Rose di pianto – Laura Ricci

Laura Ricci, Rose di pianto. Dediche in versi con rose pittoriche, immagini di Luciano Baglioni, Milano, La vita felice, 2017.

 

Le Rose di pianto di Laura Ricci: come affrontare l’orrore contemporaneo in poesia.

Laura Ricci riesce nella non comune capacità di connettere la presentazione di una serie di atti drammatici e violenti della nostra contemporaneità, con la poesia, e con le immagini cariche di letteratura e di simboli come le rose. Ci consegna un testo per nulla retorico, né intriso di quella languente sensibilità che tocca tanti commenti e tante prove poetiche che si rincorrono su questi temi, perché episodi di orrore imprevisto o di crudeltà inimmaginabile, purtroppo sono assai ricorrenti nella nostra società contemporanea. Quello di Laura Ricci è un testo forte, asciutto, in cui la testimonianza del dolore e dell’orrore è tenuta a bada da un segno di misura, dalla sua capacità di scrittura sobria, e dalla lunga formazione di giornalista in grado di disporre sulla carta le informazioni separate dalle emozioni e dai commenti.

Spesso, nella nostra contemporaneità così pervasa da distruzioni, stragi e fatti drammatici di diversa natura e circostanze, ma tutti accomunati da una martellante e invasiva proliferazione di immagini, video, commenti umorali, rimbalzi di notizie e prese di posizione sui social, attacchi verbali violenti che manifestano una rabbia incontrollata, siamo assaliti da un senso di frustrazione che vuole ottundere il nostro senso critico e un approccio razionale alla realtà, facendoci travolgere da quelle “passioni tristi” che tendono a uniformare e generalizzare in un sentimento indistinto le nostre opinioni.

Tutto nella confusione estrema tra verità e invenzioni, interpretazioni e commenti, perché mescolando piani di realtà differenti e parziali, cause remote o immediate si accresce l’assuefazione e si induce un sentimento di paura ingovernabile. La responsabilità dei media in questo campo è molto grande, e la dirittura morale a cui sono chiamati i professionisti dell’informazione dovrebbe essere garantita.

Laura Ricci si pone il compito di dire poeticamente, componendo un testo di rara forza: qualcosa che lasci il segno. E lo fa attraverso la poesia e attraverso una documentazione essenziale sui fatti proposti all’attenzione, offerta senza interpretazioni o commenti.  Come l’autrice afferma nella Introduzione: «il deviare delle interpretazioni e la ridondanza del linguaggio allontanano dal semplice, crudo, terribile fatto; dall’atto per quello che spietatamente è. Per questa ragione, e non solo per orientamento di lettrici e lettori, dopo la parte poetica ho voluto riportare in modo breve e scarno, senza connotazioni o giudizi, i fatti a cui i versi si riferiscono: i fatti, gli atti, narrano da sé e di sé».

Scrive una sorta di composizione sacra sul diffuso orrore planetario con cui conviviamo, un oratorio, un salmo responsoriale, in cui si alternano scarne poesie su alcuni eventi tragici e terribili della nostra contemporaneità presi a esempio nel continuum cupo della nostra precaria esistenza, e la nuda cronaca che li documenta. Il tutto in un fitto colloquio con le immagini di Giuliano Baglioni che ritraggono molteplici rose dipinte accostate a specchio alle parole. Composizioni poetiche e immagini a creare un circuito virtuoso che consente di guardare oltre le atrocità incombenti, oltre l’assuefazione stessa, “al di sopra della spina”, per usare le parole di Paul Celan poste in esergo al libro e richiamate sulle pagine come una litania a ogni nuovo frammento o episodio proposto.

Punto centrale del lavoro è proprio il famoso Salmo di Paul Celan, risposta alla negazione della poesia dopo il massimo orrore di Auschwitz, come aveva affermato Adorno. È la rivendicazione di una scelta di poesia che si fa carico del dolore, dell’ orrore indicibile, non lo estirpa dall’umano, ma non lo estetizza, non lo traveste con immagini confortanti o false, che ne possano alterare la condanna. È una scelta etica e necessaria alla nostra sopravvivenza come esseri umani, racconta la nostra storia passata, e ancora, purtroppo, il nostro presente.

