Oleandro e garaža – Giovanni Fierro

fierro

Che la poesia d’amore sia cosa trita e ritrita è cosa risaputa, seppure poi storicamente (e forse anche ciclicamente, come un’esigenza) riemerge con nuove linfe e vitalità (si veda in questi giorni il libro di Maria Grazia Calandrone – qui – fra tutti). La poesia erotica invece vive di ben altra vita, più appartata, forse più di nicchia, ma senza in effetti morire mai. Mi vengono in mente due ottimi poeti che hanno espresso parole nel genere: Carlos Drummond De Andrade (qualche suo testo qui) e Paolo Ruffilli (di quest’ultimo si legga appunto il suo stupendo Affari di cuore – ne ho scritto qualcosa qui).

Oleandro e garaža di Giovanni Fierro (Qudu libri 2015, prefazione di Marco Marangoni – da non dimenticare che lo si può acquistare da qualche giorno nel rinnovato Store Samuele Editore che ora include anche Qudu Libri, Kolibris Edizioni, Pietre Vive Editore) fa dell’erotismo nella sua declinazione più quotidianamente carnale una bandiera. Con tutto il suo carico di violenze e pudori. Il prefatore Marco Marangoni non a caso scrive: E allora si legga con questa verità di sguardo il pudore della parola, l’indugio a cui Fierro non vuole e non può rinunciare dentro le pratiche violente, necessariamente violente (ancora Bataille) dell’erotismo; irrinunciabilità che non è effetto di moralismi e tanto meno di un riflesso “ideologico” agente sotto-traccia. Al contrario, il pudore della parola è qui segno della comunicazione responsabile dove l’altro è il primo senso del discorso poetico che sporge nel testo, sintomaticamente, con espressioni quali “ti dico”, “quando mi dici”, eccetera.

Ma il veleno è tuo / quando mi dici / ‘ancora’. Come viene giustamente sottolineato l’espressione privilegiata dell’erotismo in Fierro è proprio il dialogo. Il rapporto fisico, spesso inteso come lotta l’uno sull’altro, l’uno dentro l’altro, in questo libro dichiara di avere bisogno della parola per sublimarsi ad atto d’amore e non puramente carnale, pur non volendo mai abbandonare la sua natura ancestrale di questo spingere la carne / dentro la carne. Quasi il dialogo demarchi il limite, il confine dove stabilire la relazione con l’altro. Dialogo che nasce dalla bocca, giocoforza, e in questo fa emergere un ampliamento importante del suo significato: Tutto baciamo / ma tutto non diciamo / dove, a carne e desiderio / violiamo e conquistiamo, / a parole ci fermiamo / un centimetro prima. Perchè la bocca parla ma anche bacia facendo assumere al bacio la medesima valenza e pregnanza del dialogo. Un bacio che, similmente a un testo di Lello Voce (Piccola cucina cannibalequi), è un mangiare, letteralmente un prendere in bocca l’altro e un farsi prendere in bocca dall’altro. Eroticamente con tutto ciò che ne consegue.

Ma la parola vive anche di questo, il dialogo erotico è questo incontro di carne che è sempre / il segreto e la parola arresa. Una parola breve, essenziale, che sa essere quotidiana anche nel lessico: e ancor di più, con una parola / trovi la magia / più inselvatichita / e la dici, / ‘scopami’. Ma proprio per questo indice delle prove dell’amore. Fino a che, chiusa l’opera in un’intelligente brevità (sono appena 20 poesie) che non vuol dire nulla di più dell’essenziale (a mimare il rapporto erotico stesso), con frequentissime battute di sospensione su versi singoli (quasi ogni poesia ha dei versi isolati, appunto delle battute di riflessione) l’amata antagonista sussurra mi viene da piangere come rilassamento fisico dopo la battaglia, dopo l’innesco / e il tuono, per concludere con l’ultimo dialogo che è gesto (come gesto è tutto il rapporto erotico, e anche la poesia): e tu mi indichi / vicino alla finestra / una gioia e cinque / tulipani / gialli.

Versi che chiudono un volumetto prezioso e ardito con un titolo emblematico, Oleandro e garaža, a indicare quotidianità e rifugio (garaža in croato significa rimessa, garage). Forse la definizione più bella di atto erotico, di atto carnalmente innamorato, d’amore.

 
 
 
 
 
 
Attesa
 
 
La crudeltà della preda
è qui
braccata e perciò più feroce.
 
Così, voglio baciarti
e invece
ti mordo
 
ma il veleno è tuo
 
quando mi dici
‘ancora’.
 
 
 
 
 
 
 
 
Sguardo
 
 
Più della carne che suda
e scalda l’aria e il tempo,
 
la gonna tirata su e levata
il cuscino dietro la schiena.
 
La mia testa pensa al girotondo,
le tue labbra sono lo zucchero
sciolto sulle mie dita
 
la pelle che sai si apre al tremare.
 
Quanti i respiri
volati via.
 
 
 
 
 
 
 
 
Quasi giorno
 
 
Questo spingere la carne
dentro la carne
è chiaro, lo stiamo facendo
 
è come si fa con i propri
anni
dentro il tempo, corpo a corpo
giorno a giorno, il momento
nel suo stare ,
la saliva nella sete e si muove.
 
É il difetto più riuscito
 
così, di più
non riescono
le nostre braccia, a stringersi
nell’abbraccio.
 
 
 
 
 
 
 
 
Geografia
 
 
Perché prima di te
io pensavo che tra inguine
e cuore
ci fosse più
distanza.
 
Ora, tu mi dici
arrivami fino in gola
 
lo chiedi dalle tue labbra
che adesso non vedo,
io dietro a prendere
coraggio e il caldo dell’odore.
 
E’ questa la libertà
che mi concedi,
è bella e pudica e fiorita,
è spinta
 
da quanto l’aspetto.
 
Scelgo da dove e
con quale carne
posso iniziare
 
il mio più vivo
e primo bacio.
 
 
 
 
 
 
 
 
La verità seconda
 
Come può iniziare qualcosa
dal semplice tenerti la mano
 
e poi, nel tempo, fra le gambe
darti un bacio,
 
a fare la primavera
a liberare le rondini in volo.
 
Di certo, qualcosa
non funziona
 
ma non adesso.