Cinzia Demi

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Michele Paoletti intervista Cinzia Demi

 
 

Cinzia Demi è nata a Piombino (LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. É operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige la Collana di Poesia Sibilla per la Casa Editrice Pendragon (Bologna), e insieme a Giancarlo Pontiggia l’appena nata Collana di poesia under 40 Cleide per le Edizioni Minerva (Bologna). É collaboratrice esterna della Collana di Poesia Contemporanea per Il Foglio (Piombino). Cura per il sito culturale francese Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. È inserita nell’Atlante della poesia contemporanea online “Ossigeno nascente”. Ha pubblicato: “Incontriamoci all’Inferno” Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007, 2010, 2014); “Il tratto che ci unisce” (Prova d’Autore, 2009); “Al di là dello specchio fatato. Fiabe in poesia” (Albatros, 2010); “Caterina Sforza. Una forza della natura fra mito e poesia” (FARAEditore, 2010); “Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); “Ersilia Bronzini Majno. Immaginario biografico di un’italiana tra ruolo pubblico e privato” (Pendragon, 2013); “Ero Maddalena” (Puntoacapo, 2013); l’antologia da lei curata insieme a Patrizia Garofalo “Tra Livorno e Genova: il poeta delle due città” . Omaggio a Giorgio Caproni (Il Foglio, 2013); l’antologia di racconti da lei curata “Amori dAmare” (Minerva, 2014); “Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri” (Puntoacapo 2015); “Nel nome del mare” (Carteggi Letterari, 2017), già uscito in sintesi per la rivista I.P.R. (Società Editrice Fiorentina, 2015). É organizzatrice e curatrice di diversi eventi culturali. Nel novembre del 2017 le viene conferito il Premio Italia Donna per la Poesia con premiazione a Roma ai Musei Capitolini. É presidente dell’Associazione Culturale “Estroversi”.

 
 

Come nascono le tue poesie?

Questa domanda mi piace. Mi piace perché elude la solita e scontata richiesta “cos’è per te la poesia?” a cui tutti gli autori, più o meno, rispondono cercando di citare chi prima di loro ha detto qualcosa che rassomiglia al proprio sentire. E così si finisce sempre per trovarsi di fronte alle sette o otto citazioni più gettonate, senza che nessuno (o comunque pochi) abbia davvero ben chiaro cosa sia per lui la poesia. Dunque, come nascono le mie poesie: dall’ascolto del mondo, di ciò che mi circonda, di ciò che sento mio, sia esso vicino o lontano, sia raggiungibile o meno, sia oramai dentro di me – come un sentimento – sia ancora o resti fuori di me – come un’esperienza non pronta per essere assimilata, e/o che forse non lo sarà mai-. A volte passa molto tempo prima che io riesca a scrivere anche un solo verso che riguarda qualcosa di cui vorrei parlare, altre volte le parole arrivano e il pensiero non si ferma se non dopo aver compiuto il suo percorso. Non è sempre uguale la nascita di una poesia (non credo lo sia per qualcuno). Spesso mi piace programmare un lavoro: concentrarmi su una figura, un personaggio, calarmi nella sua esistenza, nel suo modo di essere e di vivere, nel tentativo di rielaborare ciò che credo debba restare di più, debba necessariamente essere messo in evidenza; mi piace concentrarmi su un luogo, scavarne le pietre e gli anfratti, i profumi e i colori, i respiri dei muri, nel tentativo di restituirne i ricordi, renderli memoria. Ogni poesia è, comunque, come un nuovo inizio, come un qualcosa che – per quanto programmato – non sai mai dove ti porterà, cosa ti farà conoscere, cosa sarà capace di donarti sia a livello di senso che di linguaggio: è un’avventura nella mente con un subconscio che vuole comunicare e  che ti chiede di fargli da tramite con l’infinito, oltre che con i tuoi lettori, concedendoti un immaginifico tempo di narrazione e di poetica, durante il quale tutto è sospeso come per incanto.

