Carlo Tosetti

Carlo Tosetti

 
 

Michele Paoletti intervista Carlo Tosetti

 
 

Carlo Tosetti (Milano, 1969), vive a Brivio (LC). Ha pubblicato le raccolte: Le stelle intorno ad Halley (LibroItaliano, 2000), MusNorvegicus (Aletti, 2004), Wunderkammer (Pietre Vive, 2016).

Suoi scritti e recensioni sono presenti in diversi siti/riviste tra cui Nazione Indiana, Poetarum Silva, Versante Ripido, Poesiaultracontemporanea; Atelier; MentiSommerse, Tragicoalverman, Yawp (giornale di letture filosofiche), L’EtroVerso, Pangea. Collabora con Poetarum Silva. Il suo blog personale è musnorvegicus.it

 
 

Come nascono le tue poesie?

Le fonti di ispirazione sono molteplici. Ricordi, una frase letta, un articolo, una fotografia, una notizia sentita alla radio, un avvenimento storico che mi colpisce e che approfondisco e le conseguenti riflessioni… La quotidianità offre infiniti spunti, ed infiniti sono gli sguardi con i quali la si può osservare. Forse, un “oggetto” d’osservazione sul quale mi soffermo molto è la natura, che desta in me grande curiosità fin da bambino. Non è precipuamente l’aspetto scientifico che mi interessa e mi ispira, ma soprattutto ciò che si osserva: l’immagine, la relazione fra gli enti. Nella mia ultima raccolta ci sono delle poesie che descrivono vari e diversi animali, calati in differenti scenari naturali. Per esempio, cito le folaghe e quello che fu il loro tragico ruolo “nutrizionale”. Un passato certo più periglioso del presente, malgrado l’alterazione moderna del loro ecosistema, oppure cito l’onisco, un minuscolo crostaceo di terra. Nel caso delle folaghe, l’ispirazione è stata duplice: da una parte compaiono nella nutrita aneddotica dell’Artusi (La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, 1891), dall’altra, vivendo vicino ad un fiume, ho modo di osservare questi uccelli ed il loro comportamento. L’onisco è un piccolo insetto che tutti incontriamo; è anche chiamato “porcellino di terra”. L‘ho osservato un giorno “pascolare” allegramente (così pareva) su di un rorido muschio ai piedi di un muro di campagna. La poesia nasce da un verso che fissa l’immagine “chiave”, poi si sviluppa intorno. Talvolta è un parto rapido, talvolta no. Alcune poesie richiedono mesi per essere definitive, mature, altre anni, alcune… non lo diverranno mai. Considero compiuto un componimento, quando la lettura risulta fluida, musicale, ritmata. Mi capita anche che, alla ricerca della fluidità, giocando con le parole ed i suoni, il significato si nasconda, il senso letterale si faccia sfuggente, ma questo effetto – sebbene non sia volutamente ricercato – mi appaga, perché ho la sensazione di lasciare libere le parole di creare immagini. La musicalità di un testo fa sì che il lettore percepisca un significato, che lo sospetti. Talvolta mi si è tacciato di essere un poeta “oscuro”, mala definizione, che arbitrariamente depuro da ogni accezione negativa, non mi risulta sgradevole.

 

Qual è per te il rapporto tra poesia e ricordo?

Reale o immaginario (un artificio retorico per raccontare),il ricordo ha un ruolo importante nella mia poesia, ma credo lo abbia per tutti i poeti e gli scrittori in genere. La poesia è uno strumento di indagine, di analisi della realtà, indagine che si estende alla zona occulta del mondo e di noi stessi.

Il ricordo non è soltanto una melanconica rievocazione, ma è uno scandagliare il vissuto; è soppesare la propria esistenza e gli avvenimenti, è trarre delle lezioni. D’altro canto, a che scopo essere trascinati dai giorni che si susseguono? Davanti a noi c’è la costruzione, ma questa è demandata a correnti estranee, senza delle regole di vita. Con ciò non intendo affermare che il segreto dell’esistenza sia da svelare rimestando nel trascorso, ma ciò che è stato dona il vantaggio di poter rileggere gli avvenimenti, di cercare di capire. In definitiva, il ricordo può essere un campo di ricerca. Questo non sottrae valore, né nobiltà, al ricordo nel senso letterale del termine.

 

Chi scrive poesie può essere, secondo il tuo punto di vista, un catalogatore, un conservatore della memoria?

