Angelo Poliziano

Angelo Poliziano

 
 

Mario Luzi: “Non c’è niente come la grazia un po’ ispida e l’eleganza agretta dell’ottava polizianesca che illumini il quadro che ci presenta: un quadro che, si tratti della primavera e della caccia, dell’amore o della festa, è sempre lo stesso impalpabile dipinto di gioia vitale e d’insidia mortale, di estasi e timore.”

“Constato – continua Luzi – che la poesia del Poliziano è uno dei luoghi della mente più difficili a rivisitare.”

La grazia adolescenziale “è lo stato più conveniente alla lettura delle ‘Stanze’, dell’ ’Orfeo’, delle ‘Canzoni a ballo’ e dei ‘Rispetti’ “.

Le citazioni sono prese dall’introduzione di Mario Luzi a Poesie italiane di Angelo Poliziano.

Presentiamo le prime stanze di un poema che inaugura il libro. Il libro è edito nella Bur nell’anno 1976.

Pierangela Rossi

 
 
 
 
Libro Primo
 
I
 
Le gloriose pompe e’ fieri ludi
Della città che ‘freno allenta e stringe
A’ magnanimi Toschi, e i regni crudi
Di quella dea che ‘l terzo ciel dipinge,
e i premi degni alli onorati studi,
la mente audace a celebrar mi spinge,
sì che i gran nomi e i fatti egregi e soli
fortuna o morte o tempo non involi.
 
 
 
 
 
 
2
 
O bello idio ch’al cor per gli occhi inspiri
dolce disir d’amaro pensier pieno,
e pasciti di pianto e di sospiri,
nudrisci l’alme d’un dolce veleno
gentil fai divenire ciò che tu miri
né può star cosa vil drento al suo seno;
Amor, del quale i’ son sempre suggetto,
porgi or la mano al mio basso intelletto.
 
 
 
 
 
 
3
 
Sostien tu el fascio ch’a me tanto pesa,
reggi la lingua, , Amor reggi la mano;
tu principo, tu fin dell’alta impresa,
tuo fia l’onor, con che lacci da te presa
tu l’alta mente del baron toscano
più gioven figlio della etrusca Leda,
che reti ordite a tanta preda.
 
 
 
 
 
 
4
 
E tu ben nato Laur, sotto il cui velo
Fiorenza lieta in pace si riposa,
né teme i venti o ‘l minacciar del celo
o Giove irato in vista più crucciosa,
accogli all’ombra del tuo santo stelo
la voce umil, tremante e paurosa;
o cusa o fin di tutte le mie voglie,
che sol vivon d’odor delle tuo foglie.
 
 
 
 
 
 
5
 
Deh, sarà mai che con più alte note,
se non contasti al mio volar fortuna,
lo spirto della membra, devote
ti fuor da’ fati insin già dalla cuna,
risuoni te dai Numidi a Boote,
dagl’Indi al mar che ‘nostro celo imbruna,
e posto il nido in tuo felice ligno,
di roco augel diventi un bianco cigno?
 
 
 
 
 
 
6
 
Ma fin ch’all’alta impresa tremo e bramo,
e son tarpati i vanni al mio disio,
lo glorioso tuo fratel cantiamo,
che di nuovo trofeo rende giulio
il chiaro sangue e di secondo ramo:
convien ch’io sudi in questa polver io.
Or muovi prima tu mie’ versi, Amore,
ch’ad alto volo impenni ogni vil core.
 
 
 
 
 
 
7
 
E se su la fama el ver rimbomba,
che la figlia di Leda, o sacro Achille,
poi che ‘l corpo lasciasti intro la tomba,
t’accenda ancor d’amorose faville,
lascia tacere un po’ tuo maggior tromba
ch’i’ fo squillar per l’italiche ville,
e tempra tu la cetra a nuovi carmi,
mentr’io canto l’amor di Iulio e l’armi.
 
 
 
 
 
 
8
 
Nel vago tempo di sua verde estate,
spargendo ancor pel volto il primo fiore,
né avenso il bel Iulio ancor provate
le dolce acerbe cure che dà Amore,
viveasi lieto in pace e ‘n libertate;
talor frenando un gentil corridore,
che gloria fu d’ ciciliani armentgi,
con esso a correr contendea co’ venti.