 

Parlando della tua ultima raccolta Nel nome del mare (Carteggi letterari, 2017) Gabriella Sica afferma che “il mare, che non conserva niente di noi e della nostra storia, eppure sempre al mare torniamo come a un approdo”. Cosa rappresenta per te questo ritorno al mare?

Il mare è l’origine – come racconta anche la prima parte della Genesi, il libro più letto del Vecchio Testamento – è l’inizio della vita, e il movimento del mare, delle sue correnti amiche o contrarie che siano, ci fa sentire partecipi di questa origine, specie se siamo nati in un luogo di mare, se ce lo sentiamo addosso con il suo sapore salmastro, se ce lo vediamo negli occhi con il suo limpidissimo azzurro, se ce lo immaginiamo come un padre potente e affettuoso, capace di accogliere tra le sue braccia-flutti gli innumerevoli figli che ha generato. Vivere queste suggestioni come donna che è nata sul mare, che ha vissuto la propria infanzia e la propria adolescenza sul mare, che ogni volta che ritorna in quei luoghi sente il fascino e il richiamo dell’elemento mare significa, a maggior ragione, sentire fortemente amplificato come poeta il sentimento di fascinazione, di attaccamento, di relazione filiale verso il mare in una dimensione letteraria nella quale, proprio il rapporto padre-figlio/a con il mare, diventa parte di un patrimonio artistico – culturale che arriva da molto lontano e con il quale si sono confrontati artisti di ogni genere. Il mare forse non conserva niente di noi e della nostra storia, ma noi conserviamo molto di lui. La nostra cultura è intrisa di mare e nel mare. L’approdo è il ritorno, il rifugio, l’assenza di rimpianti, il luogo ameno dove essere se stessi perché nel rivivere e nel ritrovare c’è comunque una nuova rinascita, un ritrovarsi e un affacciarsi sugli altri dopo aver capito il valore delle nostre radici. Per me è così: solo quando trovo i punti fermi della mia vita, le anime di ciò che conta e ha contato sempre, riesco a donare di più ciò che ho dentro. E la poesia con i suoi strumenti e la sua lingua mutevole, chiara e musicale è il giusto mezzo, è il tramite per l’unione tra il dentro e il fuori.

 

Nelle tue raccolte precedenti Ero Maddalena (puntoacapo, 2013) e Maria e Gabriele (puntoacapo, 2015) hai raccontato la storia di due importanti figure femminili in equilibrio tra storia, mito e realtà. Com’è nata l’idea? Stai lavorando su un altro libro per chiudere un’ideale trilogia?

Da sempre credo nella necessità degli archetipi, nella loro funzione utile per comprendere meglio il mondo in cui viviamo. Alle volte anche gli archetipi possono essere rivisitati, rielaborati, riadattati per dare vita a un immaginario del quotidiano, che li renda tanto più vicini quanto il desiderio di conoscerli, di riconoscersi in loro, di identificarli in un determinato ruolo o compito o situazione e farseli amici, vicini di casa, compagni di scuola o di lavoro… insomma renderli parte della tua stessa vita. Quest’esigenza è ancora più forte quando le figure di riferimento sono sacre o religiose, quando hanno a che vedere con la spiritualità. Se ci si allontana da questo sentimento, prima o poi, qualcosa ti spinge a recuperarlo. Così è stato per Maddalena, Maria, Gabriele. Ho cercato di renderli umani, prima di tutto. Li ho ricostruiti calandoli nella vita di tutti i giorni, rapportandoli ai problemi comuni, senza perdere di vista però le loro peculiarità, cercando di mantenerli presenti a loro stessi in entrambe le dimensioni. Maddalena è una donna che vaga per le strade di una città dei nostri giorni dove la gente è distratta, dove la violenza domestica è presente a dismisura, dove le ferite del corpo si intersecano con quelle della mente tanto da far sfiorare la pazzia: una donna di vita che si identifica in una donna di fede che ha conosciuto e amato un Gesù rivoluzionario che l’ha redenta, le ha ridato dignità di essere umano. Da qui la possibilità di salvezza anche per lei. Maria e Gabriele sono due esseri umani, prima di tutto, molto umani, che per un attimo si conoscono e si appartengono nell’intensità di uno sguardo, uno sguardo solo e nulla più, prima del compiersi della loro missione celeste. Gabriele canterà in chiusura le lodi di Maria e Maria canterà il suo Magnificat come un inno all’accoglienza delle madri. La poesia qui usa tutte le corde del canto poematico, concedendo un respiro lungo al racconto poetico, tracciando le linee per la rivelazione che è nei personaggi. Per quanto riguarda l’ipotesi di una trilogia, la programmazione di questo tipo di poetica, dovrebbe completarsi – nei miei intenti – in effetti con un terzo libro, dedicato alle figure di Maria e Gesù, quali madre e figlio, nel racconto ambientato nel momento in cui il figlio abbandona la casa paterna e va per la sua strada… il senso di abbandono che ne nasce è quello comune ad ogni madre quando i figli lasciano la casa della famiglia d’origine. Ci sto lavorando.