Il tema della rosa rappresenta una simbologia molteplice, sacra e profana, ricchissima di esempi e valori culturali. In questo lavoro poetico diviene un linguaggio esso stesso, un archetipo, nel senso che fin dal titolo Rose di pianto avvia i testi su un percorso che tocca l’interiorità più profonda, quello spazio oscuro dove si radica la sensibilità. Non si può dimenticare in questo contesto che Laura Ricci è fine traduttrice di molti poeti e poete che sulla rosa hanno detto molte cose, come l’amata Emily Dickinson e William Butler Yeats.

Un libro che è «rischio e scommessa», sempre seguendo le parole dell’autrice, compiutamente risolti: si può parlare dell’orrore che ci circonda e non subirlo nell’indifferenza o nella assuefazione, senza estetizzarlo e senza rendere retoriche le parole e le immagini.

Gabriella Musetti

 

 

 

 

 

Per le donne yazide vendute e stuprate

c’è una teologia dello stupro nell’avanzare
guerresco del maschio – calpestare bruciata
la terra di conquista celebrare come rito dettagliato
la profanazione di un corpo di donna – miscredente

che si spacchi anche l’anima è impresso
nel silenzio di un grido soffocato inudibile

schiava sessuale
contratto di vendita
regole minuziose da rispettare –
non importa se sei una bambina

stupro come diritto riconosciuto
come dovere come preghiera
come prossimità al Dio vero –
non importa se si arruolano per penetrarti

trasportate soppesate denudate
osservate al mercato comprate –
se vuole prima di farsi saltare in aria
il padrone ti può emancipare

che resti piagata la tua anima non è inciso
sul certificato di affrancamento

 

 

Notizia del 14 agosto 2015

Rukmini Callimachi ha scritto sul New York Times un articolo che racconta la metodica pianificazione della schiavitù sessuale delle donne yazide da parte dell’Isis. Gli attacchi contro gli yazidi, iniziati nell’estate del 2014, due mesi dopo la presa della città irachena di Mosul, non avevano tanto l’obiettivo di occupare nuovi territori, quanto quello di realizzare conquiste sessuali, sancite da contratti di vendita autenticati dai tribunali islamici e da trentaquattro pagine di manuale sulle regole di gestione delle schiave. Le donne yazide vengono riunite dai miliziani a centinaia e trasportate in città dell’Iraq e della Siria per essere messe in vendita. L’istituzionalizzazione dello stupro viene usata anche come strumento di reclutamento, specie verso uomini che provengono da società musulmane molto conservatrici dove il sesso viene considerato un tabù e frequentare donne fuori dal matrimonio è proibito dalla legge. Il padrone può cedere o rivendere la schiava, o in casi particolari lasciarla libera con un “Certificato di emancipazione” firmato da un giudice dello Stato Islamico. Lo schiavismo sessuale ripristinato dall’ISIS sembra riguardare preminentemente le donne della minoranza yazida, ma il manuale autorizza lo stupro anche di donne cristiane o ebree quando si trovano su territori conquistati.

 

 

 

per i profughi in marcia da Budapest a Vienna

in marcia in marcia in marcia
sui binari per non perdere la direzione
per ottenere attenzione

la corona di spine –
verso una non ultima stazione

in marcia in marcia in marcia
abbiamo già attraversato
il deserto le vie di terra il mare

in marcia in marcia in marcia
verso nuove inospitali frontiere
dove – dicono – innalzano muri

in marcia in marcia in marcia

non c’è pietra più solida del cuore
indurito di un popolo

 

 

Notizia del 4 settembre 2015

Tra la fine di agosto e i primi giorni di settembre 2015, migliaia di profughi si sono riversati sulla Serbia per tentare di passare il confine con l’Ungheria che, proprio in quei giorni, ha completato la costruzione di un muro di filo spinato alto quattro metri e lungo centosettantacinque chilometri per fermare l’esodo verso l’Europa occidentale.
Molte centinaia di coloro che sono riusciti a passare il confine ungherese, non potendo prendere i treni per l’Austria e la Germania bloccati dalla polizia, si sono messi in marcia a piedi lungo l’autostrada e la ferrovia per percorrere i centosettanta chilometri che separano Budapest dalla frontiera austriaca.
Uomini, donne, bambini che fuggendo i conflitti da tempo in corso in Siria, Iraq, Afganistan, dopo aver attraversato la Turchia, il mare, la Grecia e la Macedonia speravano di poter raggiungere l’Austria, la Germania o qualche altro paese europeo per condurre una vita migliore.