POESIA A CONFRONTO – San Martino

 
 

POESIA A CONFRONTO – San Martino
NIEVO, CARDUCCI, PASCOLI, GOVONI, BETOCCHI

 
 

L’undici novembre si festeggia San Martino di Tours, celebre per l’episodio miracoloso del taglio del mantello: la giornata dedicata al santo si fa coincidere con la cosiddetta Estate di San Martino, legata a molte feste della cultura popolare contadina; si associa tradizionalmente alla maturazione del vino nuovo e alla scadenza annuale dei contratti di affitto e di mezzadria, con l’obbligo di trasloco dalle terre per tutti coloro che non ricevevano un rinnovo della concessione. Attorno a questa ricorrenza si sono scritte diverse poesie che sono legate fra di loro da debiti vari e reciproche influenze.

Consideriamo per prima la poesia del giovane Nievo, di gusto tipicamente tardo romantico, tutta giocata su un paesaggio di nebbie in cui il sole pare dare il proprio addio (“vale”) alla Terra, lasciando come congedo “il natio candor” delle cime “nevose”. Il paesaggio diventa un traslato dello stato d’animo del poeta, l’invito a credere ancora nella possibilità di risorgere e riacquistare “le pure / soavità d’amor”.

Si ispira proprio a questa poesia Carducci nel comporre la sua odicina anacreontica, affine alla poesia di Nievo anche per la struttura metrica. L’atmosfera di festa che presiede alla stagione del vino nuovo (“va l’aspro odor de i vini/ l’anime a rallegrar”, “Gira su’ ceppi accesi / lo spiedo scoppiettando”) sembra essere turbata da alcuni presagi funesti che rendono inquieto e problematico il quadro di insieme (“urla e biancheggia il mar” così espressionistico nella sua forma, e ancora “stormi d’uccelli neri, / com’esuli pensieri”). C’è quasi un impellente presagio di morte che grava sul ritmo apparentemente gioioso e incalzante della composizione e crea quel contrasto enigmatico che è parte del fascino di questa composizione.

Riprende senz’altro alcuni elementi dal suo maestro anche Pascoli nella sua “Novembre”, per cui sceglie la forma delle strofe saffiche. L’aria “gemmea” induce quasi a sospettare l’arrivo di un’estate in pieno autunno, anche se tutto quanto attornia di silenzio la scena riconduce inesorabilmente alla realtà: anche qui abbiamo immagini che alludono a un presagio della fine (“secco è il pruno”, “nere trame”, “di foglie un cader fragile”) come sancito epigrammaticamente dalla chiusa ossimorica, con un uso sapiente delle virgole e dell’enjambement: “È l’estate, / fredda, dei morti.”

L’atmosfera dell’estate di San Martino risulta congeniale a un autore come il giovane Govoni che descrive, in piena adesione crepuscolare, un “giardino in decrepitudine” in un pomeriggio simile a “un fanciullo / malato di nostalgia”: assistiamo a un inventario di oggetti e di situazioni che si assommano in un sentimento profondo di tristezza inappagabile, come se avvenisse “il passaggio d’una salma”; vano il tentativo di ristabilire nella casa un ambiente famigliare e accogliente. “L’ultimo sole mite” pare restare un miraggio, rimane solo il sentore di un tempo che trascorre nella malinconia dalla quale non ci si può sottrarre.

Un tono a metà fra il nostalgico e l’ironico vive nei versi di Betocchi, che a “L’estate di San Martino” intitola una sua raccolta della maturità e che prende spunto da un episodio della sua vita quotidiana (il passeggio durante il quale vede un uomo, “buffo becchino, / in tuta, malinconico”, indaffarato a spazzare foglie “pei lastrici”) per una riflessione intima sulla precarietà dell’esistenza avvicinata all’immagine classica delle foglie, al loro falò dove tutto sembra ardere e incenerirsi senza lasciare traccia. Ma occorre ricordare che c’è “sole per tutti”, conviene approfittare di quest’attimo di tregua, proprio “tal quale un giovinastro / le fuggiasche ragazze”, e godere allora del poco margine che l’estate di San Martino sa ancora offrire a chi lo sa scorgere.

