Un’antologia in divenire: «un taglio suturato della bic»

Dal sottovuoto. Poesie assetate d’aria (Samuele Editore 2020, collana Scilla, prefazione e curatela di Matteo Bianchi).

Per chi se ne fosse già accorto, Canzian e io abbiamo scelto di concludere l’antologia Dal sottovuoto. Poesie assetate d’aria con un frammento di Ceronetti, con un suo interrogativo a me molto caro.

 

E tu sai dove, carezza, fede
Tra infinite cadute ancora viva,
Dentro quali misteri velenosi
Carezza umana scendi, lebbrosa
Carne a pulire, tu valorosa?

 

Nei cinque versi suddetti c’è la speranza che si nasconde dietro un dubbio, la possibilità di riscatto che offre ogni domanda nel frangente in cui si scontra con la realtà conosciuta. Ho scelto lui come mio nume tutelare per questa impresa non tanto per il suo rifiuto totale della mondanità, né per l’aura di ascetismo che i più gli hanno riconosciuto, ma perché tramite la parola manifestava un rapporto fisico con il suo isolamento. Ceronetti si scannava intimamente, sacrificava letteralmente parti di sé per nutrirne altre. E non c’era santo o demone in grado di salvarlo dal dialogo incessante con se stesso: «La visita epidemica è la realtà umana di sempre, è qualcosa che si patisce attualmente o che incombe, è il tempo della fine», aggiungeva in nota a Poesie 1968-1977.

Il punto debole dell’antologia è diventato un ulteriore punto di forza e di svolta, nonché il motivo di questo intervento. Dal sottovuoto mette a confronto sguardi distanti attraverso una successione soggettiva – decisa a mia discrezione – e volutamente dialogica: i componimenti si rispondono l’un l’altro, rafforzandosi o negandosi a vicenda. Ed essendo scaturiti in momenti diversi, frutto di tempi interiori diversi, consonanze e dissonanze risuonano maggiormente. Tuttavia i testi selezionati per l’eBook si sono rivelati solo l’incipit; a seguire sono uscite due pagine su “La Lettura” del Corriere della Sera nelle quali Francesco Targhetta ha affiancato a una sua poesia concepita in solitaria l’anno scorso gli inediti di Giuseppe Conte, Roberta Dapunt, Vivian Lamarque, Giovanna Rosadini e Giovanna Cristina Vivinetto, dopodiché svariati autori ci hanno contattato per contribuire con la loro esperienza una volta che si sono sentiti pronti, che hanno reputato i versi degni di essere licenziati.

D’altronde, dentro questa bolla di sospensione, questo luogo eterotopico senza termini di paragone l’eco evolve in fretta e basta poco per condannare un tentativo di slancio a un tono basso, a un do minore. La percezione della quarantena muta di giorno in giorno, a seconda delle singole prospettive spesso mancate, o meglio soffocate: «(…) come si attraversa un Durante / caso mai piova giù un bisogno / di tregua, di respirare ossigeno / o di essere per sempre l’animale / che muore alla fine del sogno», rappresenta l’angoscia che prende Alberto Bertoni in fondo alla sua recente 20.02.2020, la potenza del numero.

La lezione che affiora, se di “lezione” si può parlare in riferimento alla pandemia per non renderla un “tempo perso” più che un “tempo della perdita”, è appunto l’occasione laboratoriale intrinseca nella durata di un’apnea. E che era di fatto presente nel tessuto critico letterario oramai da anni. La parcellizzazione della letteratura, con l’impossibilità di nominare (al netto di nomi indiscutibili quali Valerio Magrelli, Milo De Angelis e Mario Benedetti, ad esempio), poeti “cardine” o poeti “padri” o “madri”, da Parola plurale (Sossella, 2005) in poi ha dichiarato il suo essere un tavolo di fermenti. Le potenzialità della narrazione, genesi fondamentale di Dal sottovuoto, emergono dalla costante obbligata della stasi che ha tolto il confronto dialogico impostando quello soliloquiale e permettendo l’istanza dell’antologia, che altro non è che un segnare il momento, non volendolo sacrificare.

