Il sogno è l’oracolo più antico
Plutarco, Il simposio dei sette sapienti, 15
Fin dagli albori dei tempi gli esseri umani hanno cercato nei sogni una dimensione altra, un contatto con il divino e l’Assoluto, una fonte di risposte e soluzioni alle angosce dell’esistenza, una finestra sull’avvenire.
Tenterò di tracciare qui una sintetica disamina sui sogni premonitori nella cultura greco-romana, senza alcuna pretesa di completezza, considerate la varietà e multiformità delle prospettive e la frequente lacunosità delle testimonianze.
Le diverse sfaccettature dell’esperienza onirica nell’antica Grecia sono già rilevabili sul piano lessicale, dalla pluralità dei vocaboli che la designano: per riportare i più comuni, onar, legato al carattere divino, soggettivo e profetico del sogno; enypnion, dotato di un senso più oggettivo e scientifico; eidolon, nell’accezione di figura fantasmatica, apparizione; chrematismos, ad indicare il sogno oracolare.
Questa poliedricità di visuali è ben rappresentata da Platone, che nei suoi Dialoghi affronta la tematica secondo differenti concezioni. In opere come Apologia, Critone, Fedone i sogni sono per lo più reputati veicolo di messaggi degli dèi con valenza di profezie. Particolarmente interessante è il Fedone, dove Socrate si trova ad interpretare visioni notturne che lo spingono a dedicarsi alla musica, per arrivare a comprendere infine che la musica cui deve rivolgersi è la poesia. Più che la funzione predittiva del sogno, si evidenzia l’abilità ermeneutica del filosofo, che attraverso il dato onirico comprende il ruolo della poesia nella ricerca della verità.
Nella Repubblica, invece, il sogno è manifestazione dei peggiori istinti dell’anima umana, da un lato, e fallace opinione (doxa) dall’altro; idea che torna nel Teeteto, dove esso, in quanto illusione e apparenza, incarna l’aspetto più ingannevole della percezione sensibile, in rapporto alla malattia e alla follia. Nel Timeo la questione è esaminata da un punto di vista fisiologico: l’esperienza onirica sarebbe legata all’anima concupiscente, irrazionale, che ha sede nel fegato. Questo organo può talvolta venire irraggiato dall’intelletto e ciò spiegherebbe come alcuni immagini possano costituire un riverbero della ragione.
La riflessione sul mondo onirico dell’altro grande pensatore della grecità, Aristotele, presenta una significativa evoluzione temporale. Nella perduta opera giovanile Sulla filosofia lo Stagirita avrebbe affermato che proprio durante il sonno l’intelletto acquista la sua vera natura, mentre nell’Etica Eudemia l’attitudine ai sogni veridici è associata ai temperamenti malinconici, abili nel percepire intuitivamente sia il presente che il futuro (eth. eud. 8, 2, 23). Il filosofo esprime una posizione più cauta in Sulla divinazione nel sonno, in cui respinge con decisione la teoria per cui le visioni notturne sarebbero inviate dalle divinità, e le correla allo stato fisiologico del dormiente, secondo quanto contemplato da una parte della medicina a lui contemporanea. In generale Aristotele opta per spiegazioni di stampo razionalista, attribuendo i fenomeni di presunta precognizione al caso o a criteri di scientificità; osserva, ad esempio, come certi sogni propongano semplicemente una linea d’azione che possiamo poi scegliere di mettere in atto da svegli; o, ancora, sottolinea che le premonizioni oniriche riguardano per lo più congiunti e amici stretti, in quanto noi prestiamo attenzione a stimoli da loro provenienti (div. somn. 464 a 27). Nel complesso non si raggiungono conclusioni decisive, ma si sottrae significativamente la sfera del sogno dall’ambito di competenza della religione.
Era propria della del pensiero orfico-pitagorico la credenza per cui l’anima durante il sonno, momentaneamente libera dalla prigione del corpo, accede a una conoscenza superiore; un’idea, questa, condivisa in circuiti medico-scientifici. L’ignoto autore del trattato Sulla dieta (IV sec. a.c.) riconduce le visioni notturne a stati fisici patologici, grazie all’attitudine chiaroveggente dell’anima, che nello stato di sonno riesce ad osservare l’abitacolo corporeo.
Anche gli stoici manifestarono un notevole interesse per la questione; Crisippo scrisse un libro sui sogni, oltre che sulla divinazione e gli oracoli. Per Posidonio (II-I sec. a.c.) le menti degli uomini addormentati percepiscono verità che le menti avviluppate nei corpi non possono cogliere; i sogni veridici sono dovuti all’affinità della ragione umana con quella divina, cioè alla decifrazione dei pensieri delle anime immortali che affollano l’aria al di sotto della luna (cfr. Cic., de div. 1, 64).
