L’ultra-testamento di Claribel Alegría


L'ultra-testamento di Claribel Alegría

Claribel Alegría è, ormai oltre ogni possibile discussione, uno dei nomi fondamentali della letteratura mondiale (è attualmente tradotta in 15 lingue). Nata nel 1924 a Estelí, in Nicaragua, da padre nicaraguense e madre salvadoregna, trascorre l’infanzia e l’adolescenza nel El Salvador. Nel 1943 si trasferisce negli Stati Uniti per studiare alla George Washington University dove si laurea in lettere e filosofia. Lì incontra Darwin J. Flakoll, che sposa nel 1947, e con cui avrà quattro figli. L’anno successivo pubblica il primo libro di poesie, Anillo de Silencio, con l’aiuto e l’apprezzamento del Nobel per la letteratura Juan Ramón Jiménez. Tornata in patria si lega al Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale. Nel 1978 riceve a Cuba il premio «Casa de las Américas», il più prestigioso riconoscimento letterario latinoamericano. In seguito le verranno conferite diverse onorificenze e vincerà un nutrito numero di premi letterari internazionali, tra cui: il «Neustadt International Prize for Literature» (2006), il grado di «Commendatore dall’Ordine della Stella Della Solidarietà Italiana» (2010), il «Premio Camaiore Internazionale» (2016) e il Premio «Reina Sofía de Poesía Iberoamericana» (Spagna, 2017). Dopo aver vissuto in vari paesi europei e latinoamericani, nel 1979 Claribel e Darwin si trasferiscono in Nicaragua per scrivere libri di testimonianza sulla realtà centroamericana. Viene a mancare serenamente il 25 gennaio 2018.

Voci - Claribel Alegría 1

In Italia le sue pubblicazioni sono: Ceneri d’Izalco (con Darwin J. Flakoll, Incontri Edizioni 2011), Alterità (Incontri Edizioni 2012), Voci (Samuele Editore 2015, collana Scilla, prefazione di Zingonia Zingone, traduzione di Zingonia Zingone e Marina Benedetto), Amore senza fine (Fili d’Aquilone 2018, prefazione di Martha Canfield, traduzione di Zingonia Zingone, già pubblicato in Spagna nel 2016 da Visor col titolo Amor sin fin). In particolare Voci, del 2015, appariva come un testamento della poetessa. Un dono, un’ultima parola che non a caso veniva indirizzata ai pronipoti Lea, Emily, Maxime, Camille e Victor (dalla dedica nel libro). Non ci si aspettava (ma nemmeno ci si precludeva l’ipotesi) un’ulteriore opera di Claribel, anche a causa della sua età. Alla Cerimonia per il riconoscimento del Premio Camaiore Internazionale dato a Voci dalla giuria diretta dal compianto Francesco Belluomini non potè infatti essere presente a causa di problemi di salute.

Ma Claribel Alegría era poeta, poeta vera, e nel 2016 apparve in Spagna e nel 2017 in Italia un “ennesimo testamento”, o meglio un “ultra-testamento” (nell’accezione latina di “ultra”: che va oltre), che chiuse il cerchio di ciò che era il suo approccio con la vita e la poesia. Un corpo a corpo completo, totalizzante, senza sconti con il mondo. Passione poetica e passione sociale erano per lei un tutt’uno dove esprimere e realizzare un io particolarmente rigoglioso, generoso (lei stessa lo ammise nei versi che lanci alle sfere / l’amore accumulato […] dell’assurdo desiderio / di fare sempre qualcosa, tratti da Amore senza fine).

