POESIA A CONFRONTO – La perdita del fratello

POESIA A CONFRONTO - La perdita del fratello

 
 

POESIA A CONFRONTO – La perdita del fratello
CATULLO, FOSCOLO, CARDUCCI, BRECHT, PASOLINI

 
 

Il tema della perdita è alla base della poesia, forse ne è la ragione più profonda, costitutiva. Questa perdita assume talvolta la concretezza della mancanza di una persona cara, come per queste poesie sulla morte del fratello.

Nella poesia di Catullo il tema si espleta nella visita alle “ceneri mute” del fratello per offrire l’estremo saluto secondo il cerimoniale pagano, nella consapevolezza di un ricongiungimento impossibile a quel fratello sottratto ingiustamente dalla sorte e a cui non resta che affidare un estremo invito alla pace, l’addio categorico della chiusa.

Foscolo, riprendendo con evidenza il modello di Catullo, vi aggiunge il tema dell’esilio, l’impossibilità della visita al “cenere muto”, e introduce la figura della madre come tramite fra i due fratelli, per riunirli in una ricostituita “quiete”, contrapposta a una vita, comune ai due fratelli, che invece fu segnata dalla “tempesta”.

Nella poesia di Carducci, dominata da una compostezza tutta classica, il fratello suicida Dante riceve l’incarico di accogliere il figlio del poeta, che ha il suo stesso nome ed è morto a soli tre anni. I due condividono lo spazio comune della sepoltura sulla “fiorita / collina tosca”, contrapposta alle “adre sedi”. Persistente in tutta la poesia è il contrasto tra luce e ombra per sottolineare il dramma della perdita, la distanza incolmabile.

Altro il tenore della poesia di Brecht: così scarna, asciutta. Il tema della perdita del fratello si associa alla denuncia sulla inutilità e la barbarie della guerra, indotta dalla follia per il Lebensraum del Nazismo. Alla tomba come luogo di un ricongiungimento possibile o agognato si contrappone qui la fossa anonima, per il fratello unica conquista davvero realizzata, documentata con la spietatezza delle sue misure, in un resoconto asettico, senza speranza.

Infine nel Pasolini de Le ceneri di Gramsci, Gramsci diventa l’“umile / fratello” ideale, le cui ceneri sono accolte in un “sito” a lui “estraneo” come se fosse ancora al confino che gli è toccato subire, circondato da “noia / patrizia”, perfetto contraltare di quella umanità in cui ha creduto e di cui gli giunge a conforto qualche canto di garzone o “colpo d’incudine” dalle vicine “officine di Testaccio”.

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
CATULLO – CARMINA
(I secolo a.C.)
 
CI.
 
Multas per gentes et multa per aequora vectus
advenio has miseras, frater, ad inferias,
ut te postremo donarem munere mortis
et mutam nequiquam alloquerer cinerem.
Quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum.
Heu miser indigne frater adempte mihi,
nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum
tradita sunt tristi munere ad inferias,
accipe fraterno multum manantia fletu,
atque in perpetuum, frater, ave atque vale.
 
 
 
 
 
 
CI.
 
Per molti mari, tra molte genti sempre vagando
giungo qui, fratello, per questo rito funebre
per offrirti in voto il saluto estremo
e parlare invano alle tue ceneri mute
perché la sorte mi ha sottratto te, proprio te,
fratello sfortunato, rapito a me ingiustamente,
ora, tuttavia, queste offerte che ti porto, secondo l’antica
tradizione degli avi, in triste dono cerimoniale,
accettale, cosparse di molto pianto fraterno
e per sempre, fratello, riposa in pace. E addio.
 
(traduzione di Fabrizio Bregoli)
 
 
 
 
 
 
UGO FOSCOLO – IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI
(1803)
 
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentil anni caduto.
 
La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.
 
Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch’io nel tuo porto quiete.
 
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.
 
 
 
 
 
 
GIOSUÈ CARDUCCI – FUNERE MERSIT ACERBO
(Da Rime nuove – 8 Novembre 1870)
 
O tu che dormi là su la fiorita
Collina tósca, e ti sta il padre a canto;
Non hai tra l’erbe del sepolcro udita
 
Pur ora una gentil voce di pianto?
 
È il fanciulletto mio, che a la romita
Tua porta batte: ei che nel grande e santo
Nome te rinnovava, anch’ei la vita
Fugge, o fratel, che a te fu amara tanto.
 
Ahi no! giocava per le pinte aiole,
E arriso pur di visïon leggiadre
L’ombra l’avvolse, ed a le fredde e sole
 
Vostre rive lo spinse. Oh, giú ne l’adre
Sedi accoglilo tu, ché al dolce sole
Ei volge il capo ed a chiamar la madre.
 
 
 
 
 
 
BERTOLT BRECHT – MEIN BRUDER WAR EIN FLIEGER
(Svendborger Gedichte, 1926-1938)
 
Mein Bruder war ein Flieger
Eines Tages bekam er eine Kart
Er hat seine Kiste eingepackt
Und südwärts ging die Fahrt.
 
Mein Bruder ist ein Eroberer
Unserm Volke fehlt’s an Raum
Und Grund und Boden zu kriegen, ist
Bei uns alter Traum.
 
Der Raum, den mein Bruder eroberte
Liegt im Guadarramamassiv
Er ist lang einen Meter achtzig
Und einen Meter fünfzig tief.
 
 
 
 
 
 
MIO FRATELLO ERA UN AVIATORE
(Poesie di Svendborg, 1926-1938)
 
Mio fratello era un aviatore
Un giorno gli arrivò la cartolina
Preparò i suoi bagagli
e partì per una rotta a sud.
 
Mio fratello è un conquistatore
Il nostro popolo smania spazio
e accaparrarsi terre e territori, da noi
è un vecchio sogno.
 
Lo spazio, che mio fratello ha conquistato
si trova sul massiccio di Guadarrama
È lungo un metro e ottanta
un metro e cinquanta profondo.
 
(traduzione di Fabrizio Bregoli)
 
 
 
 
 
 
PASOLINI – DA LE CENERI DI GRAMSCI
(Garzanti, 1957)
 
I.
 
[…]  – non padre, ma umile
fratello – già con la tua magra mano
 
delineavi l’ideale che illumina
(ma non per noi: tu morto, e noi
morti ugualmente, con te, nell’umido
 
giardino) questo silenzio. Non puoi,
lo vedi?, che riposare in questo sito
estraneo, ancora confinato. Noia
 
patrizia ti è intorno. E, sbiadito,
solo ti giunge qualche colpo d’incudine
dalle officine di Testaccio, sopito
 
nel vespro: tra misere tettoie, nudi
mucchi di latta, ferrivecchi, dove
cantando vizioso un garzone già chiude
 
la sua giornata, mentre intorno spiove.