POESIA A CONFRONTO: Enopoesia

 
 

POESIA A CONFRONTO: Enopoesia
KHAYYÀM, BAUDELAIRE, YEATS, MERINI, KEMENY

 
 

Nunc est bibendum! Per cui siete tutti invitati ad alzare i calici e a brindare a queste poesie che hanno come tema comune il vino, l’elemento dionisiaco per eccellenza.

Punto di partenza imprescindibile sono le quartine dell’iraniano Khayyàm, rielaborate in lingua inglese da E. FitzGerald, con un’ottima versione poetica e un più discutibile rispetto filologico della fonte. Il tema ricorrente in Khayyàm è affine al “carpe diem” oraziano: la necessità di contrastare la fugacità e la brevità della vita con il piacere di cui il vino è concreta materializzazione; vino e canto, piacere e poesia sono elementi che si fondono, danno senso alla vita, sono l’antidoto contro la tristezza, strumento apotropaico contro la morte, prima della riduzione in polvere “senza Fine”.

Altro grande estimatore del vino e di tutte le altre sostanze capaci di indurre nell’uomo quello stato di ebbrezza che permette di attingere una realtà altra, immateriale e trascendente, fu Baudelaire a cui si deve la famosa affermazione: “Chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere” (” Un homme qui ne boit que de l’eau a un secret à cacher à ses semblables. ” – da “Petits poèmes en prose”, 1868). Nella poesia qui scelta il vino è lo strumento a cavallo del quale (e la prima quartina gioca sulla metafora della corsa a cavallo) gli amanti possono attingere al “paradiso” dei sogni, attraverso l’esperienza di un “delirio parallelo” che viene invocato come strumento per approdare a quella sfera intima nella quale, soltanto, gli amanti si possono realmente corrispondere e unire. Il sonetto in ottonari, con rime baciate nelle quartine, ha un’aria trasognata, sospesa, a voler rappresentare un senso di serenità a cui si ambisce.

In Yeats un brindisi con l’amata diventa invece l’occasione per ricordarsi della provvisorietà dell’amore, che è avversato dall’avanzare degli anni. “That’s all we shall know for truth” sembra quasi una ripresa (o una risposta) al Keats di “Ode on a Grecian urn”: «Beauty is truth, truth beauty, – that is all / ye know on earth, and all ye need to know.», ma nella consapevolezza della precarietà, come evidente dal “sigh” (“sospiro”) con cui la poesia si chiude.

Alda Merini intesse, con un linguaggio piano, quasi popolare, un elogio alle “osterie” con i loro “anfratti bui”, “i calici di vino profondi”, “l’eccesso del canto”, dove si parla “il linguaggio sottile della lingua di Bacco”: solo lì si dimenticano i dispiaceri della vita, che non ha senso rimuginare (”l’indagine sorda delle scorrevolezze di vite”); “meglio l’ubriacatura del genio”, all’insegna del più spensierato edonismo. Compare poi, alla fine, quel “Charles”, “scritto a caratteri d’oro”, che, oltre al pittore amato dalla poetessa, fa immediatamente ricordare Baudelaire, anche lui – come abbiamo ricordato – grande amante e celebratore delle osterie.

Nell’estratto dal poemetto di Kemeny assistiamo a un banchetto che vede Ercole protagonista, un vero e proprio tripudio dionisiaco; i vini si avvicendano tra le coppe dei commensali in un profluvio bacchico, un elenco degno di un sommelier: il tutto nel pieno godimento della vita, in completa osservanza al credo mitomodernista che rivendica alla poesia il suo ruolo “eretico, eroico, erotico”. Non mancano la proverbiale “vecchia spugna” e il “giovane sbruffone” con le sue smargiassate sui propri attributi sessuali, in un’atmosfera goliardica, che ricorda un po’ Rabelais un po’ Plauto.

Fabrizio Bregoli

 

 
 
OMAR KHAYYÀM (1048–1131)
(Da Rubàiyàt – Traduzione in inglese di Edward FitzGerald, V Edizione – 1889)
 
VII.
 
 Come, fill the Cup, and in the fire of Spring
 Your Winter garment of Repentance fling:
   The Bird of Time has but a little way
 To flutter–and the Bird is on the Wing.
 
 
 
 
XXIV.
 
 Ah, make the most of what we yet may spend,
 Before we too into the Dust descend;
   Dust into Dust, and under Dust to lie,
 Sans Wine, sans Song, sans Singer, and–sans End!
 
