Abitare il mondo con il corpo
Note sulla poesia di Mario Benedetti
di Gabriela Fantato
Di fronte alla poesia di Mario Benedetti si resta spiazzati, scossi e persino turbati, non ci si trova infatti davanti a testi riconducibili a poetiche precise della tradizione; non sono versi connotati dal realismo, inteso come riproposizione mimetica della realtà quotidiana, né poesia neo-orfica, seppure diffusa negli anni ‘70 e inizio ’80, quando Mario iniziava a scrivere, ma neppure si coglie l’esperienza della Neo-Avanguardia, infine, non si tratta neanche di poesie strettamente intimistiche. Il dire di Benedetti, seppure con mutamenti ed evoluzioni nel corso degli anni, è di fedeltà all’esperienza, come è stato più volte notato, in testi scabri ed essenziali, per nulla psicologici e che, talvolta, paiono a un passo dalla prosa, anche in parte caratterizzati da balzi logici e sottrazioni; testi forse impervi, per chi ne cerca un’immediata comprensione. Sono poesie poco colloquiali eppure sempre implicanti l’altro, poiché la parola del poeta friulano è fortemente coinvolta nella vita, immersa nel mondo e toccata da ciò che accade. Ci sono anche testi in cui compaiono barlumi di gioia, in attimi in cui l’infanzia irrompe nel presente, un’infanzia intesa come condizione esistenziale che accomuna tutti, come si legge in questi versi del 2004, di Umana gloria, dove in un paesaggio industrializzato, quasi svuotato di senso e, nella grande attenzione ai dettagli, compare improvvisamente un’immagine: le «manine che avevamo» e questo elemento introduce una frattura, un balzo logico nella consapevolezza che è stato quello il vivere, ingenui e immersi nel flusso vitale, un vivere che era adesione al ritmo del tutto:
Come in un volo la corriera mi ha dato lo spiazzo con la facciata.
Era bello, i calzoni che cadevano larghi sulle scarpe grosse,
stare in mezzo alle foglie qua e là.
Macchine senza sapere di essere in un posto, dentro una vita
che sta sempre lì e ha la fabbrica di alluminio, i campi.
Si muove il bancone quando si parla,
le finestre con i vasi, le tende minutamente ricamate.
Fuori cortili corrono piano, le foglie vanno piano sotto le mucche.
Il cielo gira verso Cividale, gira la bella luce
sulle manine che avevamo, che è stata la vita essere vivi così.
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