Senza alcun dubbio. Su vari livelli. Anzitutto, è esistita ed esiste poesia imprescindibile dal contesto storico in cui è nata. Leggere Ungaretti significa calarsi nel dramma della grande guerra e la sua poesia è anche una testimonianza del dramma vissuto dall’umanità. La poesia, dal punto di vista storico, è anche ricordo indiretto; quando gli scritti non fissano delle immagini inscindibili dal contesto, l’analisi del testo obbliga a chiarirne la collocazione e disvela i collegamenti fra i versi ed il momento. Credo, però, che sia sempre meno necessario questo tipo di analisi, data la direzione presa dalla poesia contemporanea (con le fisiologiche eccezioni, s’intende) e ciò erode lentamente la proprietà “mnemonica” della poesia. Vi è poi la poesia scritta al fine di ricordare: la celebrazione di un avvenimento, di una persona. La poesia contemporanea sta perdendo, o forse ha già abbandonato, gli schemi classici del ricordo in versi. Basti pensare all’elegia, ai grandi poemi, tuttavia il ricordo è ingrediente dell’impasto-uomo e non è possibile che l’arte in generale se ne distacchi.

 

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Parliamo del tuo ultimo libro Wunderkammer (Pietre Vive ed., 2016). Le Wunderkammern, erano dette camere delle meraviglie o stanze delle curiosità e il libro è strutturato come un catalogo di esseri viventi e non, raccontati sotto forma di poesia. Mi ha colpito lo stile molto asciutto, a tratti anche crudo.

Approfondire il mio stile, benché mi appartenga, mi risulta molto difficoltoso. Anzitutto, pur intravvedendo ora rimandi ai miei idoli poetici (Borges e Montale su tutti), il mio cammino nella poesia è nato prima di approfondire la materia. È stata un’esigenza, il tentativo di soddisfare un bisogno profondo, di eliminare un turbamento, ma questa scintilla si è manifestata in un periodo della mia esistenza in cui somigliavo a tutto, tranne che a una creatura sensibile, e non mi interessavo alla poesia. Me ne vergogno, ma ricordo di aver appeso nella mia camera una poesia di Trakl, con un commento che alludeva alla sua inutilità. Non conoscevo l’autore; la poesia era stata pubblicata su di una rivista, se non erro era Panorama. Ora, questa poesia è una delle mie preferite in assoluto: è “Nel Parco”. Nel corso degli anni, scrivendo, ho sentito il bisogno (finalmente, grazie a Dio) di approfondire la poesia. Col tempo, ho maturato il mio stile. Wunderkammer è – da questo punto di vista – un punto d’arrivo. È infatti la “consacrazione” di una mia personale ricerca sui suoni, sul ritmo e sulla lima. Il linguaggio crudo, al quale ti riferisci, è tuttavia ricavato da un consistente lavoro sui sinonimi, alla ricerca del suono che sorreggesse il ritmo. Anche la tua osservazione sullo stile asciutto è corretta: la forbice, la lima, sono stati i miei strumenti principe, allo scopo di rendere musicale il testo.  Come ho già precisato, il significato dei versi aveva per me una importanza relativa.  Non tutte le poesie sono nate per descrivere qualcosa; alcune sono soltanto un gioco di ritmo e suoni, sono tentativi di fare musica con le parole. Musica che, quando eseguita, lascia trasparire un significato. Molte poesie sono brevi, fulminee, e a mio avviso mostrano il loro vero aspetto se lette tutte d’un fiato, rispettando rigorosamente il ritmo. La struttura che riprende le wunderkammern è una splendida intuizione del mio editore. Io avevo inviato alla casa editrice solo una sequenza di poesie, in un ordine contrario ad ogni logica di lettura: le prime erano infatti le più ostiche. È stato Antonio Lillo (che ringrazio ad infinitum) a studiare un nuovo abito: sua l’idea della wunderkammer e suo l’invito ad inserire delle brevi prose per alleggerire la lettura. Devo riconoscere che questa veste ha infuso forza alle mie poesie. Un matrimonio perfetto.

 

La raccolta si apre con la breve prosa Un collezionista.La storia di X, un cubo di gelatina verde, che improvvisamente si sveglia scoprendo che tutta la sua vita e le sue esperienze sono frutto di un sogno. Com’è nata questa idea?

Questa domanda mi strappa un sorriso, perché il racconto ha sonnecchiato nella mia memoria per ben 27 anni e la sua genesi non ha alcun tratto di nobiltà.