 

Come operatrice culturale e presidente dell’associazione EstroVersi curi da diversi anni gli incontri Un thè con la poesia a Bologna, ospitando importanti poeti italiani. Che idea ti sei fatta della poesia contemporanea?

Gli incontri con i poeti italiani (e alcuni anche stranieri) organizzati per la mia associazione EstroVersi, presso il prestigioso Grand Hotel Majestic di Bologna, dal titolo Un thè con la poesia, – ma anche gli incontri in altri contesti e con altre modalità e in generale il lavoro sulla poesia che ho compiuto da sempre, da quando ho memoria dei miei primi approcci a quest’arte, negli anni della mia adolescenza – si susseguono ormai da cinque anni e direi che di poesia ne ho letta ed ascoltata davvero tanta. Di ogni genere. E proprio per cercare di conoscerne, il più possibile, le diversità e le assonanze, per coglierne l’intensità e la durevolezza in questo nuovo secolo, dopo un ‘900 variegato tra le grandi e intramontabili voci della sua prima metà, le meteore delle avanguardie, e gli ultimi decenni, dove tutto sembra relegato a pochissimi eletti sopra le vette, mentre si muove un tormentato bosco e sottobosco di voci che cercano il proprio spazio, senza quasi mai avere possibilità alcuna di emergere, dopo tutto questo penso di poter affermare che, comunque, non siano veritiere le voci, anche autorevoli, che dichiarano a destra e a manca che la poesia è morta. Non ne capisco francamente la ragione. Forse sono solo tentativi di scuotere le coscienze, di risvegliare i dormienti, quelli che si sono adagiati e si crogiolano nel loro piccolo potere mediatico, supportati dalle poche grandi case editrici rimaste a pubblicarli, a dire la loro; forse è solo un modo per far sentire la propria voce che, se rema contro, è più ascoltata perché presuppone un contrasto, una replica… non so. Io credo che la poesia, quella vera, goda di ottima salute e che abbia il suo pubblico di lettori, specie se il poeta s’impegna a farsi conoscere, a porgere i suoi versi senza vergognarsi perché “fare il poeta” non è considerato un mestiere, perché dire “quello è un poeta” equivale a dire “è uno strano”. Non farò nomi su chi siano gli autori che preferisco perché non è questa la sede. Dirò comunque che in tutti quelli che ho invitato, ho trovato peculiarità positive, riscontri di pensiero, cifre stilistiche accattivanti: tutti sono inoltre stati recensiti nella rubrica Missione Poesia che curo per il sito culturale italo-francese Altritaliani e anticipo che sto lavorando alla pubblicazione di un’antologia che raccoglierà gli articoli usciti in questi anni, dando dignità cartacea alla produzione saggistica on-line, con veri e propri “ritratti” pensati per ogni autore.

