Oltre lo smeriglio – Antonio Spagnuolo

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Ricevo e leggo con piacere questo libro di Antonio Spagnuolo, Oltre lo smeriglio, edito da Kairòs Edizioni quest’anno. Un libro che fa seguito a una serie innumerevole di volumi in versi e non dell’autore napoletano che ha ormai 83 anni. Un percorso lungo e costante, ostinato per certi versi, nella poesia. E che trova in questa raccolta un’ulteriore conferma. O meglio, in queste due raccolte, perchè Oltre lo smeriglio si divide in due sezioni: Ricomporre e Memorie, che però indicano una strada che ha contorni ben più sfumati della semplice divisione proposta.

Dico questo perchè è molto chiaro che la prima sezione subisce un lavoro sulla parola all’insegna della sintesi, dell’essenzialità, della forma resa più pura possibile in un significato di voce che prescinde un po’ (anche se mai del tutto, in quanto la contiene) dal significato odierno di parola. Ricordo uno scritto su rivista di Luciano Zappella su Mario Luzi (Il mondo della Bibbia, 11 Giugno 2012): Come è noto, tratto tipico della poesia novecentesca è la crisi della parola (che va di pari passo con la crisi dell’individuo), non più in grado di significare lo “stare al mondo”, il rapporto con sé stessi e con il prossimo. Ne deriva uno scialo di parole, ridotte a mero flatus vocis, incapaci di rimandare a un oltre di senso che non sia la propria autoreferenzialità. Le parole non sono più figlie di una parola che le precede, che le genera, che le rende abitabili. In breve, le parole non si fanno più carne. In tale contesto, Mario Luzi ha l’ardire di affermare che «la parola è tutto: è il Verbo. È il senso primario del divino in noi. Che un uomo sia credente o non lo sia, la parola ha qualcosa di sacro anche per chi rifugge da questi pensieri trascendentali. La parola è aperta al bene e al male. Può essere motivo di proliferazione inutile e menzognera, oppure può essere testimonianza della parte migliore dell’umanità. La parola risponde al più profondo dell’uomo, alla sua sacralità.

Non a caso cito questo Zappella perchè, oltre a una parola che torna ad essere oggetto dell’interesse del poeta (ricordo che alcuni giorni fa, sempre in questo blog, parlando di Giovanni Turra avevo sottolineato come anche lui criticasse il concetto di sintassi dell’immagine a discapito della sintassi della parolaqui) ritroviamo un altro luogo privilegiato di Spagnuolo: la crisi. Nell’introduzione dell’autore leggiamo: La crisi, non solo di un linguaggio ma di tutta una cultura politica e borghese, che da sola ha rappresentato sino agli albori del Novecento una tradizione solida e capace di delineare la letteratura – in particolare la poesia – quale considerazione determinante nell’avvio della convalida dei valori morali delle diverse età e dei diversi contesti, diviene sempre più avvertibile e cosciente, e investe necessariamente tutta una visione psicologica e ideologica nel clima di disinteresse che caratterizza l’era contemporanea.

A questa crisi Spagnuolo oppone un verso e una poesia che mi ricordano le parole di un amico di tanti anni fa. Quest’amico diceva che le preghiere nel loro ripetersi non sono altro che suoni catartici e ipnotici per rimandare la mente a dimensioni diverse, non necessariamente religiose (ma anche quando ho affrontato Strumia, qui, abbiamo visto una cosa simile). Così l’essenzialità e l’asciuttezza della prima sezione di Oltre lo smeriglio a me pare questa sequenzialità di suoni che portano il lettore non in un mondo estetico, ma in un mondo poetico dove la crisi continua ad esistere, e tantomeno è negata, ma vede davanti a sé una possibile soluzione. Assumendo in sé una sacralità che contiene i significati di poesia civile e poesia sociale, e forse li riassume.

Dicevo due sezioni che però non collimano perfettamente con le evidenti intenzioni dell’autore. Perchè già alla fine di Ricomporre ci sono le avvisaglie formali della poesia presente in Memorie. Una poesia non meno lirica ma meno asciutta, più diretta, non intellettualistica ma più dialogante. Sarebbe facile dire più bassa se non fosse che è infinitamente più alta e toccante. Versi sentiti, versi pregnanti d’amore e di dolore, versi non più segnati dalla crisi socio-culturale ma sofferenti di una crisi personale. Versi dolcissimi nel loro essere innamorati, versi umani e troppo umani che personalmente mi fanno credere che la soluzione alla nostra crisi (o una sua possibile soluzione) non sia tanto nella ricerca intellettuale, poetica, quanto nell’affondo dentro la materia umana. Quel m’è dolce naufragar in questo mare che di fatto chiude questo libro, e lo esalta.

 
 
 
 
 
da Ricomporre
 
 
 
 
 
Nel tuo sempre diverso
tuffi di striscio ogni altro
che si arrende
sospettando ricordi.
Il sole taglia inganni delle ore
il cadmio, il violetto, l’arancione
ricamano il vermiglio, rosso cupo.
Era d’estate e le tue mani
cercavano la stretta incandescente
sui sacrati ormai esclusi,
nel fotogramma ingiallito,
quasi pausa d’ascolto
a piegare l’attesa.
 
