Un ragno mi cammina dentro il petto – Sathya Nardelli

Bozza automatica 2423

 
 
È sempre da un piccolo spazio chiuso che partono fili.
 
Dalla cima di una collina guardano fuori
impiegano molto a trovare l’uscita.
 
Poi
rotolano velocissimi
all’improvviso, senza avvertire
gomitoli in corsa
ad ogni sassolino compiono un salto più alto
con un respiro in meno ed un ricordo
              in più
finché non sbattono contro tronchi
contro muri
finché non raggiungono il mare
e impiegano quattro secondi
per morire.
 
 
 
 
 
 
A volte con fare aggressivo
tutte le sfighe passate tornano
mi danno forti colpi sulla testa
come se saltassero la corda
e sento formarsi delle crepe
che percorrono tutta la schiena
le spalle come due blocchi di cemento
              cedono
le gambe, pesantissime,
              si sgretolano.
Quando i drammi fanno gruppo,
divento resti, non ho più corpo.
 
 
 
 
 
 
Avevi occhi caldi come braccia
sembravano tendersi per afferrarmi
e quando composti, tra la gente
simulavano un battito
era come una stretta
che levava un battere.
 
 
 
 
 
 
Cado in un continuo moto
verso il basso.
 
Caduta costante
senza risalita
niente rialzi
solo una scala infinita
di gradini rovesci.
 
Non chiedermi.
Sono nata così.
Sono nata cadendo.
 
 
 
 
 
 
Un ragno mi cammina dentro il petto.
Tocca fili rossi e fa scattare allarmi.
Lo assecondo. Non gli chiedo di fermarsi.
Se si espande, tanto meglio.
Che arrivi fino alla testa, tocchi tutti i fili.
Sarà una festa.
 
 
 
 
 
 
Pregavo le gambe di non muoversi
pregavo con le mani sotto il seno
 
un piede si alza
il punto di non ritorno
la coperta si sposta
l’atto è compiuto.
 
Io tengo ferme le radici
aggrappandomi con forza
alla causa di tutti i mali
e prego più che posso
con le mani sotto il seno.
 
 
 
 

In questi inediti Sathya Nardelli propone una poesia apparentemente irriverente, giocosa al limite del sarcasmo, ma che a ben vedere proietta la parola in una direzione ben riconoscibile e che privilegia l’osservazione dell’agire più che del sentire.

Ogni testo infatti sottolinea un movimento, un’azione, osservata anche quando è auto-osservata. I fili che partono, i drammi che fanno gruppo, gli occhi che sembravano tendersi per afferrarmi, il ragno che cammina dentro il petto, la coperta che si sposta.

L’io di fatto non sente ma osserva. Un io-corpo mutevole capace di diventare resti, non più corpo. E torna nell’immagine ricorrente (almeno nei testi scelti) del filo che prima parte da un piccolo spazio per incontrare il mare e impiegare quattro secondi per morire, e poi diventa ciò che viene toccato dal ragno quando cammina dentro il petto (per poi arrivare, il ragno, fino alla testa dove tocca tutti i fili).

Una festa, a detta dell’autrice, questo contatto penetrante e invadente e auspicato nella medesima maniera in cui l’autrice dichiara di essere nata cadendo. Sottolineando il valore dell’azione più che della sensazione/percezione di sé.

Curiosamente si incontra poi un testo che tratta di radici, elementi naturali che molte somiglianze possono avere con i fili: Io tengo ferme le radici / aggrappandomi con forza / alla causa di tutti i mali / e prego più che posso / con le mani sotto il seno. Dove il particolare del seno viene reiterato non tanto a livello ossessivo quanto come identità con l’atto del pregare. Come sua forma. Così come l’azione era forma dell’io, della sua osservazione/ricerca.

Una poesia giovane questa di Sathya Nardelli, ma che appare già ben strutturata in una direzione curiosa e convincente.

Alessandro Canzian