I trentacinque autori di Dal sottovuoto (Alessandro Agostinelli, Erminio Alberti, Lucianna Argentino, Franco Arminio, Alberto Bertoni, Maria Borio, Franco Buffoni, Anna Maria Carpi, Valentina Colonna, Flaminia Cruciani, Maurizio Cucchi, Francesco Forlani, Tiziano Fratus, Giovanna Frene, Tommaso Giartosio, Fabrizio Lombardo, Franca Mancinelli, Gerardo Masuccio, Stella N’Djoku, Roberto Pazzi, Umberto Piersanti, Giancarlo Pontiggia, Rossella Pretto, Eleonora Rimolo, Valentino Ronchi, Federico Rossignoli, Paolo Ruffilli, Anna Ruotolo, Gabriella Sica, Stefano Simoncelli, Tiziano Scarpa, Luigia Sorrentino, Mary Barbara Tolusso, Mariagiorgia Ulbar, Gian Mario Villalta) si sono messi in discussione non solo come uomini, donne e poeti, non di rado anche come voci che potevano riflettere uno stato più ampio. Ponendosi domande, perché si tratta di un libro di domande, che amplificano esponenzialmente il vissuto del singolo grazie alla possibile presenza altrui, nonostante la distanza. Motivo per cui la Samuele Editore ha risposto con particolare velocità al progetto. Dal sottovuoto si conferma una possibilità non espositiva, non estetica, che ha trasformato la precarietà delle giornate in laboratorio in primis con se stessi, poi con gli altri poeti, poi con il lettore.

 
 
Mi aggiro, tranquillo come sempre,
nelle vie pacifiche, dove ogni tanto,
si scorge l’allarme di una maschera
e il tram, ora di punta, è quasi vuoto.
Colgo qua e là discorsi, ma è strano,
tutti uguali, in un coro
di contagi sparsi.
Contagio della paura, contagio
di un panico a parole, una fifa
che si risolve, ignota nel suo intimo,
nelle identiche frasi tutte uguali,
mutuate dalle reti, dal bla bla
generale, uno spettacolo
fra teatro dell’assurdo e vuoto,
dove non sai se il virus è la peste
o l’infinita, spaventata chiacchiera
che oggi, nel gioco e nel dolore,
e nell’ansia quotidiana quasi tutti,
ci accomuna.
 
Maurizio Cucchi
 
 
 
 
 
 
La percezione di questo stato riveste un’importanza
decisiva, appare per svanire alle nove dietro
la gola, in cesso, tra le dita mi alleo
col buio mentre muore il mare il tetto
pure l’albero è senza colore, il cielo è sull’orlo
della rovina e il tempo, eh il tempo… cola
sulla tastiera tra i dannati
di questa mezza età. Amo
la rovina del mio profilo da alto dei cieli,
una decorazione, un falso, un animale
da lana quando si fa satura e inizia l’affondo.
Hai avuto sedici anni un tempo, un’ora, cinque minuti fa
tutti vogliono la verità.
La verità è una cosa indecente.
 
Mary Barbara Tolusso
 
 
 
 
 
 
Dalla portafinestra della tua camera chissà
che viavai lento di gente dalle stanze
nelle ombre al semibuio di questi giorni vedrai
emergere dietro le tende socchiuse ai ballatoi.
In questa paralisi dei respiri delle strade
(i marciapiedi dimenticando i passi il caldo
dei discorsi in furia telefonando) i cortili delle case
devono assomigliarsi negli odori, nel sole che catturano
a metà marzo quando non aspettavamo primavere.
 
Vorrei, in questo silenzio degli spazi, di luci accese
un baluginare a stento come stelle dal vuoto dirti:
«eravamo preparati ad accogliere tutto, eravamo tutto
fiato e fiori germogliando sul ciglio prima della nascita».
Ma dalla più lieta stanza del bosco (a primule gialle, uccelli
sfiorando il suolo, api frenetiche attorno ad arnie colorate),
io non riesco a trovare le mie solite parole. Mentre il bosco vive,
fisso con stupore l’orizzonte al fondo di colline dove pare
ancora calmo il nostro rapido annegare. Disperatamente
tentiamo la presa di mano la forza di scendere al fondo
degli alberi a sentire le radici ancora vive, toccarle
con dolcezza sino a unirle insieme in un intreccio.
 
Un giorno il nostro incontro così grande ci impauriva.
Ma ora il non tempo di un orologio fermo è diventato casa,
possiamo solo ritrovare una quiete dell’attesa, imparare
a restare, odorare con coraggio quella gioia
che ha appena un uomo vivo quando avverte la bellezza.
Le porte riapriranno e allora avremo cura
di camminare a mani strette nelle notti, non pestare
i fiori d’erba, i germogli salvi. Potremo tenerci forte.
Con umiltà sapremo accogliere gli occhi
di chi immobile sporgendosi pieno di pianto ci ha guardati
in silenzio ci ha accuditi, accompagnati.
 
