Philippe Jaccottet

 

Di E, tuttavia si vorrebbe citare tutto. Tutto tranne Note dal Broto in appendice a E, tuttavia, testo agro sulla morte. Dov’è andata tutta la speranza, la gaiezza nell’osservare minutamente il mondo e parteciparvi da poeta che è nel testo maggiore?

L’avvicinarsi della fine a volta gioca brutti scherzi ai poeti sinceri. E tutto si può dire di Jaccottet ma non che non sia un poeta sincero dove l’artificio è appunto al servizio della congruità del testo. Philippe Jaccottet nasce a Meudon nella Svizzera francese nel 1925. È stato più volte candidato al Nobel. Vive in una campagna meravigliosa, che è fonte spesso della sua ispirazione. Dopo gli studi universitari, ha trascorso qualche anno a Parigi, per poi appunto trasferirsi a Grignan, paese nel Sud della Francia. È poeta, saggista, e ha tradotto anche Ungaretti, la sua parola essenziale.

Tra le raccolte importanti, Il barbagianni e l’ignorante (1958) e Alla luce dell’inverno (1977). Jaccottet ha la virtù, nel tocco delicato, di trasmettere la dolcezza del sentirsi vivi: Ogni fiore che che si apre, si direbbe che apra i miei occhi. Nella disattenzione. Senza alcun atto di volontà da una parte o dall’altra. E, tuttavia in Italia è uscito nel 2006 da Marcos y Marcos. Copyright Philippe Jaccottet nel 2000 e 2002. Le citazioni ricorrenti, già un sestante di navigazione, sono dal Cantico dei Cantici, da San Giovanni Della Croce, San Gerolamo, Holderlin, Emily Dickinson, i maestri dell’ haiku, Schubert, Ramuz, Angelus Silesius, Claudel, Eugenio Montale, Virgilio, Piero Bigongiari, Hopkins, Dante, Goethe, Empedocle d’Agrigento, Max Jacob, eccetera.

Buona lettura, se riuscite a procurarvi un libro di Jaccottet.

 
 
 
 

Da Viole

Fiori tra i più insignificanti e più nascosti. Infimi. Al limite dell’insulsaggine. Nate dalla terra che le ultime nevi d’inverno hanno reso più molle. E come possono, poi, se tanto fragili, anche solo apparire, sbucare dalla terra e stare ritte?
Nella liturgia dell’anno più costante, un poco più eterna dell’altra – che d’altronde si va sfaldando – hanno il loro posto preciso come l’ora d’aria nella giornata dei reclusi. Per sentirle, bisogna spostare dell’ombra. Essere usciti dagli incubi. Aver sciolto le proprie bende. O non è la loro vista che in questo senso ci aiuta?

Non coglierò più i fiori, dice la sposa del Cantico spirituale: ciò significa che si negherà certe brevi gioie in cambio di un’altra, reputata più alta e durevole. Questo rifiuto non toglie però che i fiori, anche non colti, siano stati nominati nel poema, dove sono limpidamente presenti come una sparsa bellezza coltre la quale non si potrebbe di certo andare senza prima averla amata.

 
 

Da Pettirosso

Le sere d’inverno che s’infiammano pressoché teneramente, come una gota, mentre dentro le altezze il cielo raggiunge la più viva trasparenza: vicinissimo a non essere più nulla, poiché attraverso di lui non si vede altra cosa; e tuttavia… Ripenso al verso di Nerval che accosta la santa e la fata: potrei assistere qui, nel mio giardino, alla trasfigurazione della fata ancora rosa, ancora incarnata, nella sua propria anima purissima e priva di peso? Sarebbe troppo bello, troppo conforme ai miei sogni. Credo ci sia piuttosto in questa scena qualcosa come un’acqua molto pura.