Non sempre, comunque, alle esperienze oniriche veniva attribuita una funzione rivelatrice; già nell’Odissea (19, 560 ss) si distingue tra sogni veritieri e non. Tuttavia Cicerone riferirà l’opinione secondo cui tutti i sogni sarebbero significativi se si fosse in grado di interpretarli correttamente (de div. 1, 60). Un perfetto emblema di presagio notturno è delineato nei Persiani di Eschilo, dove la regina Atossa racconta il sogno che segue: «Mi apparvero due donne in vesti adorne, una fasciata di pepli persiani, l’altra in fogge doriche; ed erano, per statura, assai più insigni di ogni donna vivente, e di bellezza impareggiabile, e sorelle nate dagli stessi genitori. Ed ecco che tra loro sorse una lite, ma mio figlio cercò di trattenerle, di calmarle, e le aggiogò al proprio carro applicando le cinghie sotto il collo. E una si gonfiò d’orgoglio per questa bardatura e offriva docile la bocca al morso; l’altra invece recalcitrava, finché lacerò con le mani i finimenti del carro, strappò via con forza il morso e spezzò a mezzo il giogo. Mio figlio cadde giù dal carro e Dario, suo padre, gli si avvicinò e lo compianse» (vv. 180 ss.). La simbologia del messaggio onirico allude palesemente al fallimento dell’impresa di Serse, alla sua rovina e alla liberazione della Grecia dalla minaccia persiana.
I sogni veritieri sono generalmente classificabili in due categorie: quelli concessi a uomini qualificati, come re, sacerdoti e veggenti, caratterizzati da messaggi espliciti che non necessitano di decifrazione (en clair) e quelli che, basandosi su simboli, richiedono l’intervento di un onirocrita. A questi ultimi si possono ricondurre i libri di sogni, di cui si conservano tracce a partire dal V sec. a.c.. Non pochi di essi risultano perduti, come un manuale di Antifonte di cui abbiamo notizia da Diogene Laerzio; si conservano la famosa Oneirocritica di Artemidoro (II-III sec. d.c.) e l’opera del bizantino Achmes. Se gli interpreti fondano da un lato le loro letture su significati simbolici standardizzati, dall’altro non di rado si tiene conto dei diversi contesti culturali o anche delle variegate circostanze in cui può trovarsi il sognatore, nonché dell’indole dello stesso. In età tardoantica Sinesio, vescovo di Cirene, arriverà ad affermare che il simbolismo onirico varia da persona a persona (de insomn. 12).
Nel suo saggio Parapsicologia nel mondo antico E. R. Dodds richiama la diffusa pratica dell’incubazione al fine di ottenere risposte a determinate domande; cita al riguardo la Cronaca del tempio di Epidauro, che raccoglie testimonianze di seconda mano, frutto, in alcuni casi, di racconti popolari e folclore. Al medesimo sostrato si può attribuire la storia dell’oste malvagio: due viaggiatori arrivano insieme a Megara, e qui uno alloggia presso una locanda, mentre l’altro viene ospitato da un conoscente. Quest’ultimo sogna che il suo compagno di viaggio è sul punto di essere assassinato dall’oste, ma rendendosi conto che si tratta di un sogno se ne torna a dormire. A questo punto gli riappare l’amico, comunicandogli di essere stato ucciso e rivelando che il suo cadavere si trova in un carro per il letame alle porte della città. Il viaggiatore segue le indicazioni: il corpo dell’amico viene rinvenuto e l’oste è portato a processo (cfr. E. R. Dodds, cit., pp. 30-31). Per la prima parte del sogno non è facile stabilire se si tratti di precognizione o di telepatia, mentre nella seconda parte lo stato onirico si fa tangibile canale di comunicazione dal morto al vivo.
È invece una sicura esperienza di sogno premonitore quella fornita da Cicerone. Durante l’esilio il fantasma di Mario lo conduce al tempio della Virtus, assicurandogli che lì troverà salvezza; proprio in questo tempio, in seguito, verrà approvato il decreto per il suo richiamo. Cicerone accoglie la visione notturna con scetticismo, spiegandola razionalmente con i suoi frequenti pensieri su Mario nell’arco della giornata. Allo stesso modo, quando il fratello Quinto sogna del serio rischio di annegamento corso da Marco nell’attraversare un guado a cavallo – fatto che puntualmente accadrà – questi non vi legge altro che un prevedibile riflesso di ansia fraterna (de div. 1, 58-59; 2, 140-1).
Infine, tra i segni che preannunciano la morte di Cesare, si annoverano due esperienze oniriche, riferite da Svetonio (I 81): Cesare stesso sognò di volare al di sopra delle nubi e di stringere la mano di Giove, mentre la moglie Calpurnia sognò che crollava la sommità della casa e che il marito veniva ucciso nel suo grembo.
Anche oggi che la prospettiva psicanalitica ha consolidato la decifrazione del mondo onirico come linguaggio preferenziale dell’inconscio, non si tralascia di cercare illuminazioni, responsi, barlumi di verità in quel reame dell’inesplicabile che il sogno tuttora rappresenta. Il prodigio di una premonizione notturna rinnova la coscienza dell’indivisibilità del tempo, dell’atemporalità dell’Aion e l’immaginifico potere del mito individuale e collettivo che l’io sognante di ognuno contribuisce incessantemente a creare.
BIBLIOGRAFIA GENERALE
AA. VV., Il sogno in Grecia, Laterza, Bari 1988
I. Capitani, Il sogno in Platone, in «Studi classici e orientali» 61, 1 (2015), pp. 399-416
E. R. Dodds, Parapsicologia nel mondo antico, Laterza, Bari 1991