 

In un articolo del 2015, apparso su Letterate Magazine, Gabriella Musetti scrisse:

 

Claribel Algeria è una poeta e scrittrice che ha messo il suo impegno politico e sociale nella produzione letteraria, che ha fatto della parola un veicolo di forza e di libertà. Convinta del ruolo ‘sociale’ della poesia come luogo di svelamento e accoglimento, Claribel Alegría denuncia e interroga, crede nella poesia che fa paura al potere perché mette a nudo gli intrighi, le ingiustizie e le violenze subite dai deboli, rivela le fragilità, pone domande sul mistero dell’esistenza, tocca temi profondi che riguardano l’ordine e il disordine della vita e della natura, con tutte le distorsioni perpetrate dagli uomini contro altri uomini e contro la stessa natura. […] Un aspetto della sua poesia che sollecita l’attenzione è la consapevolezza, più volte rimarcata, del potere dirompente della parola. L’autrice opera una scelta ragionata nell’uso della parola che può aprire ferite profonde, essere distruttiva. Allora la scelta della misura non è quella di tenersi in disparte, ma quella che appartiene a chi conosce le lacerazioni dell’impeto e sorveglia con pudore le armi taglienti. Attraverso continui spossessamenti, spostamenti, trasformazioni d’essere e di status, di natura e di potenzialità, l’autrice si interroga e interroga chi legge, in modo pacato, intorno agli aspetti più inquietanti e ombrosi della vita, mantenendo una ironica e delicata accettazione del mistero.

 

Se in Voci l’attenzione era fondamentalmente verso l’altro, era un ultimo “discorso da condividere”. In Amore senza fine Claribel consegna un viaggio personale tra mitologia e sfumature orientali. Martha Canfield, nella sua puntualissima e necessaria prefazione all’ultima opera, afferma:

 

Il viaggio interiore e la ricerca di una verità inabissata dentro i complessi labirinti della propria coscienza è precisamente la tematica di quest’ultima raccolta, o meglio “poema”.

 

Tale processo in qualche modo ricorda il viaggio di Ishtar, tra le altre cose ben cantato da Marina Giovannelli in Il libro della memoria e dell’oblio (Samuele Editore 2013). Come in Marina Giovannelli (che scriveva in relazione alla scomparsa del marito poeta e scrittore, tra i più importanti del nord est Italia, Tito Maniacco), anche Claribel percorre il suo viaggio di analisi interiore pensando a un grande amore scomparso anni prima, Bud. Un amore che era completamento, espressione e realizzazione non solo della donna Claribel ma anche della sua passione e della sua attività nel sociale. Non ha caso ho voluto, in questo preciso frangente, riutilizzare i termini che ho poc’anzi usato in riferimento al suo impegno, e che ripropongo:

 

un corpo a corpo completo, totalizzante, senza sconti con il mondo. Passione poetica e passione sociale sono per lei un tutt’uno dove esprimere e realizzare un io particolarmente rigoglioso, generoso.

 

Perché Amore senza fine, nelle sue sette sezioni (El Umbral/La Soglia, El Abismo/L’Abisso, Las Palabras/Le Parole, Estrella Indómita/ Stella Indomita, La Mandala/Il Mandala, Pegaso/Pegaso, El Retorno/Il Ritorno), è un viaggio nel proprio io che sintetizza e riunisce le varie declinazioni della vita come se ci si trovasse di fronte a una teoria del tutto esistenziale che riesce a ribaltare i limiti dell’io stesso. Claribel scava dentro di sé ma riesce a parlare della natura umana, della ricerca psicologica e sentimentale dell’essere umano in quanto tale. Non rinunciando, sempre in punta di piedi (lo stile è infatti leggerissimo, delicato), al riuscito tentativo di dire anche le cose più complesse:
 
Mi oppongo a quelli che pensano
che l’amore sia docile
compare così
senza essere chiamato
e sale e scende
e si trasforma
e muore
e resuscita a volte
e non muore.
L’amore è dolore
e allegria
alterazione dell’io
abbandono
possesso
e godimento
e giogo
è mistero
e battaglia
orrore alle gabbie
voglia di fuggire
veglia
e sogno
sfida alla vita
e alla morte.
 
(Il Mandala, in Amore senza fine)
 
 

L’amore era presente anche in Voci ma appariva meno scavato, meno descritto con la nudità di una donna che si spoglia di tutto per accogliere una verità umana più profonda, una conoscenza più completa. Che prevede, per definizione, anche una parte di dolore, di paura, di distanza che in Voci era solo accennata proprio perché, come già detto, era funzionale a un “dire all’altro” la possibilità dell’amore.

