Black in / Black out, Nicolas Cunial (Interno Poesia, 2019).
Black in / Black out (Interno Poesia, 2019) è l’ultima opera di Nicolas Cunial, giovane autore e performer, uno dei membri fondatori della Lega Italiana Poetry Slam (LIPS). Cunial ha indirizzato immediatamente l’opera non solo nel vicolo della carta, ma in quello che è un ben più intrattabile labirinto sociale. La realtà che Nicolas Cunial traspone nella sua ultima silloge fa anche parte di uno spettacolo, intitolato anch’esso “Black in / Black out”.
La raccolta poetica di Nicolas Cunial si scinde in quattro sezioni (referti; quartine dell’amore che sa di morire; hypersonetto; melodia küblerrossiana) che operano un tentativo di sintesi del comportamento e dall’angoscia dell’uomo contemporaneo, giocando con diversi refrain e portando ad elevazione quello che può dirsi il cuore del problema sociale odierno (come l’egocentrismo), ma anche poetando su disturbi psicologici che si ripercuotono sul piano sentimentale e fisico. Il titolo della raccolta è un verso che si ripete spesso nella poesia d’apertura, intitolata “nota clinica”, dove il poeta decanta l’uomo che si fa “impianto di luci/ […] un interruttore che non ha direzione/ ma due dimensioni che fanno contatto/ l’interno. l’esterno. lo scontro: lo sfascio”. Un uomo che assomiglia sempre più alle macchine e alle tecnologie che ha inventato e che usa quotidianamente. Un uomo la cui voce è falsa, ma al contempo mitigata dall’uso di maschere comportamentali che hanno come unico fine quello di investirlo di una dolcezza solo apparente che Ungaretti forse avrebbe definito “lontana come in uno specchio“. In “quartine dell’amore che sa di morire”, il poeta delinea conversazioni tra due voci (apparentemente) distinte, ma che possiamo immaginare come due facce della stessa medaglia, impegnate a discutere della “vita nella morte sotto assedio” e del contrario del bene, “ma il male spesso è solo mimica/ o un’etichetta imposta: la mia è borderline”.
In “hardnoressia” viene tracciato un quadro clinico-poetico dell’anoressia nella sua forma maggiormente devastante e che è possibile includere nel termine “amoressia” (coniato di recente). In un mondo dominato da ciò che Bauman ha definito “amore liquido”, al rifiuto del cibo subentra il rifiuto dell’amore: l’amoressia innesca una sorta di meccanismo di autodifesa dell’Io, in quanto si percepisce già destinato alla sofferenza. L’Io risulta inevitabilmente costretto ad una danza che è possibile eseguire solo con passi direzionati ora verso la ricerca disperata dell’amore ora verso il rifiuto dell’amore in tutte le sue forme: “per la difesa ho difesa ho dentro una voce/ che smonta bellezze e credo a ragione/ senti piuttosto smontiamo la croce/ dei corpi inchiodati che sia fusione”.
La menzogna dell’Io arriva ad esercitarsi su sé stesso o sul suo scarto, perché “è un’arte/ il recitarsi o il credersi già in forse”: “(bugiardo) sono felice e mi godo/ l’amore adesso che non ho più modo/ di credere che già ci stia uccidendo”. Infatti, un’altra amara constatazione è che “la condanna a sorte è una morte attesa”.
I testi più significativi e interessanti sono quelli che inaugurano la raccolta, tra i quali spiccano “Planetario” (che ha per tema i manicomi), “freni a schizzo” (sulla schizofrenia) “in discotesta” (sulla depressione).
Intelaiatura del tempo è un testo che non fa altro che accreditare l’impotenza umana (sviscerata in un altro testo, Morfologia dell’assenza): “qualunque morte ci accada. quanto ci costa/ non darci importanza. la scelta più ovvia/ o la più folle alla fine che cosa c’importa/ […] questo equilibrio ci è lieto ma appare delitto/ all’uomo imbevuto del ruolo creduto cucito/ nel libero arbitrio”.
Infine, ciò che intreccia tutti i fili della raccolta sembra coincidere con la fine, alimentata dagli individui poco o per nulla empatici tra loro ed intesa perciò cinicamente dall’Io, il quale è cosciente dell’unica soluzione possibile: la morte.
Vernalda Di Tanna
nota clinica
l’uomo se noti è un impianto di luci
e di suoni e colori espansi dai sensi
è un sistema d’impulsi come di chip
dove al pensiero equivalgono i bit
assume i suoi watt unendo la spina
alla voce degli altri. vale a dire: la vita
è molto banale il concetto qui espresso
di un bug innato nel corpo estromesso
da sé. dalla chimica più devastante
un interruttore che non ha direzione
ma due dimensioni che fanno contatto
l’interno. l’esterno. lo scontro: lo sfascio
e nel buio si cede all’ibernazione
e dal corpo in remoto una cardioespiazione
fasulla la voce rendendola dolce
più di quanto la pensi e scommetteresti
che è più vivo dei tanti ma ignori
che la sua caccia toracica urli:
black in / black out
[…]
scenografia del diluvio
la muerte es necesaria
y la lluvia
no tan cara.
hai preparato questa morte in vitro
che già si è fatta scena nella stanza
e indossi la tua maschera che stilla
lacrime che fanno presa e morsa
nello stomaco. e mi attraversi tutto
ti depositi su in gola dove occupi
lo spazio che era tuo e che riempi
di vuoti costruiti in cardiocrampi
imbastendo col tuo falso colloquiale
un sipario che separa sguardi e mondi
come dire il senso puro della vista
da ciò che la conquista. ti vantavi
dell’ottimo raccolto di carezze salivari
e colpi a spinta e moti per lo schianto
sesso stantuffato per il solo vano gusto
di non sentirti sola se io me ne andavo
a calci in cuore a inseguire un senso giusto
del soffrire tutto questo. e sappi adesso […]
e quanti vuoti in vetro vuoi riempire?
quanto serve fai peggio se ci pensi
ci penso certo è vero ma svuotare
ha senso solo se poi perdo i sensi
sei solamente solo mica è vero
intendo dentro come tutti e tutto
galassie nomadi ampio buco nero
al centro che risucchia il già distrutto