All’ascolto del tempo – Roberto Pazzi

All'ascolto del tempo - Roberto Pazzi

foto listonemag.it (qui)

 
 
Ferrara Alta
 
La morsa dell’inverno
stringe i corpi ad amarsi,
affatica i passi,
inganna gli anni vecchi,
in vista d’uno nuovo
li convince a risposarsi.
Sognavo da ragazzo
le vie d’una città
dove sentire solo
gli orologi battere il tempo,
vere stanze d’una casa.
Oggi è tutta mia
questa città del silenzio,
alta, sui banchi di neve alle finestre,
Ferrara è la mia camera da letto.
 
 
 
 
Il terzo infinito
 
Scrivere, amare e poi?
Dov’è, dov’à il terzo infinito
che non so,
eppure mi fa cercare,
la terza via scavare,
di nostalgia del delta soffrire
alla sorgente
delle acque in me?
Presto usciranno al sole,
berrò l’infinito che non conosco,
vedrò Dio.
 
 
 
 
La lettera non spedita
 
Potessi partire, andarmene, libero
dall’ansia di durare.
Ah, mie amorose mattine
dalla voglia di rinascere
e l’energia di un ragazzo
intatta fra le pagine d’un libro
aperto a caso,
nella lettera d’amore non spedita,
tanti anni fa,
chi può dire oggi
se per dimenticanza o per paura?
E poi sentire a poco a poco
fra telefonate, messaggi, giornali,
che sono in trappola,
nel giro delle stesse cose,
non c’è possibile partenza,
ritorna tutto a chiamarmi a durare
e non ho più davanti la felicità
a cui inviare lettere d’amore.
 
da Un giorno senza sera: antologia personale di poesia : 1966-2019, Roberto Pazzi (La Nave di Teseo, 2020)
 
 

La poesia di Roberto Pazzi, viva e feconda da oltre mezzo secolo, s’attarda presso alcune tematiche che ritornano cicliche fin dagli esordi: l’attesa, una felicità perduta, il tempo che scorre, il languore dell’anima. Lo evidenziamo in queste tre composizioni, risalenti a periodi diversi ma ugualmente comprese nell’ampia raccolta Un giorno senza sera congedata per La nave di Teseo giusto un paio di anni fa. Nel poeta ferrarese realtà e immaginazione, sguardo sul reale e viaggio onirico trovano una felice sintesi, una crasi di efficace impatto visivo per l’osservatore esterno. Così Ferrara, viva e un poco dimessa, recupera quella dimensione di città del silenzio come già la elesse D’Annunzio nell’Elettra e che Pazzi fa sua: è la camera da letto, il giaciglio sicuro, ma anche il luogo che culla i sensi e che restituisce vigore al corpo stanco. A differenza di altri illustri concittadini, da Bassani ad Antonioni, Pazzi ha scelto di non abbandonarla mai, di rimirarla dal suo interno, come se essa potesse in qualche modo (il tema delle Mura?) cingerlo e custodirlo. C’è un gioco curioso ed interessante nella prima lirica in cui anche il tempo viene ingannato (non è forse così, del resto, che può capitare quando si ama e si prolunga all’infinito il desiderio?). Amare, dunque, è elemento necessario all’autore, uno dei due “infiniti” conosciuti che assieme allo scrivere gli sono vitali, inesauste fonti a cui rifocillarsi. La spiritualità, non intesa come banale afflato religioso bensì quale visione più pura e alta diventa essenziale: vedere Dio racchiude la scommessa pascaliana che si dà già vinta per raggiungere il terzo “infinito” che richiede fatica, sforzo, impegno, costanza. Volteggia alta la scrittura del ferrarese che non distoglie mai il proprio occhio dalle cose precipue aggettando il suo verso su territori limpidamente significativi. Lo cogliamo anche dalla terza poesia in cui la nostalgia e l’irrimediabile errore compiuto erompono prepotenti: la quotidianità, l’incessante flusso di azioni che riempiono il nostro tempo, a poco a poco rendono opaco l’esistere. La libertà di superare il confine spazio-temporale (“libero dall’ansia di durare”) è ciò che resta nella memoria anche se ormai impossibile a compiersi, è altresì l’ingenuo candore di una lettera d’amore che giace ormai abbandonata come scrigno di illusoria felicità, come l’energia di quel ragazzo che si è smarrita tra le pagine di un libro a fronte della gabbia (“la trappola”) a cui ci costringe la raziocinante età adulta. Il lirismo dell’autore raggiunge vette di notevole complessità senza mai cedere a sbavature, con un costante percussivo progredire verso il significato più puro e intenso della parola. È necessario, molto più che in altri poeti, osservare con profondità l’explicit nelle sue composizioni: è qui infatti che si racchiude quel quid in grado di dare ulteriore forza e valore ai versi, un coup de théâtre che Pazzi sa rendere al lettore, memore d’essere nato e riconosciuto poeta (con l’imprimatur di un certo Vittorio Sereni) prim’ancora che prolifico ed apprezzato scrittore.

Federico Migliorati