 
Il mio ballerino sufi

A Bud

Sono cucita
all’orlo del tuo mantello
mi sollevi
mi butti giù
giro con te
giro
e ad ogni nuovo giro
più forte
mi abbandono a te.
 
(da Voci)
 
 

Pacificazione dei “due in uno” che ritroviamo anche in Amore senza fine, ma solo accennata in relazione a un ricordo della scoperta di sé (quindi all’interno di uno scavo introspettivo, non come espressione della possibilità dell’amore):

 
volevo essere la brava bambina
studiosa
ma ero affascinata
dal mio sesso
scoprii che il mio sesso
aveva un solco che si apriva
volli sapere cosa ci fosse dentro.
Ogni notte
davanti a uno specchietto
che rubai a mia madre
mi esaminavo il sesso
mi sentivo colpevole
e perversa
ero l’unica padrona
di un segreto
m’invadeva l’ilarità
m’invadeva l’orrore
ero l’unica padrona
di un mistero
fino a quando un giorno mi accorsi
che in fondo a quel solco
c’era il tuo seme ad aspettare
germogliarono i miei figli
ancorando le onde
dei miei sogni.
 
(L’abisso, in Amore senza fine)
 
 

La metafora della danza in relazione all’amore (Il mio ballerino sufi, in Voci) è presente anche in Amore senza fine ma con quella partecipazione della poetessa che scrive “una poesia nella poesia”, una vera e propria lettera d’amore di una donna a un uomo che ama ancora moltissimo, e che prova quella femminile quanto preziosa paura legata al desiderio di ritrovarlo ma è consapevole del distacco, e lo lamenta senza scadere in pietismi.

 
Aiutami, amore, a ricordare
che arriverà il giorno
dell’incontro con te
faremo finta di essere
a due passi
e che tu non mi vedi
e nemmeno io ti vedo.
Cammineremo insieme
non sarai parte di me
puoi ballare senza di me
abbandonarmi al mio arbitrio
danzare con il tuo fiore
e la tua spada
svegliare i bambini
con parole stregate
svegliare i vecchi
che non vogliono svegliarsi
 
(da Pegaso, in Amore senza fine)
 
 

Come si vede se in Voci Claribel affermava che ad ogni nuovo giro / più forte / mi abbandono a te nell’opera successiva invece Cammineremo insieme / non sarai parte di me / puoi ballare senza di me / abbandonarmi al mio arbitrio.

 

Ma per affrontare tale ultra-testamento dobbiamo necessariamente partire dal titolo: Amore senza fine. Martha Canfield in prefazione avverte:

 

Il libro, in effetti, porta un’epigrafe tratta dal poema di José Gorostiza Muerte sin fin, pubblicato per la prima volta nel 1939. Quindi è chiaro che il titolo scelto da Claribel è una parafrasi del titolo di Gorostiza e anche se, in principio, amore e morte ci si propongono come antitetici, nello sviluppo di entrambi i componimenti si arriva a capire che, da una parte, il concetto di morte in Gorostiza è legato all’acquisto della forma-vita, ma la ricerca anelante della forma porta a rinnovare costantemente il ciclo, di modo che vita e morte si congiungono in una successione impe-ritura; dall’altra parte, nell’opera di Claribel la spinta a cercare, a muoversi senza remore verso una qualsiasi rivelazione, è indotta dalla forza della parola – che non è altro che la poesia –, la quale forza nasce dall’amore. Morte senza fine, perché essa pone fine ma insieme rigenera la vita; amore senza fine, perché la poesia nata dall’amore è la riprova dell’esistenza di un’energia intramontabile di cui siamo beneficiari.

 

Un amore al quale ci si riferisce continuamente anche a livello di domanda. Non a caso nella sezione Pegaso si legge:

 
Entrambi siamo
viaggiatori
ho seminato nel nulla,
il canto
mi scappa via
sono Andromeda
nella roccia
l’anima e il corpo dolenti
il mio dolore è solitario
vanno e vengono
sagome
incubi
sagome.
Cosa cerco, amore
cosa cerco?
 
