Perlamara – Sonia Lambertini

Perlamara, Sonia Lambertini (Marco Saya Editore 2019).

Perlamara, ultimo libro di Sonia Lambertini, edito da Marco Saya, vibra nelle allitterazioni e nella bellezza delle parole e immagini scelte per comporre versi estremamente asciutti ed eleganti.

La trasfigurazione dell’umano al regno animale e/o vegetale consente di rafforzare e addolcire la debolezza e la devastazione dei corpi, il dolore fisico e spirituale. Allora ben introducono la raccolta i versi di Bataille, perché nell’ora buia si desidera solo essere liberati.

È raggiungibile dunque un’estetica del dolore? Evidentemente l’autrice c’è riuscita e le parole sapientemente misurate superano il significato comunemente attribuito riuscendo a continuare nel lettore, come richiesto alla vera poesia, e a lenire una condizione impietosa.

Perlamara si divide in cinque sezioni.

Le poesie della prima parte hanno una componente erotica estremamente raffinata, gli organi sessuali mutano in becchi e stami e in tutti i versi, con sarcasmo, l’autrice denuncia un certo vuoto, un’inservibilità del corpo. La fioritura è demandata esclusivamente alla primavera. Eppure, malgrado l’intento, “fibrilla la memoria” e qualcosa dal passato torna con prepotenza rendendo le poesie fiori che, con colori e odori, ipnotizzano il lettore

 
Cosa ne faccio dei fiori
gingilli a strappo,
sul corredo corrono a crocchio
soffio di aliti pollini
e l’antèra mia dondola,
autofertile il mio fiore
ha il fiato corto giù, nell’anello
ancora il centro del mondo, pare.

 
 

Nei versi introduttivi alla seconda sezione Lambertini Guardando l’altra metà, quella minuta/ didascalia, l’eleganza dei numeri/ la misura del dolore di tutte le cose cerca di liberare i corpi dai letti in cui sono piantati. I chiodi vengono rimossi facendo dei malati creature alate, chiedendo levità alle piume al fine di alleggerire la lotta senza tregua per la vita. E loro, i malati, nelle diverse posizioni dei letti con glutei atrofici e telecomandi nelle mani, volano in verticale, in alto, in un’orizzontale inclinazione. Le ali dicono. I malati che muovono l’aria nella malanotte. Un lavoro di scavo del verso serio e profondo che allontana ogni retorica, l’autrice tratta la malattia con modo proprio di chi bene la conosce.

Nella terza parte le malattie sono descritte con una grazia impareggiabile e i vuoti di memoria, la mancanza di ossigeno al cervello, i danni (rappresentati con materiali estremamente fragili gusci d’uovo, petali, andatura di fiori nel vento) arrivano a diventare suoni e immagini lenitive, come insegna la cultura orientale.

 
Avevo la memoria
un guscio d’uovo,
la sua forma globulare
l’andatura an
non riesco a dirlo
 
angor animi
 
volevo dire, il loto.

 
 

La quarta sezione del libro decisamente contiene le poesie con la luce più crepuscolare, la malattia avanza, viene descritta con maggiore crudezza, smagrisce, spariglia e quasi si percepisce il fiato della morte, “la lingua arrotola lucertola s’impicca”, sembra di vedere tutte le difficoltà di chi lotta, di chi tenta ancora di parlare dal fronte del gelo che disossa. Per descrivere questo precipizio cui tutti siamo esposti l’autrice utilizza una nenia, un canto ancestrale che guarisce, riuscendo pienamente a far vibrare parole e lettore, conservando un’aura di mistero, un’ombra, per quell’interno dei corpi dove tutto si consuma. Riuscendo a creare pura melodia.

La prima poesia contiene un gioco di allitterazioni straordinario. Le singole parole del sintagma si inseguono, giocano tra loro con i suoni e il dolore del corpocarta viene incantato come un serpente

 
Giocavo a rotola parola
corpocarta perla amara,
ripetevo a sgrana dita
sfilavo dalla bocca
bacche, lingua secca
filigrana di preghiera
corpocarta perla amara,
ripetevo a squarcia noia.
 
e poi un vento dal deserto
le coprì tutte, le parole

 
 

Nella quinta e ultima parte del libro tutto è chiamato alla terra gravitazionale.

Impossibile non perdersi nella bellezza di alcune immagini che riescono a mettere luce nel regno della notte. E così una medusa rossa fa brillare di luce propria chi può, l’autrice suggerisce forse una potenzialità nella malattia?

 
Il plenilunio di novembre
Eccita i coralli e nel ventre
Schiude l’ombrello la Periphylla,
la sua gola è acqua nera e il buio
fa brillare di luce propria chi può.

 
 

È mia opinione che la prova fisica possa elevare lo spirito, permettendo a chi riesce, di avvicinarsi all’illuminazione.

Nutro una profonda stima verso questa poetessa che già nella sua prima opera, Danzeranno gli insetti edita da Marco Saya, aveva mostrato tutte le sue qualità. Trovo questo ultimo lavoro ineccepibile, perfetto, da non perdere.

 

Emilia Barbato