Breviario delle aberrazioni, Michele Paladino (Fallone Editore, collana Il fiore del deserto, 2021).
Michele Paladino è nato a Termoli nel 1993, ma vive nei meandri di Santa Croce di Magliano, un paese dell’entroterra molisano popolato soltanto da un canestro d’anime, nella provincia di Campobasso. Poeta esordiente e dalla penna squisitamente elegante tanto quanto algida e barocca, Michele Paladino licenzia un’opera prima tagliente, che in bandella si presenta come «un poema intriso di un Ontos epico, che attraversa l’irragionevolezza della morte e il suo superamento».
Ebbene, con il suo Breviario delle aberrazioni (Fallone Editore, collana Il fiore del deserto, 2021), Michele Paladino inchioda chi ne legge i testi alle travi che puntellano lo sconquasso «di una cosmografia depravata» (p. 23). La versificazione è caratterizzata da una brevitas dai connotati baldanzosi e da uno stile che prende la rincorsa per «Farsi ieratica» (p. 23) ed inseguire «la traccia oscura di un incendio freddo» (p. 22). I testi del Breviario peraltro non raggiungono nemmeno la quindicina di versi ciascuno.
Paladino erige quelle «muraglie» (p. 34) che agguantano una sorta di non-mondo (dis)abitato da non-vivi, le cui terre sono mappate attraverso l’incedere «ancora discontinuo» di quattro sezioni: Dal delirama, Per i morti, Gli impuri, L’oro dei retabli. Presto vi si ravvisa l’innesto di lunari, landolfiane atmosfere; dopotutto, in esergo è acclusa una citazione da Il tradimento: e non si tratta certo d’un relitto del fato, anzi! Michele Paladino fa tesoro dei suoi padri e dei suoi maestri letterati, li omaggia tra le righe della sua opera prima, un libro influenzato certo dai poeti metafisici inglesi del Seicento che «nasconde la stilla osmotica dei morti» (p. 55). Il breviario di Paladino è avvezzo alla chiusa clinica, “obitoriale”, alla Benn; di galloniano sentore – forse sulla scia del più rimbaldiano e thomasiano Mattia Tarantino (in primis, si pensi a versi come «La mistica degli angeli», p. 23; e «nel rovescio degli uomini», p. 56) –, ma pur cesellato dal bisturi di Gottfried Benn.
Del medico e poeta tedesco, Paladino tradisce probabilmente una plausibile “devozione” per quel ventaglio di motivi riconducibili all’espressionismo; esemplificativa in tale direzione è la chiusa di una poesia della penultima sezione del Breviario delle aberrazioni: «il cranio, sondato da una forbice glaciale, / nasconde la stilla osmotica dei morti» (p. 55), che forse condivide alcuni tratti della violenta Sakim (cinque movimenti), terza sezione dei primordiali galloniani Slittamenti (Augh Edizioni, collana Alter, 2017).
Sul bugiardino del libro, oltremodo, si legge che Michele Paladino «procede per paradigmi antitetici tra loro e li ricongiunge in ricerca del sacro». La bandella è una puntuale sintesi della scissione trasmessa dal Breviario delle aberrazioni, in quanto vi è scritto che Paladino è «l’aggiornamento del primo Dylan Thomas, del Campana che perse la sua opera».
Erede di certi obliati calami del Novecento – come Bruno Barilli, alla cui opera allude la prima sezione intitolata Dal Delirama –, Michele Paladino sembrerebbe essere iniziato alla poesia da un’attrazione verso il sentimento della decadenza, declinata all’interno del suo Breviario dalla consapevolezza del fatto che «siamo esseri deposti per l’annientamento, / imbuti di eclissi ineffabili; / calamitati a slanci fatui, / figure partorite da un’orgia oscura» (p. 19). Si tratta di versi in cui riecheggia ancora Benn, forse il Benn di Wer allein ist (Colui che è solo). E non è raro che tra le pagine del Breviario delle aberrazioni il lettore si imbatta pure in improvvisi e ripetuti crolli, che anzi paradossalmente lo puntellano.