 

Recentemente, nel campo editoriale, sei diventata curatrice, insieme a Giancarlo Pontiggia, della collana Cleide per Minerva Edizioni. Ci vuoi parlare di questa esperienza?

La nascita della collana Cleide è stata un miracolo che conferma la teoria di come, spesso, con la forza di volontà si riesca a realizzare delle grandi idee, quasi insperate. Naturalmente questo avviene quando si mettono insieme forze comuni, che intendono collaborare per un obiettivo in cui credono e di cui si fanno responsabili in prima persona. É stato così che ho proposto all’editore della Minerva Edizioni di Bologna, Roberto Mugavero, che mi chiedeva di curargli una collana di poesia, di pensare a un qualcosa di diverso, a una collana nuova che prevedesse pubblicazioni programmate e gratuite e la direzione di due voci della poesia e della critica italiana. Roberto mi ha dato carta bianca e la mia scelta si è riversata su Giancarlo Pontiggia: unico per competenza, raffinatezza, correttezza sia in ambito poetico che saggistico. Giancarlo ha accolto con entusiasmo la mia proposta suggerendo di indirizzare la collana ai giovani autori. Abbiamo per questo posto, come unico vincolo per l’invio dei manoscritti, quello dell’età. Cleide, infatti, si rivolge ad una platea di autori under 40. Quali sono le motivazioni di questa collana e di questa scelta? Per quanto mi compete non posso che confermare ciò che ho scritto nelle intenzioni, pubblicate nelle pagine dei primi due libri editi, che si intitolano: Alla ricerca del poeta.

«Comunicatore, temerario, testimone, profeta, visionario, internauta: com’è o come dev’essere il poeta degli anni 2000, già ampiamente iniziati? Vorremmo cercare di scoprirlo attraverso le produzioni dei giovani autori, consideriamo tali gli under 40, e il loro approccio all’idea di poesia, all’idea di quest’arte che possa farci inquadrare il suo creatore, appunto, come un poeta.

Secondo il mio parere si tratta di una miscellanea di tutte queste qualità che formano un talento, un talento vero, capace di donare incantamento. Perché in fondo la poesia è incantamento che passa attraverso la parola, usata come strumento, come mezzo per relazionarsi con il reale, se pure composto di mille contraddizioni: strumento umile e gratuito, naturale e potente, certo e variabile, capace di mettere a fuoco riadattandosi al sentire, un’idea, un fatto, un pensiero, un sentimento. Senza questa mediazione non avremmo la più antica delle arti che, unita alla memoria, ci permette di raccontare la verità della vita, la bellezza feroce, gioiosa e dolorosa del suo mistero che incanta, innamora e chiede di essere detto.

Il poeta, in sintesi, è l’aedo del mistero e della verità racchiusi nella vita. Sia che parli di ricordi, sia che parli d’amore, di paesaggi, di accadimenti egli ha un compito etico e morale ben preciso: non scendere a compromessi con la menzogna, non ingannare il lettore, non usare l’artificio in luogo dell’onestà.

Ampiamente convinta del valore racchiuso nell’arte poetica indico, in estrema sintesi, le intenzioni di questa nuova collana di poesia, dal nome femminile “Cleide” – figlia di Saffo, alla quale la madre dedica dei bellissimi versi, quasi a mostrare l’indirizzo rivolto ai figli e alle figlie della poesia –  che sono quelle di promuovere l’arte di coloro che sapranno dimostrare – a parere dei curatori – di possedere questi requisiti, regalando con la forza della verità, contenuta nella propria voce, nuovi incantamenti alla poesia di questi anni.»

Aggiungo che, nella primavera del 2018, sono uscite le due prime pubblicazioni: Dare il nome alle cose di Rossella Renzi e Come una pietra dentro la visione di Luca Manes due ottimi lavori già ampiamente recensiti e accolti positivamente dalla critica mentre, per l’autunno del 2018, sono in preparazione i volumi di Matteo Bianchi e Alessandro Anil.

