Ogni partenza è identificarsi con quanto sopravvive – Carlo Ragliani

 
 
– Libertà
sintomi
dell’abbandono
assenza
che porta un legame
maturato anzitempo
sindrome
di un’esistenza ormai spesa
tra le crepe
del congedo.
 
 
 
 
 
 
– Nulla
di tutto questo
ormai importa
nell’ansimare
dei muscoli
queste parole
cesellano il secondo
sfiorito
la separazione
è tributare
la ballata
della sconfitta.
 
 
 
 
 
 
– Distanze
incise nei secoli
suggeriscono
l’annichilimento
nel conforto dell’ironia
ogni partenza
è identificarsi
con quanto sopravvive.
 
(Carlo Ragliani, Lo stigma, Italic Pequod, 2019)
 
 

In questi testi, Carlo Ragliani analizza la precarietà e la provvisorietà delle relazioni umane, trasfigurandole in una più ampia visione dell’impermanenza dell’esistere, e in particolare del disorientamento che tale consapevolezza comporta, facendo precipitare in un progressivo senso di perdita e di smarrimento degli affetti e di significato.
Nel primo testo, paradossalmente, la libertà, che sembra quasi una condanna di sartriana memoria, è sintomatica della perdita relazionale, è “assenza / che porta un legame / maturato anzitempo”: una libertà che appare come qualcosa di vano, una volta maturata la percezione che per ottenerla davvero è necessario abbandonare ogni legame, e ciò che resta non è che la sensazione delle “crepe” conseguenti al “congedo”, che finiscono per caratterizzare l’intera esistenza.
Tale percezione è rafforzata da termini riferibili ad una patologia (“sintomi”, “sindrome”), per cui sarebbe lecito supporre che tale “libertà” sia quasi una malattia.
Nel secondo testo, dopo una visione così accurata e micidiale, si sentenzia: “nulla / di tutto questo / ormai importa”, evidenziando un distacco da tali relazioni, che ha il sapore doloroso di una malcelata nostalgia; “l’ansimare / dei muscoli” sembra confermare, nella spietata sincerità della carne, questa lettura.
Le parole, frutto di un’elaborazione a posteriori per cercare una prospettiva di significato o, quanto meno, una pur minima possibilità di conforto, non fanno che cesellare “il secondo sfiorito”: il tempo passato tra la fioritura ormai lontana e l’attimo presente, già morto appena pronunciato, sembra aumentare il carico di questa amara consapevolezza, nonché il senso di estraneità verso questa tremenda “separazione” tra una spontanea vitalità condivisa, che appare ingannevole e remota, relegata in un ricordo cristallizzato e sempre più lontano della memoria, e un dinamismo presente che non fa che amplificare la percezione della perdita, concentrandosi in un presente che appare come uno spazio e un tempo che si espande in ogni direzione, morendo continuamente in sé stesso; provare a prendere le distanze da tale sofferenza non è che un ulteriore sacrificio, un “tributo” alla “ballata della sconfitta”.
Ragliani sembra confermarlo nell’ultimo testo: le “distanze” vengono percepite in modo così ampio da essere “incise nei secoli”, e l’unica prospettiva da esse suggerita è “l’annichilimento”, quasi liberatorio, di ogni tensione, positiva o negativa che sia – prospettiva che solo un incondizionato e completo allontanamento consentirebbe.
Perché allora scriverne, se ogni sillaba sembra un pilastro del tempio di una resa permanente? Sono i termini scelti a suggerire un dinamismo piuttosto che un incondizionato giacere immobile (“porta”, “ansimare”, “ballata”), nonché la sofferenza sottesa ai testi, a convincere che tale presa di distanza è più un tentativo di riparazione e di superamento che il compiacimento di aver conseguito una reale e completa dissociazione.
Si indica, infine, una possibilità di conforto, prima di tutto, nell’ironia – che consente di non negare alla vita di sorprendere, pur nella consapevolezza della sua tragica fragilità – ma soprattutto, di ripartire, di ricominciare il proprio cammino, pur se formalmente svuotati di ogni speranza e aspettativa: “ogni partenza / è identificarsi / con quanto sopravvive”, il che equivale a dire che, nonostante tutto, esiste un nucleo essenziale di cui non possiamo testimoniare la disgregazione e la dispersione, nonostante tutto ciò che lo circondava sia sparito e la sua assenza bruci in ogni istante.
Ed è questa possibilità di riprendere il cammino, per quanto dolorosa possa apparire, a realizzare lo scarto tra una speranza intimamente sofferente e una lucida ed assoluta disperazione.

Mario Famularo