(Pegaso, in Amore senza fine)
 
 

Prima di arrivare a questa domanda Claribel percorre però un’analisi del sé, della propria identità, priva di riferimenti altri se non le idee, la fede. La poetessa si interroga su Dio, sulla realtà del sé, utilizza come simboli/metafore l’ombra, la soglia, la maschera, la moltiplicazione dell’io come pezzi di specchio. Sostenendo implicitamente una lezione che Pasolini avrebbe definito scandalosa: per amare qualcuno bisogna conoscersi, perché l’amore non è completamento, non è la congiunzione platonica delle due metà della mela, ma è l’unione di due mele in un albero con radici e rami e a sua volta frutti.

Leggiamo, in relazione ai simboli/metafore dell’ombra, della soglia, della maschera, e della moltiplicazione dell’io come specchio (in grassetto le ricorrenze):

 
Cerco la mia ombra
e non la trovo
ho sempre giocato
con la mia ombra
la seguo
mi insegue
non ho ombra adesso
e neanche gli alberi
dove ho lasciato la mia ombra?
Anche se piccola
non è entrata dalla fessura
forse dorme
o è disperata
di avermi perso
forse potrà scapparsene via
con il petto preso
dall’agitazione.
 
In questa soglia non ci sono ombre
la mia non è riuscita a entrare
devo avanzare senza di te
ombra amica
mi mancano i tuoi giochi
le tue cerimonie quotidiane
ti piaceva la mia risata da pagliaccio
i miei demoni vestiti
da pagliaccio
il mio riso che era
pianto
e il mio pianto
singhiozzo.
Anche tu ridevi
cosa fai adesso?
Senti l’abbandono?
Tu mi riparavi
io ti riparavo.
Ritornerò
non temere
ho nostalgia dei miei riti
accanto a te.
 
È strana questa soglia
senza ombre

con i fiumi che volano tra le nubi
e non so dove vanno
senza mari
e senza ceibe.
 
(da La Soglia, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
Il serpente
e la mia ombra
mi aspettavano
mi volevano cullare
mi volevano rivestire
e in coro cantano per me:
“Donna Ana non è qui
sarà forse giù in giardino
ad aprire la rosa
e chiudere il ciclamino.”
 
(da Il Ritorno, in Amore senza fine)
 
 

Simbolo/metafora, l’ombra, che era già presente in Voci:

 
Dove vado?

A Dora Guerra

Dove vado
su questa nave
padrona del mio spazio
che del mio tempo
è padrona
incanalando la mia sorte?
Poco a poco
il suo capitano inesorabile
mi ha appannato gli occhi
il senno
i sensi
poco a poco mi ha immerso
in una nebbia di domande
per me senza risposta.
Colo a picco
tra il timore e la speranza
forse questa stessa notte
salterò fuori bordo
salterò senza la mia ombra
salterò avvolta in un affanno
che mal cucito
ravviva i ricordi
e cade a pezzi
quando tocca il vuoto.
 
 
 
 
 
 
Ombreggi
 
Sono un’ombra
sfuggente
che un giorno non lontano
farà ombra su di te.
 
(da Voci)
 
 

Tornando ad Amore senza fine vediamo ulteriori riferimenti a soglia, maschera, moltiplicazione dell’io oltre a quelli già sopra evidenziati:

 
È strana questa soglia
senza ombre
con i fiumi che volano tra le nubi
e non so dove vanno
senza mari
e senza ceibe.
Non ci sono automobili
né barche
né aeroplani
né treni
né cavi telefonici
ma ci sono arcobaleni
circolari
dèi che scendono
dall’Olimpo
e il mio Dio
dov’è?
 
(da La Soglia, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
In fondo all’abisso
specchi rotti
centinaia di bacchi
centinaia
centinaia di claribel

nei pezzi di specchio
universi
inversi
multiversi
sentenze del destino
che mi legano
o sono io che lego il destino?
Esplorazione dell’io
che si trasforma
il sole non tramonta mai
e le stelle non smettono di brillare.
Sono il mare
sono la ceiba
i fiumi volanti
che atterrano in me
si rompono
si biforcano
diventano canto
e io canto le loro note.
Quale fra tutte le claribel
nei frammenti di specchio
è quella reale,
quella che non porta maschere

ed è coperta di rovi
e carboni ipnotici
che presagiscono incendi?
 