 

Quest’anno ritorna il festival Populonia In Arte, da te creato e fortemente voluto. Ci vuoi raccontare com’è nata l’idea di un evento letterario dedicato alla poesia in un borgo suggestivo come Populonia, affacciato sul Golfo di Baratti?

L’idea è il frutto di anni di contemplazione, di interiorizzazione del luogo e delle sue suggestioni, (anni che partono già dalla mia nascita) molte di queste per altro confluite nei testi di Nel nome del mare. Il borgo di Populonia è poesia allo stato puro, non ci sarebbe altro da aggiungere. Un evento di poesia pensato e realizzato lì non può che essere un successo per tutti: foss’anche solo per la gratificazione di sentire la voce dei poeti scorrere tra le antiche mura, rimbalzare sulla torre del giardino, gettarsi tra i flutti dello splendido mare sottostante, nel Golfo di Baratti uno dei posti più suggestivi al mondo – non sono io a dirlo – specie se visto dall’alto del borgo. Ho fatto naturalmente vari tentativi prima di riuscire a vedere la concretizzazione dell’evento. Non è stato facile per tutta una serie di motivi sui quali sorvolo. Qui vorrei parlare solo delle cose belle, di quelli che hanno costruito, gettato ponti e creato reti perché tutto avvenisse e si ripetesse e, speriamo, restasse come un appuntamento fisso per la poesia. Ma, prima di tutto, vorrei dire che Piombino, e il borgo di Populonia, sono luoghi solari, pieni di colori incredibili, di storia, di persone accoglienti che hanno nel loro sangue la regalità e la laboriosità degli antichi etruschi e che hanno da sempre amato la poesia. Vorrei ricordare che qui nacque nel 1982, il Premio internazionale di poesia intitolato a Carlo Betocchi, fondato da Carlo Betocchi stesso e dalla poetessa piombinese Giovanna Vizzari, che ne è stata la segretaria per tutto il periodo durante il quale la manifestazione è rimasta in questa cittadina (cioè fino al 1999).

Nella sua stagione piombinese il Premio è stato assegnato un anno alla poesia e l’anno successivo alla narrativa, con un’alternanza che ha caratterizzato tutte le sue edizioni. A partire dalla quarta fu aggiunta una sezione dedicata a uno studioso straniero la cui opera avesse contribuito in maniera significativa alla divulgazione nel proprio paese della letteratura italiana. L’amministrazione piombinese, con a capo nel 1982 il sindaco Polidori coadiuvato dall’Assessore Bartaletti, ha sostenuto con entusiasmo e convinzione l’impegno culturale finché è stato possibile garantirne il finanziamento. Dal canto suo la manifestazione del Premio ha sempre rivolto un’attenzione del tutto particolare al territorio, instaurando ad esempio un rapporto costante con le scuole di Piombino attraverso il varo del concorso “Betocchi per le scuole” che premiava le migliori traduzioni di testi lirici dalle lingue classiche di studenti delle scuole medie inferiori e superiori. Memorabile il plauso al piccolo vincitore tributato pubblicamente da Giorgio Caproni nel 1985, anno in cui il poeta risultò vincitore con l’edizione garzantiana di Tutte le poesie.

Hanno fatto parte della giuria originaria del Premio, oltre ai due fondatori, Sauro Albisani, Giorgio Cusatelli, Luciano Erba, Luciano Luisi, Davide Puccini, Elena Clementelli, Guglielmo Petroni, Giuliano Manacorda. Alla presidenza si sono succeduti Carlo Betocchi, Guglielmo Petroni, Giuliano Manacorda. Per la poesia sono stati premiati, tra gli altri, il già citato Giorgio Caproni, Mario Luzi, Alessandro Parronchi, Anna Maria Ortese, Orazio Costa, Silvio Ramat, Margherita Guidacci.