 
 
 
 
Rispondi l’orlo
slombato a perdere distanze.
Sparita al crepuscolo
quando gli sguardi attoniti
tornano a recitare
lentamente minuti.
Eccoti nuda come sogni
scalcati all’impazzata:
rimani interdetta negativa
declinando bisbigli,
consumandoci rincula la vecchiezza.
Quasi scopri paura
a colonne di menzogne:
giri la tana
da oltre cinquant’anni.
 
 
 
 
 
Ora la tua stanza
lascia maschere di sesso
si pensa al ritorno fatto di finzioni,
al frammento che unisce
il gioco al clavicembalo.
Al soffitto rattoppi di verde,
piena di labbra
modifichi aspettando
l’inganno d’una lettera,
svuoti clandestina
la radio
nelle equazioni di ieri
per il cristallo che incanta il tuo sfuggire
al taglio del mio inganno.
 
 
 
 
 
I tuoi piedi/ una vita/
altre dimensioni a raccontare
divergenze e carezze.
Serra le mani
nulla coincide
al consueto logorio del legno,
quando la città consuma
grottesche divergenze.
Lungo il rumore punge il tuo profilo
parole ai bordi per un altro agosto,
nel tuo meriggio il concerto
a terrazze,
per gli amici perduti
per il vano ascolto
al primo andarsene.
 
 
 
 
 
Torna il riflesso muto dello specchio
dietro il non senso,
confonde le striature.
Così bianco concede le illusioni
delle voci squarciate nel diniego.
Accendesti la luce inutilmente
per ripetermi versi:
perdutamente inseguo i tuoi molti monili
abbandonati tra cornici e ninnoli.
 
 
 
 
 
Mi stupiva l’aggancio del tuo segno:
mobile desiderio di sfuggire
al destino del piede. Ogni storia
ebbe giorni sospesi.
Inseguivo passaggi che tu dici ventosi,
mi sperdo tra cifre e pantofole
nell’irresistibile giogo del tuo fianco,
ma ora scorrono solo silenzi
e non trovo il sorriso che mi offrivi.
 
 
 
 
 
da Memorie
 
 
 
 
 
Foto
 
Se guardo la tua foto e sussurro il tuo nome
cosa rimane nel sogno che rinnova
l’angoscia e l’urlo delle mie illusioni?
Anche il tempo dilata follie:
non più tenerezze, non più con sillabe
masticate ai margini del mistero,
ma con il terrore della tua assenza ormai certa.
Il passato torna e mi avvolge
in una luce diversa,
e propone il profumo della tua gioventù,
per ingannare il momento.
 
 
 
 
 
Felicità
 
L’invenzione di aprile gioca al cielo
petali e parole per svanire
nell’orizzonte indeciso. Io un’altra volta
lascio i colori alle catene, ai sorrisi,
alla ruggine, per raccontare la felicità
come lo sguardo che in piena notte
ripetesti nei contorni della luna.
Lo so che non tornerai, così rapita
dal crudele ingannarmi della morte,
così decisamente lontana dal presente.
 
 
 
 
 
Pulsazioni
 
Non ripeto quei gesti
che la tua palpebra schiudeva timorosa
ad ogni mio ritorno.
Erano sfioramenti colorati:
polveri nell’impasto di frantumi,
per scandire gli istanti d’illusioni.
Ora vertigini che sbandano nel sonno
riflettono gli amplessi quasi a scherno
di primavere rabbiose camuffate in memorie.
Il gioco ricomincia nel chiarore
di quei pochi secondi, di intervalli
per giorni di bestemmie.
Pulsazioni che sgranano le ombre
per nascondere ascolti e solitudine.
 
 
 
 
 
Parole
 
Non torneranno più le tue parole
reinventate nella parodia del sussurro
giorno dopo giorno in questa solitudine
impazzita.
Le mutevoli distese ai colori, o l’abbandono,
hanno le trasparenze inaspettate,
la fissità che spezza i giorni,
il rimpianto confuso d’un libeccio.
Quando eravamo solo un riverbero
il respiro confondeva memorie
e confuso salivo alle tue labbra.
 
 
 
 
 
Sospetto
 
Ricompongo le testimonianze di un sospetto:
disperderci a finestre per poter recidere aneurisma.
Ladra di speranze avresti ritrovato le pareti
per svampare i segreti,
stacchi le asimmetrie mentre il soffio dei giorni
ha un antico litigio di memorie.
Non sei altro che polvere sospesa
tra l’insonnia e il timore.
 
 
 
 
 
Distanze
 
Accadde quando il pioppo sussurrava
tempi diversi per asfalti nuovi,
il tuo suono ripeteva le presenze
screziate al taglio incredibile del nudo
per illudermi ancora che il segreto
dicesse di magnolie,
dicesse di pupille impossibili, intermittenti.
Sfioro gli intarsi di novembre
rincorrendo gli incanti della tua distanza.
 
 
 
 
 
Svestire
 
Ho promesso di svestire le memorie
per la ghirlanda dei sogni:
un graffio nello sguardo della Croce
che mi abbaglia del nulla:
orme di azzurro e viola per il flebile segno
della corda spezzata.
Forse nel fuoco il taglio del tuo lamento
chiude la tenerezza della solitudine.