così diversi da quei rami».
Le poesie del libro sono paesaggi che si mostrano tanto nella loro bellezza quanto nel loro essere groviglio da risolvere; paesaggi che si avverano negli occhi di chi guarda e riflette, di chi immagina e delinea: «Dal trampolino tuffarmi / vorrei, da una vita, ma pensare / troppo presto / spinge l’acqua alla deriva. Lo stare al mondo di ogni giorno è mostrato nella sua fragilità, nell’esile equilibrio del proprio e altrui respiro, «Che è tutto un aggiustarsi / tra quanto cedere e quanto prenderci / per non stare troppo male, né peggio», quando la certezza del tempo che sarà è il solo riconoscere che «Dalla voce / qualcosa preme verso fuori / dopo adesso che è già stato / ogni volta in questa voce / sta per compiersi nel segno».
Ma Roberto Cescon in questo suo lavoro di ricerca si muove anche a ritroso nel tempo, alla ricerca di quel qualcosa che ha vibrato prima della scrittura, arrivando alle incisioni rupestri di migliaia di anni fa, le cui forme e linee sono state la parola prima della parola, il suo bisogno di esistere in ogni futura certezza e dubbio, «questo bosco, per esempio: sei sicuro / che quel prato sia fuori dalla mente / del cervo? O la mente di quel cervo / non sia anche dentro l’erba?».