Anna Achmatova

Anna Achmatova

 
 

Anna Achmatova è morta nel ’66 a 76 anni. Ebbe una vita tribolata. La fucilazione del primo marito, Nicolaj, il fondatore del gruppo poetico acmeista; il figlio Lev internato per anni; la persecuzione nei suoi confronti della censura di Stato. Per lungo tempo non poté pubblicare nulla. Riconosciuta come maestra di poesia dai poeti contemporanei, leggiamo ancora lei e non altri scomparsi dalla memoria della Storia. In un libro Einaudi del ’92, a cura di Michele Colucci, La corsa del tempo, una settantina di capolavori, non c’è una poesia che sia troppo semplice. Colucci sottolinea del suo stile personale, l’estrema economia dei mezzi verbali. Scrive Colucci: “Soprattutto la visione del verso come delicato equilibrio di contrari; rapporto organico tra tessuto immaginativo e tessuto fonico che riduce al massimo la necessità della metafora e di ogni altro ‘ornatus’ poetico; elemento non opposto alla prosa, ma solo ben distinto da essa”.

Pubblichiamo versi giovanili e già maturi, di un ciclo (anni 1911-12).

Pierangela Rossi

 
 
 
 
Ma io vi prevengo che vivo
per l’ultima volta.
Né come rondine, né come acero,
né come giunco, né come stella,
né come acqua sorgiva,
né come suono di campane
turberò la gente,
e non visiterò i sogni altrui
con un gemito insaziato.
 
 
 
 
 
 
Strinsi le mani sotto il velo oscuro…
“Perché oggi sei pallida?”
Perché d’agra tristezza
l’ho abbeverato fino ad ubriacarlo.
 
Come dimenticare? Uscì vacillando,
sulla bocca una smorfia di dolore…
Corsi senza sfiorare la ringhiera,
corsi dietro di lui fino al portone.
 
Soffocando, gridai: “È stato tutto
Uno scherzo. Muoio se te ne vai”.
Lui sorrise calmo, crudele
E mi disse: “Non startene al vento”.
 
 
 
 
 
 
La porta è socchiusa,
dolce respiro dei tigli…
Sul tavolo, dimenticati,
un frustino ed un guanto.
 
Giallo cerchio del lume…
tendo l’orecchio ai fruscii.
Perché sei andato via?
Non comprendo…
 
Luminoso e lieto
domani sarà il mattino.
Questa vita è stupenda,
sii dunque saggio, cuore.
 
Tu sei prostrato, batti
Più sordo, più a rilento…
Sai, ho letto
Che le anime sono immortali.
 
 
 
 
 
 
La confessione
 
Tace chi ha rimesso i miei peccati.
Smorza i ceri la penombra lilla,
una cupa pianeta
copre il capo e le spalle.
 
È quella voce a dire: “Alzati! fanciulla…”
Il cuore batte rapido, più rapido…
E il tocco oltre la stoffa della mano
Che distratta benedice.
 
 
 
 
 
Venezia
 
Colombaia dorata sull’acqua,
tenera e verde struggente,
e una brezza marina che spazza
la scia sottile delle barche nere…
 
Che dolci, strani volti tra la folla,
nelle botteghe lucenti balocchi:
un leone col libro su un cuscino a ricami,
un leone col libro su una colonna di marmo.
 
Come su di un’antica tela scolorita,
il cielo azzurro fioco si rapprende…
ma non si è stretti in questa angustia,
e non opprimono l’umido e l’afa.
 
 
 
 
 
 
In giardino la musica suonava
un suo inesprimibile dolore.
Fresco ed aspro sentore di mare
esalavano le ostriche nel ghiaccio.
 
Mi ha detto: “Sono un amico fedele!”
ed ha toccato il mio vestito.
Com’è diversi da un abbraccio
Il contatto di queste mani.
 
Così si lisciano gatti o uccelli,
così si guarda a flessuose amazzoni…
Solo un riso negli occhi tranquilli
sotto l’oro leggero delle ciglia.
 
Ma le voci di mesti violini
cantano, dietro un velo di fumo:
“E dunque benedici i cieli: sei
la prima volta con l’amato”.
 
 
 
 
 
 
Non confondi la vera tenerezza
con nulla, ed è quieta.
Invano tu mi avvolgi premuroso
Nella pelliccia le spalle ed il seno.
 
E invano dici parole
Devote sul primo amore.
Come conosco questi ostinati,
insaziati tuoi sguardi!
 
 
 
 
 
 
Glorifica solo lei,
la quinta stagione dell’anno.
Respira l’ultima libertà,
perché questo è l’amore.
Alto s’è involato il cielo,
lievi sono i contorni delle cose,
e non festeggia più il corpo
l’anniversario della sua pena.