Valentina Colonna
 
 
 
 
 
 
Ci incamminiamo
uno dopo l’altro ai fiumi di pietra
dritti come cipressi al centro del tempo
i cieli armati di primavera.
Non possediamo nulla, solo bocche d’aria
e aureole ai piedi, impronte ammutolite.
Noi battiti digiuni, il siliquastro fiorisce.
Non avvicinarti, ti dico,
ora non puoi toccarmi.
 
Flaminia Cruciani
 
 
 
 
 
 
E ora, in un frangente di universo
che chiede il suo equilibrio
agli assi, ai gradi, ai punti cardinali,
la mente – dal perimetro del vano –
interra
l’abitudine alla morte.
 
Diritto a essere, pretesa
che snatura.
 
Ma se l’uomo è paura di sé
o non è un uomo,
se è sempre la perifrasi
del nulla che lo avvera,
allora io
chi sono diventato?
Lo chiedo a me soltanto e la premura
è già terra di esilio.
 
Gerardo Masuccio
 
 

Sui social si sono moltiplicate – talvolta all’eccesso – le dirette di video lettura, e smorzate le polemiche sterili è cominciato un dibattito costruttivo sostenuto da diverse pubblicazioni e di vario genere, ridimensionando i confini della paura e riconsegnando alla parola la sua natura “reazionaria”, assolutamente vivifica. Lo stesso volume Dal sottovuoto, che uscirà a breve in cartaceo, seguirà un altro percorso rispetto all’eBook; un percorso maturato nei giorni accaduti, nonché un ampliamento degli autori invitati che verterà sul simbolismo sonoro di “quaranta poeti per la quarantena”, come da più parti ci è stato suggerito.

Un’opera collettiva che diventa collettanea sopravanzando l’antologia in un humus estremamente fertile e di pregio al quale vogliamo dare merito e ragione. Nei testi che andrò a proporvi di seguito, raccolti a latere dell’antologia, il presagio incessante di essere in bilico testimonia una sensibilità accentuata e feconda da parte degli individui coinvolti, accomunabili tra loro solamente dal peso schiacciante della condizione subita. Prima le feste pasquali in solitudine, poi il 25 aprile che ha gridato un “noi” riparatore, hanno favorito l’elaborazione, il laboratorio succitato. La poesia si svela per ciò che è, ossia il nibbio «insperato» che cercava Alessandro Ricci con il suo Editto finale (2014), necessaria a ogni cambio di stagione, ma alimentata dagli istinti e dalle paure più terrestri.

Matteo Bianchi

 
 
 
 
 
 
c’è chi è sognato e chi sogna,
ma nessuno dei due ha casa libera, nel sogno
 
Sono figure androgine
tracciate su un foglio di balsa:
 
lui sta tranquillamente
transitando per strada, quando lei
si butta volontariamente sotto il diluvio
 
Marco Amore
 
 
 
 
 
 
Sferza questo vento di quarantena
mi spinge mi tortura mi sfrange
mi affonda il capo sul cuscino
tua mano bacino soffocante
oh se uscita di prigione ti trovassi
spoglio di calcolo e furbizia
solo soltanto lucente di desiderio
un corpo muto e schiavo
brace per la mia lingua in bocca
smetterei di farmi pendolo
fra rinuncia e lussuria
pura bestia da soma sarei.
 
Veronica Chiossi
 
 
 
 
 
 
Tutti quelli che muoiono in questa guerra virale
sono come i morti insepolti degli antichi
lasciati ai cani sul campo di battaglia,
non poterono i familiari lavare i loro corpi
 
ungerli e piangerli e preparare il rogo,
trasportati di notte su camion militari
come sacchi di spazzatura in altri cimiteri.
Ma noi sappiamo che la loro battaglia fu eroica,
 
combatterono fino all’ultimo sangue
un corpo a corpo senza risparmio di colpi,
alla fine caddero facendo risuonare
 
con fragore la loro pesante armatura.
La loro vita è incisa nel cimitero del tempo
a memoria perenne, e la loro tomba è un altare.
 