Anno 1989. Svolgo il servizio militare in quel di Merano. Intorno a Natale, a casa godendo di una licenza, una sera mi ritrovo in una piccola baita, con un gruppo di amici. C’erano alcune ragazze nella loro fase fricchettona (contavamo vent’anni…) che facevano a gara per raccontare la storia più assurda. Punto nell’orgoglio, prendo parola e m’invento questa vicenda (il nucleo centrale) che, dato il contesto, ebbe successo immediato, ammutolendo i presenti. Nel 2015, in fase di redazione del libro, pensai di sviluppare il racconto e di inserirlo in Wunderkammer, perché ben si prestava ad introdurre il tema dei ricordi. Ho cercato, quindi, di rendere ricco e denso il racconto, tentando di illustrare l’idea della vastità del mondo conosciuto e sconosciuto, in poche righe.

 

Hai recensito diversi autori su siti e blog. Come scegli i libri da recensire? Quali sono le caratteristiche che cerchi nella poesia degli altri?

Io sono un collaboratore, non un redattore, per cui i libri mi vengono trasmessi dalla redazione.

La scrematura operata dalla redazione ha diversi vantaggi: mi vengono sottoposti libri che si slanciano sulla linea retta dell’orizzonte poetico; questo mi è di grande aiuto e mi solleva dall’imbarazzo di dover rifiutare.Per il momento,infatti, ho recensito tutti i libri proposti tranne un romanzo (del quale, ovviamente, non faccio il nome), perché l’ho trovato scontato.

Questo a significare che non mi soffermo sullo stile della poesia che mi viene sottoposta; non lo trovo deontologicamente corretto e, inoltre, il cimentarmi con generi lontani dal mio mi permette di ampliare la conoscenza della materia. È un’occasione per imparare. Personalmente, amo la poesia “diversa”, che abbia personalità. Non mi importa come sia scritta: se in metrica o in verso libero, ma che svetti sull’immensa pianura della poesia contemporanea. Gli editori ci fanno sapere di ricevere molto materiale poetico ben scritto, talvolta bell’e pronto, che non richiederebbe un gran lavoro di editing, ma… Tutto simile. Simile nei temi, nella struttura, nel linguaggio.

Durante una intervista televisiva, senza conoscere le domande che mi sarebbero state poste, sono stato colto di sorpresa e mi è scappato un commento che vorrei esplicitare per spiegarmi. Ho detto, infatti, che “non sopporto la poesia d’amore”. Ebbene, non è vero. La verità è che non mi piace quella scritta oggigiorno.  Freddamente, quello dell’amore è un tema, nulla più che un possibile tema, ma più di altri lo si affronta percorrendo un crinale pericoloso: si cammina lungo l’abisso della scontatezza. Naturalmente, esistono eccezioni. Ho recensito, per esempio, la raccolta di Samuele M. R. Giannetta (Il sonno limpido del mare, L’Erudita, 2017). Il tema è l’amore, lo struggimento d’amore. Il libro è però diverso, spicca. È un libro molto delicato, che si scalda lentamente fra le mani e denso di citazioni e rimandi. Saltuariamente ricevo del materiale direttamente dagli autori: se la poesia, appunto, ha nerbo e se l’autore è ai primi passi, o è isolato, allora cerco di aiutarlo con una selezione di poesie o con una recensione. Tieni conto che non posso dimenticare l’immensa fatica che ho vissuto per avere un minimo di visibilità… e colgo l’occasione per ringraziarti di questa intervista. Non sempre posso aiutare un autore, purtroppo: io collaboro con Poetarum Silva (è capitata l’occasione di firmare un articolo per L’EstroVerso) e se l’autore è già comparso in queste riviste… Ho le mani legate.

 
 
 
 
Ti ricordi quando
interrammo i crochi?
L’intimo conforto,
mai lo confessammo,
nel veder che sbocci
fresca primavera
da essi precorsa,
in nulla si disfa.
Il bulbo permane.
 
 
 
 
 
 
Il puntiglio col quale
tu scortichi maestra
l’asparago di selva,
con l’arte tua paziente
che tutti mai non sanno,
di serbare il tempo
ch’è dovuto ai gesti,
t’ammanta dell’aria
svanita e perduta.
 
 
 
 
 
 
Con olio e limone,
a splendere cosparsa,
al lago crogiolavi.
Quando il pesce pure
calda l’acqua diffida,
fra schiocchi rari vidi
– il canneto, allora,
fitto è la frescura –
la tinca nei pantani.