Il breviario di Paladino assume una postura simile a quella del Thomas di 18 poems, tant’è che nel testo di pagina venticinque potrebbe esservi una corrispondenza con Light breaks where no sun shines, dove la tipica thomasiana associazione creatrice è associata alla luminosità («umettava la mano sulla torbida nerezza del pube. / E sentiva solcare il desiderio, aureolata, / la lastra abissale della luce, / in divenire»). Inoltre, il «torchio della foresta nera» ed il «grembo» di pagina ventisette ricordano il Thomas di A process in the weather of the heart («and the womb / Drives in a death as life leaks out»). E se Defectio è una poesia sufficientemente rimbaldiana, il testo di pagina quarantasette è alquanto thomasiano (Before I knocked).
L’oscurità terribile, orrorifica, dei testi di Michele Paladino è purtuttavia sempre penetrata e completata dal corrusco di una «luce antartica e acherontea» (p. 41), da una «luce moresca» (p. 51), dalla «luce del giacinto» (p. 53) oppure da «una luce di chiostro» (p. 55); e si rapprende nella costante antitesi tra sacro e profano. Condanna di un pagano che, ce lo conferma la bandella, «li riconduce alla ricerca del sacro» senza sottrarsi ad «un’arborea putrescenza» (p. 49), ovverosia ad un’oraziana concordia discors che contraddistingue il seme degli Impuri.
L’ultima sezione del breviario, L’oro dei retabli, è costellata da una schiera di artisti per la maggior parte vissuti durante il Medioevo; un testo interessante è Caravaggio, poiché nella chiusa Paladino dichiara che «l’arte non ha ragione del rimorso» (p. 69).
Un elemento di spicco nel libro è il rosario, che rimanda alla sfera sacrale spesso in modo blasfemo («felini i chicchi del rosario tra i seni», p. 25; «orrenda visione dello sfriggere di un rosario in mezzo alle deiezioni», p. 31). Così anche per ciò che si consuma «Quando il sole feconda la vetrata del Corpus Domini» (p. 34). Ma, ancora una volta, si accende il sospetto in chi legge che vi sia un’allusione a Gottfried Benn (per l’esattezza, al Benn dei «Fühlst du den Rosenkranz von weichen Knoten?» di Mann und Frau gehn durch die Krebsbaracke).
La presenza delle macerie oppure di un crollo imminente (o che si è già avverato), poi, è forse una serpeggiante presenza della solitudine; ma pure, forse, presenza di quel paese in cui vive l’autore, Santa Croce di Magliano (CB), luogo in cui la dimensione provinciale si confonde con le ascose radici della storia del paese. Si pensi alla Chiesa greca di Santa Croce di Magliano, legata al “rito bizantino” e alla “Confraternita del Rosario”. Danneggiata dal terremoto, la Chiesa greca fu sconsacrata e poi riaperta. E la dimensione del crollo, che tanto è presente nel Breviario delle aberrazioni, potrebbe essere anche un omaggio alla Torre di Magliano (situata nei pressi di Santa Croce di Magliano).
Si tratta pure di un mancato Breviario del desiderio, che finisce per trattenersi, ancora «in divenire» (p. 25), abborracciato sulla scia di quel “détraqué sexuel” tanto ripudiato – e descritto come tale – e da Boris Souvarine e da Simone Weil: dunque, seguitando sul sentiero di Georges Bataille, Michele Paladino consegna al mondo dei vivi un libro che scuote e percuote; cosa sorprendente per un esordiente odierno. Un ottimo, terribile, biglietto da visita: lo sgomento d’«un deliquio di bifore aperte sul vuoto» (p. 58), che «Non ha da terminare, / mai / mai» (p. 72).
Vernalda Di Tanna
La luna incenerisce l’intonaco,
segue la traccia oscura di un incendio freddo.
Si fa strada sul tuo seno, spirito maligno,
la lingua sepolcrale di un’aquila sveva;
così una regale marea ossidata,
fra i cieli incoronati, di meteore.
L’atto della creazione è una voragine carsica,
una logica necessità al sabotaggio della realtà,
svegli o addormentati,
castigate sentinelle di un fiume sotterraneo.
Arriverà l’estate sulfurea
cinta da bioccoli di stoppie,
consumerà
quel che c’è da consumare
sorella dell’amor mortis.
Tra poco l’alba avrà sete.
Si aggrapperà assetata
sulle rovine dei cenotafi.
Non ha da terminare,
mai
mai.