Claudio Damiani
 
 
 
 
 
 
guardo l’orchidea sul tavolo della cucina
ogni tanto lascia andare un fiore
si secca e scende dal ramo
che perde la sua freschezza
si spoglia del suo colore
 
è ancora bella però   penso
trafitta da quell’ultimo raggio
di luce tradito dalle pieghe arancio
della tenda se avesse una sua voce
mi direbbe di questo tempo
 
mi direbbe che perdo i contorni
dei volti di chi amo i colori degli
occhi la linea disegnata dei profili
i gesti delle mani che le parole sono
fioche e vuote anche ai cellulari
 
mi direbbe che è sfumata la veste
del mare e l’orizzonte non è più
una linea dove poggiare lo sguardo
che la neve non è scesa quest’anno
e l’erba aspetta paziente il ritorno
 
mi direbbe che i sogni sono incubi
che il pianto che sento è lontano
ma vero che la notte ha sepolto
i migliori di noi   nella via crucis
dei camion delle loro luci in cordata
 
mi direbbe che la vita non l’ho mai capita
che non può accadere soltanto che il
bicchiere si riempie quando l’acqua scorre
che la tunica non si gioca ai dadi
ma si taglia e si cuce con le mani
 
e mi direbbe l’orchidea di questa Pasqua
puntuale affacciata alle nostre finestre
come quella macchia di ginestre di cui
rivedo nel bosco fitto l’ambizione del bagliore
il chiarore infestante della Resurrezione
 
Bologna, 11 aprile 2020
Cinzia Demi
 
 
 
 
 
 
Crampi di paura
al crepuscolo dell’ora
nel cranio in crisi
crepitano.
I nevrotici accenni
d’impotenza mesta
i nervi cavillosi
sfilacciano.
Per mantenere il giuramento d’Ippocrate
per strappare gli uomini all’Ade
pur restando uomini
gli uomini.
 
Chiara Evangelista
 
 
 
 
 
 
la verità è che questa sospensione
incenerisce – costringe a contemplare
lo spessore dell’inganno
 
ne avvertiamo la vertigine
lo scarto più letale
 
l’istinto comprimeva le tossine
tra gli impegni – l’occhio ora si
inchioda sempre sulla stessa scena
 
quanto inopportuno è questo
tempo amplificato – quanto
imbarazzante questa lucida
coscienza della pena
 
Mario Famularo
 
 
 
 
 
 
Aspettiamo la mezzanotte in pigiama…
Tutti vorremmo che fosse qui, ogni natura,
tutto il ritmo dei corpi vitali
e non una recita, non un breve racconto,
non un millennio in un foglio stracciato,
tutto qui, alle 0.01 di aprile,
il 3 aprile 2020 all’orologio del televideo
nella sala dei grandi natali
e della salvezza in un’ora felice.
Mai più nel cemento ricoperto da una lapide,
spaiati, divisi, dimenticati
in un fiore di plastica impolverato.
Applaudiamo i nostri nomi sillabati,
risaliti nella dedica d’amore,
non nella cenere che non si misura
in un rettangolo di croci, di terra senza erba
 
Alessandro Moscè
 
 
 
 
 
 
ci sarebbero cose
da dire un lento
ricordare che avremmo
una trasparenza desolata
nel sacchetto dell’organico
 
Matteo Piergigli
 
 
 
 
 
 
Cosa possono le parole in questo tempo
che si allarga lento, di giorni passati
a macerare pensieri per i distanti,
per i propri cari. A cosa vale la mano
che non ti può toccare, lo sguardo,
 
se non ti può più avere e vaga sperso
oltre ai vetri chiusi che dicono primavera.
Ecco, il rombo della Storia ci ha raggiunto,
ci credevamo immuni, non era il punto.
 
Ora, ogni cosa appare nel suo vero nome,
ciascuno è nudo e vulnerabile al contagio,
ciascuno è solo di fronte al proprio lume
 
che allontana lo scuro di ogni naufragio,
inerme e speranzoso – fino al mattino,
quando sarà di nuovo mondo, vicino.
 
Giovanna Rosadini
 
 
 
 
 
 
Ho dimenticato di spegnere la luce
nell’officina della mia testa;
la musica che suona a festa
da non troppo lontano mi conduce
 
a un punto esatto che già conosco:
un sogno sempre interrotto,
un amore sempre offuscato
dall’intricato fogliame di un bosco
 
dove incerta ripassa la propria parte
Cappuccetto Rosso. Ma il lupo?
Il lupo non fa mai le prove:
 
sa fare il passo giusto dove,
quando e come dev’esser fatto.
Perché non giocare a carte scoperte?
 
Marco Sonzogni
 
 
 
 
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