Proviamo a trascendere i cieli immisurabili – Giuseppe Meluccio

 

 

 

Non respingere la luce
ricombìnati con la materia
con il flusso incessante
che ci attraversa trasporta
venera la transitività dell’essere
l’incertezza del cambiamento
vivere è un’eccezione
purga la mente
dagli affanni vani
abbandonati
e una volta rilassati
gli stati eccitati dell’io
ti accompagnerò
fino alla superficie
di ultimo scattering
per diventare trasparenti
alla radiazione
e lasciare impressa
nell’universo
un’eterna irrilevante
presenza

 

 

 

Non percorreremo mai
neanche un millimetro
di questa piccola
sconcertante mappa eppure
Voi siete qui
tra i filamenti cosmici
dei pesci balena
tra la gloria e il dolore
il sogno e il senso
invisibili
di un meraviglioso granello blu
e dalla polvere incoerente
dell’universo interiore
proviamo a trascendere
i cieli immisurabili
di Laniakea

 

 

 

Voglio toccarti più che posso
terra misteriosa
finché da questi pori traspira
quel qualcosa in più
che accarezza il caos
che smuove il caso
e spogliandoti
scoprire la tua linfa
e spogliandomi
scoprire le mie radici
che continuano giù
friabili
nel fuoco nascosto
sotto la superficie
e lì si fondono
senza più misure
confluendo in un immenso
vertiginoso
riconoscermi

 

 

(Giuseppe Meluccio, inediti)

 

 

 

In questi inediti Giuseppe Meluccio opera una contaminazione tra un lessico di natura scientifica (in particolare attinente all’astrofisica e alla cosmologia, suo campo di studi) e versi che realizzano un’indagine di natura esistenziale, incentrati sul rapporto intimo tra l’io e il mondo, l’altro, la natura, passando attraverso la coscienza, la memoria e la ricerca di una possibile prospettiva di significato dell’esserci.

Il primo testo, rivolto a un “tu” indeterminato, presenta una serie di inviti: in primo luogo quello ad accogliere i fenomeni del mondo diventandone parte integrante (“non respingere la luce / ricombìnati con la materia”), accettando la natura provvisoria e in costante mutamento del mondo (“il flusso incessante” … “venera la transitorietà dell’essere / l’incertezza del cambiamento”), perché, in un mondo prevalentemente inorganico, “vivere è un’eccezione” preziosa, da non svalutare distrattamente o con superficialità.

Segue poi l’esortazione a liberare la mente “dagli affanni vani” e “gli stati eccitati dell’io” (sembra questo un richiamo al principio orientale dell’anatman, ovvero l’illusorietà dell’io e la natura ingannevole della coscienza individuale): un’interessante riflessione, considerata la formazione scientifica dell’autore, che sembra ricordare l’importanza di una mente lucida e sgombra dal pericolo di emozioni deformanti o angosciose.

Gli ultimi versi, in prima persona, tratteggiano l’immagine di due esseri umani “trasparenti alla radiazione … di ultimo scattering” (ovvero il fenomeno fisico della diffusione ottica, o dispersione, in cui onde o particelle vengono deflesse in maniera disordinata e casuale): con questa immagine efficace Meluccio ricorda al lettore che la vita umana, come ogni fenomeno, è soggetto alla dispersione e alla casualità, anche se subito dopo sottolinea che, nonostante ciò, è possibile “lasciare impressa / nell’universo / un’eterna irrilevante / presenza”. L’apparente illogicità dell’asserzione apre spiragli riflessivi e spirituali sul rapporto di continuità tra gli stati della materia vivente, in comunione con il mondo, e insieme ad esso soggetta a costante ed interconnesso mutamento.

La limitatezza dell’uomo viene ribadita nel secondo testo (“Non percorreremo mai / neanche un millimetro / di questa piccola / sconcertante mappa”) insieme al valore, provvisorio ma affermato con decisione, dell’esserci: “eppure / Voi siete qui”, mostrando un uomo che è al contempo testimone delle meraviglie della natura terrestre e dell’universo conosciuto, che vive tra “il sogno e il senso / invisibili”.

Meluccio conferma poi la tensione meditativa ed esistenziale del dettato nella chiusa, quando, rappresentando in opposizione a quello esteriore un “universo interiore”, lo pone come punto di partenza per provare “a trascendere / i cieli immisurabili / di Laniakea” (nome del superammasso di galassie in cui è compreso anche il nostro pianeta): la dimensione individuale, persa nella comunione contemplativa con il tutto, ha dunque la possibilità di oltrepassare il senso del limite e della misura materiale di entità così sconfinate all’occhio umano o, almeno, è legittimo provarci, non ritenendola operazione vana, quanto, piuttosto, una prospettiva di senso e di significato non meramente analitica, ma esistenziale ed umana.

Nell’ultimo testo l’autore abbandona il lessico scientifico, per confermare un rapporto di comunione quasi identitario con la natura circostante e la terra che ci ospita: il contatto si realizza in maniera diretta, non speculativa (“Voglio toccarti più che posso / terra misteriosa”) nel tentativo riverente di svelarne il mistero immanente (“spogliandoti / scoprire la tua linfa”) al fine di comprendere, nell’operazione, parzialmente anche quello della propria esistenza (“spogliandomi / scoprire le mie radici”).

In questa relazione interdipendente, che si nutre della curiosità e del desiderio di comprensione profonda, “nel fuoco nascosto” (che ricorda il mito di Prometeo, ma anche il nucleo terrestre incandescente “sotto la superficie”, oltre che il “fuoco della controversia” di luziana memoria), il sé e il mondo “si fondono” al di là di ogni cognizione scientifica (“senza più misure”), “confluendo in un immenso / vertiginoso / riconoscermi”; in questi versi viene riaffermata l’attitudine umanissima di scoperta accogliente del mondo e dei fenomeni, non limitando la curiosità e lo studio a una visione analitica e ristretta, attraverso il filtro del vetrino da laboratorio, ma proiettandola in una dimensione altra, spirituale, quasi sacra: la terra (e di conseguenza, l’universo) è qualcosa di cui l’osservatore è parte integrante, e il percorso di ricerca di prospettiva, significato e direzione, intensamente e intimamente sentito, in questo modo si riconferma come qualcosa di autentico, viscerale e in armonia “vertiginosa” con la natura delle cose.

Mario Famularo