Quasi invisibile – Mark Strand


Muore nel novembre del 2014 uno dei maggiori poeti contemporanei, Mark Strand. Canadese di nascita e statunitense d’adozione, docente di letteratura inglese alla Columbia University, saggista e traduttore, ha vinto il premio Pulitzer nel 1999 con la raccolta Blizzard of One (Knopf, NY, 1998). Ha pubblicato il suo ultimo lavoro, Almost Invisible nel 2012 (Quasi invisibile, Mondadori, 2014).

Quarantasette prose poetiche che raccontano in modo surreale, provocatorio, sensuale ed ironico solitudine, vecchiaia, viaggi senza arrivi, il dubbio dell’oltre.

Brevi racconti, sogni, parabole avvolti dalla nostalgia di un passato che ritorna sincopato nei profumi e nei colori dei ricordi.

Quelle ore concesse al crogiolarsi nel lucore di un futuro presunto, dell’essere trascinati via in torrenti di promessa da un amore o una passione così intensi che ci si sentiva cambiati per sempre …/quei momenti, così numerosi e così remoti nel tempo, tornano ancora, ma brevi, come lucciole nell’afa fragrante di una sera d’estate.

Mark Strand usa la malinconia per introdurre la morte, per offrirci visioni di notti cupe, di vento placato ed alberi divenuti grigi come fantasmi, immobili in lontananza.

Un’estate quando era ancora giovane stava in piedi alla finestra e si domandava dove fossero andate, quelle donne che sedevano vicino all’oceano, guardando, aspettando qualcosa che non sarebbe mai arrivato…

Dubbi, interrogativi, l’assurdità dell’essere uomini che tendono allo sconosciuto, al quasi invisibile, nella consapevolezza della propria finitudine, nel rimpianto di ciò che non è stato, nel fallimento di ciò che si è tentato.

Distrutti dal rimpianto, alcuni hanno trovato conforto nella preghiera, ed altri, come noi, hanno scelto di seguire I cani selvaggi attraverso l’oscurità, nei boschi affollati da alci delle terre del nord, curando il proprio dolore fino alla caduta.

E cos’è poi l’eternità? se non il disperato desiderio che il desiderio stesso non finisca mai.

Perché continui a ripeterlo? Disse la donna. /Perché non voglio che finisca. Disse l’uomo. /Cos’è che non vuoi che finisca? Disse la donna. /Questo. Disse l’uomo. Questo non volere mai che finisca.

Un’eternità provvisoria, quella pulsione che ci fa amare, lottare, odiare, che ci logora nel quotidiano e che pure fa dire ad un cadavere: – continuavo a credere che domani sarebbe ritornato, mi sarei alzato, avrei indossato i miei calzini, i pantaloncini, sarei sceso in cucina, avrei fatto il caffè, letto il giornale e chiamato qualche amico. Ma il domani è arrivato ed io non vi ero previsto.

In Poem of a Spanish Poet Mark Strand sembra anticipare il destino che da lì a breve l’avrebbe condotto alla fine della propria esistenza.

Lo fa, ancora una volta, con l’ironia e la sfrontatezza di chi non ha paura, di chi usa la propria immaginazione per vivere un’altra vita, o un’altra morte. Lo fa con l’eleganza di un poeta spagnolo, un vecchio poeta spagnolo.

 

Ilaria Boffa

 
 
 
 
La poesia del poeta spagnolo

 
 
In una camera d’albergo chissà dove nello Iowa un poeta
americano stanco delle proprie poesie, stanco di essere
un poeta americano, si lascia andare sullo schienale
della sedia e immagina di essere un poeta spagnolo,
un vecchio poeta spagnolo, che si avvicina alla fine
della vita, che cammina fino al Guadalquivir e guarda
le navi, grigie e spettrali nel crepuscolo, discendere
la corrente. Le piccole onde, che si avvicinano all’argine
erboso dove siede, sussurrano qualcosa che non
riesce a sentire s’increspano e ricadono. E allora
cosa fa il poeta spagnolo? Si mette una mano in
tasca, ne estrae un taccuino, e scrive:
 
Mosca nera, mosca nera
perché mi sei venuta addosso
 
è per la mia camicia
bianca e nuova la camicia
 
con i bottoni d’osso
è per il mio vestito
 
il blu scuro del vestito
e perché
 
me ne sto sdraiato da me
sotto le fronde di un salice
 
freddo come il sasso
mosca nera, mosca nera
 
come sei buona
a venire da me adesso
 
come sei buona
a venirmi qui a trovare
 
mosca nera, mosca nera
a dirmi addio e buona sera