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
IPPOLITO NIEVO
(Da Canzoniere (1855-56-57) – Milano, Redaelli 1858)
 
SAN MARTINO
 
Già un vasto mar di nebbie
E d’ombra il pian sommerge,
Donde il pennon s’aderge
Di qualche fumaiuol.
L’ombra per colli e monti
Inerpicando sale;
Par che l’estremo vale
Mandi alla terra il sol,
E l’ultimo suo raggio
Perdendosi sublime
Sulle nevose cime
Cerca il natio candor.
Tal nel morire a un’alta
Speme sorgendo io pure,
Racquisterò le pure
Soavità d’amor!
 
 
 
 
 
 
GIOSUÈ CARDUCCI
(Da Rime Nuove – Zanichelli, 1887)
 
SAN MARTINO
 
La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
 
ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.
 
Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l’uscio a rimirar
 
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.
 
 
 
 
 
 
GIOVANNI PASCOLI
(Da Myricae – Terza Edizione, 1893)
 
NOVEMBRE
 
Gèmmea l’aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
senti nel cuore…
 
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.
 
Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l’estate,
fredda, dei morti.
 
 
 
 
 
 
CORRADO GOVONI
(Da Poesie – Garzanti, 2014 – stesura originale 1903)
 
L’ESTATE DI SAN MARTINO
 
Guardo per le vetrate
un giardino in decrepitudine:
dei pampani giallastri, una scalea,
de l’erba, de le statue screpolate.
 
Il pomeriggio è simile a un fanciullo
malato di nostalgia.
Qualche campana a pena.
Qualche timido e grigio frullo.
 
C’è il vino nuovo sulla tovagliuola,
coi grassi tordi per la cena…
Oh bontà de la cena ne l’armonia
de la frugale famigliuola!
 
La lampada a petroglio
sotto il paralume si chiarisce:
la teglia fragrante, nel fornello
accresce il suo gorgoglio.
 
Il micio bianco fa le fusa
lisciandosi. Sul tavolo avvizzisce
un mazzo d’aster in un vasello.
La finestra è bene chiusa.
 
Le foglie odorano la calma
de l’estate dei morti:
tutte le cose sono intristite
come per il passaggio d’una salma.
 
Il primo fuoco nel camino
crepita: sopra i tetti e dentro gli orti
splende l’ultimo sole mite
di San Martino.
 
 
 
 
 
 
CARLO BETOCCHI
(Da L’estate di San Martino – 1962)
 
L’ESTATE DI SAN MARTINO
 
Questi che scopa, scopa
le sue foglie d’autunno
nel sol di San Martino,
 
questo buffo becchino,
in tuta, malinconico,
che i pensieri di casa
 
nella scopa travasa,
mentre la fa pei lastrici
puliti andar per nulla
 
tra il vento che gli frulla
le crepitanti foglie,
via! povero gnomo…
 
E soltanto gli giova,
di quel lavoro inutile,
quel che ripensa e cova
 
dell’umil vita in sé:
lì presso, intanto, un cumulo
di tali foglie brucia,
 
e quieto par che dica:
– Ad altro m’indirizzo
col mio bel ghiribizzo
 
di fumo al vento; e… senti,
senti sì come odora
di ciò che fu e sarà! –
 
Di quante libertà
fatto è il mattino: ognuno
ha la sua propria, e tutte
 
ne fann’una; e niuna è sola,
e tutte sono sole:
e c’è il sole per tutti.
 
Anche per me, simpatico
passeggiator che passo
e sbocconcello un pane
 
con l’uva e il ramerino,
e con l’occhio strapazzo
(tal quale un giovinastro
 
le fuggiasche ragazze),
l’aria fresca, pungente,
le frasche d’un giardino,
 
il mio caro spazzino.