(da L’abisso, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
Si è rotto l’universo
in mille pezzi
questa soglia è un frammento

un fantasma
con alberi,
la sua musica dentro di me
vorrei che le mie labbra
pronunciassero parole
parole sconnesse
solitarie
e magiche
parole come foglie
per ombreggiare l’incantesimo
di questi rami
che mi turbano:
ma questi sono amori morti?
 
(da Le Parole, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
Da ogni maschera distrutta
sorgeva un papavero

circondata dai papaveri
ho visto avvicinarsi un centauro
scese nell’abisso
bisogna allentare le legature
eliminare i ricordi.
Sarà Chirone?
mi domandai
o soltanto un messaggero?
È ora che tu salga
ordinò
mi mise una mano sul fianco
mi sollevò in aria
e mi sistemai accanto a lui.
Non bisogna stracciare
le maschere
mi disse
dimenticale se vuoi
ma non le distruggere.

 
(da L’Abisso, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
Quante claribel
si saranno viste
in questo stesso specchio

nello stesso pezzo
di questo specchio?
 
(da Stella Indomita, in Amore senza fine)
 
 

Allo scavo del sé si accompagna la riflessione sulla morte che rende quest’opera, come detto, un ultra-testamento:

 
Vita e morte
non si cancellano

(vivo e muoio
muoio e vivo)
entrambe sono inafferrabili
si cercano sempre
negli angoli
fanno nido nelle matasse
che incatenano il tempo
sono caustiche
sono soavi
forano i nostri giorni
i nostri sogni
generano i nostri canti.
 
(da Le parole, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
Mi ossessiona la morte
come sarà la mia anima
senza corpo?
Sempre di più mi unisco
all’universo
non ho bisogno della ceiba
non ho bisogno del perdono,
e il mio mare
sarà il mare
il principio della morte
la culla della vita
e della morte?
Non ho bisogno del mare
però mi chiama.
 
(da Stella Indomita, in Amore senza fine)
 
 

Testo, quest’ultimo, che esprime un diverso punto di vista rispetto a Voci se facciamo riferimento al simbolo/metafora del mare (Non ho bisogno del mare / però mi chiama):

 
La voce del ruscello
 
Torno verso il mare
è lì che nacqui
mi accolse una roccia
quando saltai sulla terra.
Scendo piano
mi trattengo nel muschio
tra i fiori selvatici
scendo a cercare il fiume
che mi riporti al mare.
Il mio vicino
il torrente
non sa che io esisto
brama
salta
riempie canali
scoppia
anche lui cerca il fiume
dissolversi nel fiume
che mi riporti al mare
perché il mare ci aspetta
perché il mare è la culla
perché siamo il mare.

 
(da Voci)
 
 

Simbolo/metafora, il mare, più volte ripreso in Amore senza fine. Si legge ad esempio:

 
M’invase un’onda di sonno
mi svegliai sul ciglio
di un abisso
troverò ancora
il mio vecchio mondo?
Sono lì
non sono lì?
E il mare
e la ceiba?
Il mare è uno spettro
ma lo sento
anche io sono uno spettro
e sto per scomparire
 
(da L’abisso, in Amore senza fine)
 
 

Sempre nella sezione L’Abisso troviamo due versi che riportano al titolo dell’opera grazie all’epigrafe iniziale:

 
troverò il tuo mare?
Dev’essere azzurro?
 
(da L’abisso, in Amore senza fine)
 
 

Che fa riferimento, come detto, all’epigrafe che rimanda al poema del messicano José Gorostiza, Muerte sin fin (1939):

 
Certo che è azzurro! Dev’essere azzurro!
 
 

Interessante anche rileggere i testi sulla morte presenti in Voci.

