Antonio Lillo

Bozza automatica 61
 

Michele Paoletti intervista Antonio Lillo

 
 

Questi testi di Antonio Lillo mi hanno ricordato le Poesie per un gatto di Vivian Lamarque (Mondadori 2007) libro dove l’autrice dialoga col suo Ignazio e racconta i particolari della convivenza con l’animale, i riti quotidiani e si interroga sulla morte e sul dopo. L’affetto che ci lega ad un animale, specialmente cresciuto con noi è, per usare un’espressione abbastanza banale, qualcosa che non si può descrivere se non provato in maniera diretta. Il legame che si crea è infatti una sorta di patto famigliare […] santificato nel latte del mattino e consolidato da gesti semplici, impercettibili ma preziosi. É un racconto dolcissimo quello della gattina portata in casa nella scatola da scarpe, il suo modo di consolarsi da sola, di cercare l’abbraccio in un tappeto prendendo giorno per giorno un piccolo spazio nella casa e guadagnandosi l’affetto dei bambini donando in cambio semplicemente un po’ di fusa, un movimento della coda, una briciola di un linguaggio misterioso che ci invita a rinunciare alla parola, perché il poeta cerca di imitare la mosca, / ma il gatto / vuole esser solo gatto. (P. Neruda).

 
 

Rilke scrive: Mai d’improvviso, quasi si svegliasse, / si volta e ti fronteggia in pieno viso: / e tu allora inaspettatamente / ritrovi innanzi a te il tuo sguardo. (Gatto nero in Poesie 1907-1926 ET Poesia, 2014). Gli animali, e i gatti in particolare, hanno il potere di metterci in contatto con un nostro io più profondo?

Gli animali assolutamente sì, tanto che a parte i gatti ho avuto a che fare nella mia vita con cani, tartarughe, ricci, galline e conigli, colombacci e civette, la ghiandaia che vive sull’albero di fronte, e poi insetti vari, fino ad arrivare a ragni, lombrichi, cazzodde e limacce, e in ognuno di loro ho trovato una briciola di rivelazione.

Coi gatti poi ho una particolare complicità, tanto da convivere con cinque di loro. E poiché i gatti, un po’ come i bambini, si muovono in una sfera emotiva assai particolare, quando un mio gatto decide che è l’ora delle carezze non c’è ma che tenga, non c’è impegno di lavoro, stress, scadenza, scazzo o malumore che venga prima di quel contatto, per cui sei costretto, anche solo per pochi secondi, a staccare la spina per assecondarlo, e in quello stacco ritrovi per un attimo la tua dimensione più umana. “Restare umani” si dice sempre, non lo sono mai stato più che con un gatto.

 

Morire – questo a un gatto non si fa (W. Szymborska). E quando sono i nostri animali domestici a lasciarci?

In quarant’anni ho visto morire così tanti animali che per certi versi dovrei esserci abituato, eppure è la perdita di un famigliare, come si fa a darsene una ragione?

Molti animali hanno una grande dignità, quando devono morire si allontanano, spariscono, c’è questo pudore della morte che per certi versi trovo commovente e ammetto, da scrittore, che mi piacerebbe riuscire a penetrarlo, ma sono solo un uomo e ho i miei limiti.

 

Raccontare l’infanzia e la vita attraverso “storie di gatti”.

Non è niente di rivoluzionario, a pensarci bene, ma è il libro a cui sto lavorando adesso e mi dà una certa gioia. Negli ultimi dieci anni ho prodotto così tanta roba che non si riesce nemmeno a trovare il tempo e lo spazio per pubblicarla tutta. Così, arrivato ai quaranta, mi sono accorto di avere già detto tutto quello che avevo da dire. Potrei ripeterla, ma perché? Così ho pensato di prendermela comoda e di lavorare al contrario, senza nessuna fretta – tanto il mondo non ha un tale bisogno delle mie poesie – lavorando per sottrazione, quindi cercando di limitarmi all’essenziale e di parlare di poche cose e non di altre, quindi fuori il mondo inteso nei suoi rapporti sociali, di potere o di pietà, fuori la politica e il sesso, che poi sono gli argomenti che in genere tratto, per ritornare a una dimensione più modesta e intima: la propria storia, gli affetti basilari – non ho una moglie, ma ho cinque gatti –, la perdita delle persone care, per cui non si può fare nulla, salvo cercare dei rimedi per lenire il dolore. E in questo, sono convinto, la poesia non può cambiare il mondo, come diceva la Cavalli, ma può lenire le ferite come nessun altro genere letterario. È una cosa piccola, forse, ma buona.

 
 
 
 

IL GATTINO: DUE TEMPI

 
I
 
Un piccolo tutt’ossa nero di sfortuna
mi si stringe alle calcagna
cercando in me il fratello: stipula
un patto famigliare
rifiutando di mangiare se io
sono lontano. È il patto
di un compagno per la vita
santificato nel latte del mattino
che strofina sul mio pollice grato
col musetto che gli sanguina d’amore.
 
 
 
 
II
 
Mi stringe in gola il sangue.
Mi sanguina dal cuore.
Ogni tua cellula perduta si fa
goccia che risale. Sale e soffoca
dal cuore ma non passa.
Ristagna e secca
negli occhi senza pianto.
E brilla il mio rimorso.
Inumidisce il canto. Perché ti perdo?
Perché non ti ritrovo?
 
 
 
 
VI
 

Trent’anni fa un’altra gattina, la prima in assoluto, ci arrivò in casa in una scatola da scarpe, ma sistemandosi, dopo una breve e fortunata ricerca, sul tappeto fra i due letti nella stanza mia e di mio fratello, come se fosse il suo posto da sempre. Era un tappeto di pelliccia, acquisto nemmeno economico di nostra madre, a cui piaceva più che a noi due, e sembrava appunto ciò che era: una grossa bestia rara, bianca e pelosa, addormentata ai piedi del letto.
La gattina aveva anch’essa il pelo bianco, ma orecchie nere e coda nera tranne che sulla punta, bianca. Ci era stata data troppo piccola da vicini frettolosi, e aveva di continuo paura di restare sola. Per questo amava quel tappeto persino più di mia madre, feticcio di una grande mamma morbida e pronta all’abbraccio. Aveva l’abitudine, quando dormiva, di chiudersi tutta in se stessa e prendere in bocca la punta bianca della coda e succhiare come se fosse un capezzolo, mentre offriva le sue piccole fusa grate a quel tappeto. Chissà se ci considerava i suoi fratellini in quell’abbraccio. Ancora bambini la guardavamo a lungo, nella nostra stanza, e prendevamo sonno ascoltando le sue fusa.

 
 

Inediti tratti dalla silloge in divenire “Storie dei miei gatti e altre poesie”