Weasel King
When I am old and feeble grown
And children ask me who I’ve known
Among the novelists and peers
And great men of my early years,
I shall reply, with haughty look,
“I’ve never met an earl or duke
Nor a marquis, but I’ll sing
About my friend the Weasel King”.
His majesty was small but vicious –
He thought a rabbit’s ear delicious
To eat for breakfast, and could bite
Through leather or through vulcanite.
If he ever saw a stoat
He jumped and caught it by the throat.
He led his people into battle
And cut the badgers down like cattle.
Blood was his favourite drink, then cider,
He was no temperance-pledge abider.
His scream was louder than ten geese,
When angry;
But in times of peace,
He passed a life of ease and culture
With his favourite pet, a vulture.
He didn’t live – quite the contrary –
In a palace like George and Mary.
He scorned vast throne-rooms, and instead
Spent nearly all the day in bed.
Just after tea-time he’d begin
To practice on his violin –
He had composed a fine lament
On one note, for this instrument –
And when the music soothed his soul,
He’d take his pipe and fill the bowl
And light it up, and call for lamps,
Chatting of heraldry and stamps.
And once, after a solemn feast,
He rose and pinned upon my breast
A cross awarded for great merit –
The Order of the Woollen Ferret
So that is why I always sing,
“God bless our gracious Weasel King”.
Re Donnola
Quando sarò un malato tra i vegliardi
e mi si chiederà chi ho conosciuto
tra amici, romanzieri e, in assoluto,
grandi uomini dei miei anni verdi,
con sguardo altezzoso risponderò:
“Non mai conte, né duca, né marchese
ho incontrato, ma vi canterò
di Re Donnola, amico mio cortese”.
Di piccola statura ma impetuoso,
Sua Maestà trovava delizioso
l’orecchio di coniglio a colazione,
e morsicava con soddisfazione
il cuoio e l’ebanite. A ogni ermellino
prendeva il collo con balzo ferino.
Guidò il suo popolo al combattimento
contro i tassi, che ridusse ad armento.
Beveva sangue o sidro a preferenza,
non si atteneva certo all’astinenza.
Se adirato, gridava soverchiando
addirittura dieci oche;
ma, quando
in pace, viveva d’ozî e cultura
con l’avvoltoio, amata sua creatura.
Ben altrimenti da George e da Mary,
non dimorava in regge né in palazzi.
Disdegnava sale, troni e arazzi –
piuttosto, stava a letto giorni interi.
Solamente dopo il tè dava inizio,
col suo violino, all’ora di esercizio –
aveva composto un bel lamento
di un’unica nota per lo strumento –
e, una volta blandito dalla musica,
riempiva la sua pipa di tritume,
l’accendeva e poi domandava un lume,
discettando di acqueforti e di araldica.
E un giorno, dopo un solenne banchetto,
si avvicinò e mi appuntò sul petto
una croce al gran merito – tributo
dell’Ordine del Furetto Lanuto.
Ecco perché canto spiegando l’ugola:
“Che Dio benedica il nostro Re Donnola”.
Traduzione di Fabrizio Pesoli