 
 
 
VII.
 
Vieni, colma la coppa, e nel fuoco della primavera
togli il vestito invernale della tua tristezza:
il Tempo, come un uccello, non ha che poco spazio
per sbattere le ali – e l’uccello è già in volo.
 
XXIV.
 
Ah, vivi più che puoi quanto ci è ancora concesso,
prima che anche noi precipitiamo in polvere:
polvere nella polvere, e sotto la polvere a giacere,
senza vino, senza canto, senza cantori, e – senza Fine!
 
 
(traduzione di Fabrizio Bregoli)
 
 
 
 
 
 
CHARLES BAUDELAIRE
(Da Les fleurs du mal – Michel Lévy Frères, Libraires éditeurs, 1868)
 
LE VIN DES AMANTS
 
Aujourd’hui l’espace est splendide!
Sans mors, sans éperons, sans bride,
Partons à cheval sur le vin
Pour un ciel féerique et divin!
Comme deux anges que torture
Une implacable calenture
Dans le bleu cristal du matin
Suivons le mirage lointain!
Mollement balancés sur l’aile
Du tourbillon intelligent,
Dans un délire parallèle,
Ma soeur, côte à côte nageant,
Nous fuirons sans repos ni trêves
Vers le paradis de mes rêves!
 
 
 
 
IL VINO DEGLI AMANTI
 
Oggi lo spazio è splendido!
Senza morso, senza speroni, senza briglie
partiamo a cavallo del vino
per un cielo incantato e divino!
Come due angeli che tortura
un’implacabile malefica calura
nel cristallo blu del mattino
seguiamo il miraggio lontano!
Dolcemente sospesi sull’ala
del turbine sapiente,
in un delirio parallelo,
sorella mia, nuotando fianco a fianco,
fuggiremo senza riposo né tregua
verso il paradiso dei miei sogni!
 
(traduzione di Fabrizio Bregoli)
 
 
 
 
 
 
WILLIAM BUTLER YEATS
(1916)
 
A DRINKING SONG
 
Wine comes in at the mouth
And love comes in at the eye;
That’s all we shall know for truth
Before we grow old and die.
I lift the glass to my mouth,
I look at you, and I sigh.
 
 
 
 
UNA CANZONE SUL VINO
 
Il vino giunge alla bocca
e l’amore giunge agli occhi;
questa è la sola verità che sapremo
prima di invecchiare e morire.
Sollevo il bicchiere alla bocca,
ti guardo, e sospiro.
 
(traduzione di Fabrizio Bregoli)
 
 
 
 
 
 
ALDA MERINI
(Da Poesie per Charles – in Vuoto d’amore, Einaudi, 1991)
 
LE OSTERIE
 
A me piacciono gli anfratti bui
delle osterie dormienti,
dove la gente culmina nell’eccesso del canto,
a me piacciono le cose bestemmiate e leggere,
e i calici di vino profondi,
dove la mente esulta,
livello di magico pensiero.
Troppo sciocco è piangere sopra un amore perduto
malvissuto e scostante,
meglio l’acre sapore del vino
indenne,
meglio l’ubriacatura del genio,
meglio sì meglio
l’indagine sorda delle scorrevolezze di vite;
io amo le osterie
che parlano il linguaggio sottile della lingua di Bacco,
e poi nelle osterie
ci sta il nome di Charles
scritto a caratteri d’oro.
 
 
 
 
 
 
TOMASO KEMENY
(Da Poemetto gastronomico e altri nutrimenti – Jaca Book, 2012)
 
POEMETTO GASTRONOMICO – FRAMMENTO QUARTO
 
[…] Uno schianto lo Sciacchetrà generoso
dispensa dorato e poi benessere
agli appassionati alla bisboccia.
Ercole, solido come una roccia, tracanna
l’effervescente Sorbara e forza
il coppiere a mescergli anche della docile
Valpolicella, e poi della pastosa
Sossella; né rintuzza
il corposo Chianti Montalbano,
né rifiuta il Frascati
secco e fruttato, né disdegna
il potente Greco di Gerace
fragrante di fiori d’arancio.
Una luce rossa di letizia
Ercole irradia e non sperpera ingiuria
su una vecchia spugna che tartaglia:
«il vino è la zinna dei vecchi»
né gli ripugna la condotta
di un giovane sbruffone
che in presenza di leggiadre signore
e signorine osa, osceno, farsi pubblicità:
«la mia nerchia ha una grande comodità,
nessuna donna larga mi sta»
[… ]