[cit dal sito: http://www.centrocarlobetocchi.com/storia_del_premio.htm]

Poi le cose cambiano, si evolvono nel bene e nel male… in questi ultimi anni, data la chiusura della fabbrica e il conseguente impoverimento del territorio e dei suoi abitanti, le priorità sono state molto diverse, per ovvi motivi, e la poesia è rimasta solo negli occhi e nel cuore di pochi. Ebbene il mio obiettivo è quello di tornare a farla amare, a farla leggere, è quello di rieducare all’ascolto del genere portando i grandi poeti contemporanei proprio nei luoghi dove la poesia è stata vissuta come un tratto distintivo anche della cultura locale.

Per fare questo mi sono avvalsa, oltre che della mia associazione EstroVersi, della collaborazione di persone che, come me, credono che percorrere questa strada significhi anche portare un contributo alla poesia stessa, riappropriandola del proprio pubblico. I doverosi ringraziamenti vanno, in primis, a Susanna Campigli, promotrice dell’evento e massima sponsor dello stesso, gestrice del luogo più ospitale e raffinato del borgo, la Dispensa Desideri, un vero salotto culinario e culturale, aperto tutto l’anno con serate davvero speciali; vanno alla proprietà Gasparri che ci mette a disposizione il meraviglioso spazio del Giardino della Torre; e poi agli amici che in un modo o nell’altro contribuiscono a dare una mano alla riuscita dell’evento: chi per la parte grafica, chi per quella pubblicitaria, chi per quella pratico organizzativa, chi per quella critica di presentazione degli autori, chi per la manovalanza pura e semplice, chi per il contributo artistico, chi, naturalmente, per quello poetico. Gli ospiti, tutti partecipanti a titolo puramente gratuito, sono stati lo scorso anno, e lo saranno anche per questa seconda edizione, alcuni tra i più grandi nomi della poesia nazionale (Davide Rondoni, Alessandro Fo, Gabriella Sica, Gianfranco Lauretano, Giancarlo Sissa, Giancarlo Pontiggia… solo per citarne alcuni) e di questo siamo particolarmente orgogliosi. Nessuno di loro si è tirato indietro quando ha saputo che non era previsto compenso – come sarebbe doveroso che ci fosse per chi presta la propria opera – e tutti si sono dichiarati entusiasti di partecipare all’iniziativa. La forza della poesia è trascinate e io spero che lo sia anche per il pubblico locale, oltre che per quello in vacanza.

Da ultimo mi preme ringraziare Michele Paoletti, di Piombino come me, non solo in veste di promotore di questa intervista ma anche come poeta e come collaboratore di Populonia in Arte. Il suo contributo è stato ed è prezioso, e di questo gli sono veramente riconoscente.

 
 
 
 
 
A volo radente
 
volare
in questo istante di poca luce
vorresti solo volare
radente   scoprire
un raggio d’arancio
oltre le tegole   le fronde
altissime degli alberi
le onde maiuscole
dei porti
mentre la neve
cade gli occhi sui prati
e lui ti resta
nelle sillabe delle mani
negli abiti del cuore
nel silenzio che si fa giorno
 
 
 
 
respirare
le radici dei boschi
indossare i rami
come fossero linfa
che manca nell’aria
 
contare i germogli
i chicchi di grano
la neve nei fiocchi
le foglie    e le ciocche
riflesse negli elmi
 
mentre lui ritorna
interminabile lembo
di spine   tronco supino
del tuo germinare
manto fossile d’amare
 
 
 
 
maneggiare
con cura i nomi e le cose
le trine   le brine
del faro che abbaglia
se resta un minuto di più
 
marinare la pioggia
il silenzio del sole   fare
risvolti su pieghe di voce
e pregare la strada più
breve   mentre lieve
 
lui riappare   nel bicchiere
nei cristalli sbeccati
di vino   nel film
doppiato   che trasmette
parole sfalsate
 
 
 
 
Inediti tratti dalla silloge A volo radente