Antonio Lillo propone Fabrizio Miliucci


 
 
 
 
CON E CONTRO MONTALE
 
1.
 
Marianna Montale
 
A Pantelleria ho bevuto l’acqua
che viene dalla cisterna
con l’anguilla. La sorella è messa lì
a vigilare sui vermi e le alghe:
più bevevo e più pensavo a lei,
a quello che le toglievo per vivere,
finché un giorno un ultimo bicchiere
non l’avrebbe soffocata.
 
Anche io sono rinchiuso
dentro una cisterna di falle:
il tempo scorre rapido tra gli accidenti,
trattenerlo non è possibile,
 
[impossibile da concludere]  
 
(da Nuove poesie, 2010)
 
 
 
 
 
 
2.
 
I limiti
 

Sotto i portici hai preso un gelato che si chiama finis terrae. Io non so più niente di Montale. So questi mesi che si srotolano come un paesaggio lontano, il presente e le sue piccole cose, qualche amico, la speranza di pure rivedermi un giorno.

Non manca proprio niente a questa assenza che mi circoscrive. Recalcati dice che è il più tipico profilo malinconico, sapersi nell’assenza, esserne pervasi. Il fatto è non andare mai più oltre, non avere un destino generale, starsene nella passività di te.

Che non sei niente, né la ragazza in pace che ancora mangia il cono, né l’infinitezza di questo vecchio lutto, né la mia distanza dalle cose. E questo è un gran problema. Parlare e non sapere con chi si stia parlando, e quindi non sapere cosa dire.

 
 
(inedito, 2020)
 

Fabrizio Miliucci

 
 
 
 
 
 

Avendo superato la trentina, Fabrizio Miliucci non è più tecnicamente “un giovane”. Lo è ancora, però, se consideriamo il suo percorso editoriale, che ha affrontato fino ad oggi in maniera spudoratamente discreta, almeno per quello che è il modus vivendi dei circuiti ufficiali; e sempre con buon riscontro critico. Miliucci ha alle spalle un lungo lavoro come ricercatore e una sola pubblicazione in versi, Nuove poesie, risalente al 2010.

Nei prossimi mesi uscirà per Pietre Vive Editore la sua seconda raccolta, Saggio sulla paura, opera assai personale e di grande forza espressiva che si muove – rispetto a molta poesia coeva imperniata sul distacco emotivo e sull’osservazione del mondo attraverso un continuo piano sequenza dove il dolore è come studiato al vetrino – proprio sulla continua messa in discussione dei piani di prossimità e distanza, contatto e poi distacco repentino quando la pressione si fa insopportabile. Ne deriva uno stato particolare, una sorta di immaturità emotiva caratterizzata da una continua indagine dei propri limiti, fino al punto di “saggiare” il proprio dolore, ogni forma di ferita, persino autoinflitta, come sistema di conoscenza e per ottenere una più forte vicinanza all’altro: se la vicinanza mi crea dolore, allora più soffro e più ti sento vicino.

Lontano/vicino a quell’opera, nel testo qui proposto Miliucci si confronta con un maestro indiscusso del ‘900, Montale, riletto e affrontato (con e contro) in due testi scritti a più di dieci anni di distanza l’uno dall’altro, uno recuperato dalla sua prima raccolta e l’altro inedito e successivo alla seconda non ancora pubblicata. Sono i semi, forse, di una terza raccolta che potrebbe uscire fra molti anni. Montale diventa qui, dunque, tema e scusa per un più serrato confronto col tempo, con se stesso e con la propria scrittura e, ovviamente, con la musa che tanto più si fa sfuggente quanto più si cerca di afferrarla.

Antonio Lillo

 
 
 
 

Fabrizio Miliucci è nato a Latina il 9 luglio 1985. Laureato in Italianistica presso l’Università di Roma Tre con una tesi di critica novecentesca dal titolo I critici di sé, ha pubblicato Nuove poesie (Perrone Editore, 2010, postfazione di Daniele Visentini)