Vivo così – Alberto Toni

Copertina Toni

Ci sono libri di poesia che sono belli, indiscutibilmente belli. E lo sono soprattutto quando riescono a portare il lettore all’interno di un sentiero privo di fossati, sicuro del proprio cammino nonostante le buche che inevitabilmente la vita vi pone. Vivo così di Alberto Toni (Nomos Edizioni 2014, ottima casa editrice di cui avevo già recensito un altro edito, il volume di Ottavio Rossani, qui e qui) è uno di questi libri, ma con una caratteristica che lo rende particolamente interessante: il percorso è volontariamente immerso nella nebbia.

Per capire meglio questo stato di incertezza della visione che è un continuo altalenare tra stati differenti, tra realtà e conosciuta e vita vissuta (non a caso uno dei concetti più forti dell’opera è quello del ritorno alle origini, per eccellenza lo stato del conosciuto), basti vedere la dicotomia che l’autore crea tra il titolo e lo svolgimento dell’opera stessa. Vivo così pone le basi per un contesto nel quale il così indica una definizione certa, chiara, plausibilmente delineata dentro i suoi margini. Vivo così suggerisce un vademecum, un cifrario, suggerisce uno sdipanare del bandolo della vita in un elenco che poi effettivamente il poeta propone, ma senza margini.

Vivo così: d’attesa. Più che una dichiarazione diventa una confessione che l’unica certezza è proprio lo stato d’incertezza (l’attesa) al quale il poeta fa seguire una riflessione che trovo particolarmente sintomatica: spergiurando su cosa mai può essere. L’incertezza viene proiettata in uno stadio di ipotesi che è sintomo della continua tensione tra il conosciuto e l’ipotizzato. Perchè l’incertezza, l’attesa, danno per natura adito a figurazioni e fantasie, immaginazioni e speranze. Tangendo la carne viva dell’umano che non a caso torna imponente nel testo presentato nel suo ultimo verso: la calda mano degli altri. Dove il calore, la presenza umana, il tu diventano le coordinate cartesiane per esplorare lo spazio della vita pur con la consapevolezza che non si potrà mai conoscere del tutto: Per la realtà ci vuole un confronto. / Toccava a lui ripetersi nel gioco, ricrearsi / nell’illusione.

In più di un testo la lettura suggerisce la filosofia della conoscenza di matrice platonica e nello specifico il Teeteto, dove la soluzione alla domanda cos’è la conoscenza di fatto è una impossibilità a rispondere. Alberto Toni pare faccia sua quella aporeticità portandola però in un contesto dove l’accettazione della stessa diviene luce che illumina la nebbia, diviene vox di luziana memoria dandone così una sfumatura luminosa che fa della sua chiarezza la vera cifra della sua poesia. Che è sostanzialmente un susseguirsi di fotogrammi a tratti estatici a tratti riflessivi che non nascondono mai un’intrinseca capacità di meravigliarsi del mondo. Un mondo tanto ruvido quanto aperto all’uomo. Un mondo comunque fatto di sogni che la lingua non può dire nonostante il districarsi lento e vuoto.

Ma Vivo così di Alberto Toni è anche e forse fondamentalmente un lungo romanzo per immagini, per bagliori, per entusiasmi e meditazioni. E come ogni romanzo, che lo si voglia ammettere o meno, è un romanzo d’amore: Non calibrato o previsto / si fece strada un documento scritto d’amore / e forza. La storia di una vita che attraverso la poesia canta il mondo, le sue vicissitudini quotidiane, private, i suoi piccoli immensi minimalismi che minuto dopo minuto costruiscono giocoforza la storia collettiva. E che ne diventano i tasselli fondamentali. Non a caso la dedica introduttiva: a Patrizia, / che con me ha condiviso. Non a caso le parole dell’ottimo prefatore Mario Santagostini: Se mai esistesse ancora, un lettore ossequioso della divisione tra i generi letterari sosterrebbe che con questo libro di poesia Alberto Toni è rimasto fedele alla sua fondamentale, alta vena lirica ma l’ha, una volta di più, ramificata, contaminata, forse semistritolata fino a mascherarla e stravolgerla. Poi aggiungerebbe: Toni si è fermato un po’ prima d’arrivare nel terreno saldo dell’epos, è rimasto in una sorta di sua terra poetica incognita. E noterebbe che nel viaggio si è servito di tutto: dai momenti verbali testati dalle storie letterarie fino ai topoi logori dal loro girare nelle strade della lingua viva..

Perchè nella vita serve tutto: dai momenti verbali testati dalle storie letterarie fino ai topoi logori dal loro girare nelle strade della lingua viva. Fino a concludere con un vivo così.
 
 
 
 
 
 
Vivo così: d’attesa,
spergiurando su cosa mai può essere:
cuculo, tortora d’attesa. Oscilla il lume,
la calda mano degli altri.
 
 
 
 
 
 
Tutto deve andare avanti.
Ma poi noi non sappiamo
se l’illusione è verità. Allora scendo
e salgo fino alla prova e non per paura
e dolore, ma soltanto per conoscenza.
Vedrò tutti i colori insieme, soltanto
per un istante? Un vetro solo che separa,
esclude tutte le immagini più volte ripetute.
 
 
 
 
 
 
Era l’eterno sorriso all’origine.
Poi fu l’alterno sorprendere dei momenti,
la ruota del prenderti e non prenderti,
sospendere il giudizio, spostare l’idea di Dio
e del firmamento. Non calibrato o previsto
si fece strada un documento scritto d’amore
e forza.
 
 
 
 
 
 
Con tecniche da iniziato,
sarà un districarsi lento e vuoto.
Perché di sofferenza in sofferenza
la luce non molla la sua presa?
 
 
 
 
 
 
Che fare tra gli infiniti luoghi?
E gli anni non li hai dimenticati,
anzi sorprendono tutti in una volta.
Qui ci vuole la mano di Dio,
una giravolta, andiamo avanti
e indietro, il profilo dall’alto
del terrazzo. La lingua muta
della periferia in estate.
 
 
 
 
 
 
Vanno ancora avanti schiere di claudicanti.
Tutto può accadere in quest’ora di miseria.
La piazza è libera.
Seguivano Dio
fino alla fine.
 
 
 
 
 
 
Sono sogni che la lingua non può dire,
la somma di tutti i libri che leggeva,
a filo di una luce morbida, l’altezza
reale, lo dicono tante foto, una in interno,
ma rivolto al cielo, alla solennità dello
sguardo, a combattere le tentazioni dell’accidia,
già giovane e così dolorosa da vincere quasi
lo slancio naturale. Ma tante vite splendide
e i tanti che ancora sono. Magari immagini.
 
 
 
 
 
 
Perché anche la mano di Dio era in soccorso
e non potrai mai dirlo, non saprai, perché
è così che si spargono semi, lance che
trafiggono. Era con te in quell’attimo
di mobilità, di percezione.
Quelli che erano con te
a qualcuno il racconto è arrivato,
lo sapranno, hanno visto come salivi
le scale, intuiranno il perdono, lo sforzo
per salire, smorzare, tenere la mano
sul fianco. Ce ne andammo a giorno
pieno e per molti era soltanto vigilia.
 
 
 
 
 
 
Per la realtà ci vuole un confronto.
Toccava a lui ripetersi nel gioco, ricrearsi
nell’illusione. Poi sale l’infinito, si prefigura
il Dio prossimo, la roccia che è termine di paragone.
Avviene tutto dentro,
un moto rapido,
un’accelerazione che non dà tregua.
Forse un ritorno alle origini.