“A thing of beauty is a joy for ever“: inizia così il primo quarto del pometto dedicato e intitolato a Endimione da John Keats. Bello e addormentato, protagonista di uno dei più misteriosi e vaghi miti greci, lo splendido amante della luna culla e rovescia un topos destinato a sopravvivere a generazioni di poeti. Al centro del tema, la bellezza disarmata di un corpo addormentato che genera una implacabile e impossibile passione. Nonostante i tentativi di razionalizzazione, pur presenti nell’esperienza letteraria della letteratura classica, come nella spiegazione del mito da parte di Plinio il Vecchio secondo cui il giovane non sarebbe stato altro che il primo studioso delle fasi lunari, la vicenda del pastore (o re – su questo il mito offre, come spesso accade, più di una variante) che suscita l’attenzione attonita della dea della Luna (Selene o Artemide), il mito di Endimione resiste nella sua forma più irrazionale nella letteratura poetica dell’occidente.
E se è Keats a decidere di farne il primo attore di un poemetto in quattro parti in cui il giovane, pur cercando di sfuggire all’amore prepotente della dea che vuole appropriarsene per l’eternità, finisce poi per amarla a sua volta, cercandola a dispetto delle sue sembianze e decisioni, è tuttavia da Properzio, il poeta latino che al centro della sua vita e poetica colloca Cynthia, a suggerirgli il nuovo nome della luna. Luna che nel mito classico è appunto sospesa tra la definizione di Artemide/ Diana, secondo il binomio della nomenclatura greco-latina, ma che tuttavia si palesa come Selene, un nome comunque greco ma più arcaico, nella narrazione di Apollonio Rodio della vicenda, e che resta, nella mitologia classica, emblema di una dea vergine. Vergine e ostile a ogni forma di relazione con il maschile, salvo poi sprofondare in una passione irredimibile proprio con Endimione. Nell’esaltare questo slancio erotico fino al parossismo, Keats recupera la Cynthia properziana, una donna che ruba alla dea sorella di Apollo il nome, e vi allude per contrappasso, perché prostituta e dedita ad Eros, anzitutto.
Non è Endimione a vedere e a cercare la dea, né la desidera, almeno finché non ne sperimenta l’esistenza. Poi la accoglie, però, e la sceglie, pur sempre subendone la volontà. Ben altra sorte aveva ricevuto dalla dea lunare il cacciatore Atteone, che per puro errore la guarda mentre nuda fa il bagno con le sue ninfe: trasformato in cervo e sbranato dai suoi stessi cani da caccia perché, pur colpevole di null’altro che di non saputo evitare che il suo sguardo si posasse sulla bellezza proibita e ostile della dea, o di non aver chiuso i suoi occhi con la necessaria tempestività. Come in un gioco di specchi, invece, nel caso di Endimione, è la luna a guardare l’uomo, anzi a sorprenderlo, nudo e addormentato, perciò, seducente, e a desiderare di conservarlo lì e così per sempre, tanto da indurre il padre degli dei, il potente Zeus, a renderlo immortale, pur a patto che rinunciasse per sempre a una vita normale, votandosi a un sonno eterno dal quale solo di notte si sarebbe risvegliato, e solo per vivere dell’amplesso notturno con lei. Ogni notte, così, per tutta l’eternità, Cynthia ama il suo pastore, che aveva scorto per caso attraverso la fioca luce di cui lei stessa inondava la terra, mentre lui, per questo amore, sopravvive in una giovinezza immortale e addormentata. Al netto delle speculazioni filosofiche che, sin dall’età classica, hanno voluto leggere il riferimento a Endimione, che solo in sogno può entrare in relazione con la luna, una metafora della capacità umana di fare entrare in contatto l’anima con le fasi superiori dell’essere (concetto che verrà rielaborato nella definizione rinascimentale di morte nel bacio), la nudità splendida e assopita dell’amante addormentato diventa strumento di rielaborazione di uno dei più consolidati temi erotici: nella II 15 di Properzio, è questo l’esempio citato dal poeta, mentre magnifica l’esperienza visiva della nudità, contrapponendovi, come in perfetto bilanciamento, la visione del corpo nudo di Elena da parte di Paride.
Ma il destino poetico di Endimione, che attraversa molteplici itinerari tra letteratura ed arti visive, lungi dall’assestarsi, sperimenta, proprio di recente, nuovi itinerari, che cercano, forse, di riannodare i diversi spunti di lirica e filosofia: così accade, ad esempio, nell’omonimo poemetto di Claudio Damiani1, di cui si riporta qui uno stralcio dell’incipit:
[…]
Un giorno che stavo sdraiato per terra, in cima a un monte
con la faccia rivolta al cielo, e guardavo due nuvole,
sentii la sua mano che mi passava sulla fronte
e mi accarezzava i capelli.
Anzi no, ora ricordo bene:
sentii proprio una voce
una voce che mi parlava, dietro le nuvole,
mi diceva una cosa semplice
tipo un saluto, una frase
di circostanza, ma con un tono assolutamente naturale,
come se si fosse aperto un varco
tra un mondo e l’altro, tra una umanità e l’altra
– perché era una voce umana, questo ricordo – e veniva
dallo sprofondo del cielo […]
Olga Cirillo