 
La rosa
 
Non voglio staccarmi
dal gambo
uno a uno
cadono i miei petali
ma il profumo persiste
in quelli vivi
e io li sfido
sfido il profumo
a fuggire
a saturare l’aria
a volteggiare
a ungere il mio cadavere
mentre cado.
 
 
 
 
 
 
La mosca
 
Sono appena nata
e tutto è nuovo
e tutto si trasforma
in un istante
volo
sorvolo
annuso
pizzico
e prima che il giorno
diventi notte
mi assale un altro istante
le ali
diventano insensibili
e la morte
mi ghermisce.
 
 
 
 
 
 
Il granchio eremita
 
Arriva da lontano
la mia scrittura
è ancestrale
austera
mi invita a scolpire
sulla sabbia bagnata
obbedisco
mi infastidisco
e non capisco niente
e continuo a fare segni
e faccio un buco
e mi nascondo
e mi addormento
ma torna la voce
che mi comanda
questa voce che mi spinge
e che forse un giorno
mi condurrà all’origine.
 
(da Voci)
 
 

La presenza del termine origine in Voci appare emblematica se messa in relazione ad Amore senza fine, perché in quest’ultimo non viene mai citata, ma ampiamente richiamata.

 
cammino a balzi
riconosco il paesaggio
riconosco l’abisso
la stessa terra
degli albori
mi brucia i piedi
continuo a camminare
in rettilineo
ed ecco che sono
nello stesso posto
dove cominciai.
 
(da Il Ritorno, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
La mia avventura terrestre
non è tangibile
vorrei dimenticare
che esisto
che sono solo
uno strumento
di legno rozzo
e voce opaca.
A volte
mi conforta la tristezza
mi confortano gli echi
di mandrie di voci
che mai
ho sentito.
 
(da Le Parole, in Amore senza fine)
 
 

Un’avventura terreste che tende a un riposo e che, con la sua ben nota semplice complessità, Claribel Alegría richiamava già in Voci:

 
Insonnia
 
Non smette la mia mente
di ammucchiare rifiuti
che invadono me
la mia poesia
il mio universo
e non mi lasciano
prendere sonno.
Come fare
per estinguerli
per lavare la mente
e tornare alla pace?
Non ce la fa il pianto
né la preghiera
neppure tu.
È ora di emigrare
confondermi con la terra
e dissolvermi.
 
 

Ulteriori simboli/metafore ricorrenti che nell’opera Amore senza fine diventano veri e propri interlocutori sono la lupa, il serpente:

 
Non ho mai visto il suo volto
mai sentito il timbro della sua voce
né ho ascoltato il suo gemito
ho sentito quello di Cristo
io sono quel dio confuso
quella risata sardonica
che nel momento più inaspettato
mi scuote le ossa.
Anche tu lo sei
e l’uccello scuro
che canta in me
e il fiore
e il fiume
e il serpente.
 
(da La Soglia, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
Un cinghiale irsuto
si avvicinava
cercai un posto dove nascondermi
balla con lui
non temere
udii di nuovo la voce
del serpente
sulla soglia
non c’è morte per violenza
balla con lui
avviluppati.
 
(da L’Abisso, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
Una lupa si avvicina
non fuggirò da lei
non c’è violenza
su questa soglia
sentenziò il serpente
la lupa silenziosa
si ferma
mi osserva
capisco il suo linguaggio
il linguaggio nudo
 
(da Stella Indomita, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
Non mi posso liberare dalla noia
continuo a chiudere cerchi
ingoiando me stessa
come il serpente
inghiotte la sua coda.
 
(da Il Mandala, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
Il serpente
e la mia ombra
mi aspettavano
mi volevano cullare
mi volevano rivestire
e in coro cantano per me:
“Donna Ana non è qui
sarà forse giù in giardino
ad aprire la rosa
e chiudere il ciclamino.”
 
(da Il Ritorno, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
Una lupa si avvicina
non fuggirò da lei
non c’è violenza
su questa soglia
sentenziò il serpente
la lupa silenziosa
si ferma
mi osserva
capisco il suo linguaggio
il linguaggio nudo
che è di tutti
una visitatrice inattesa
che mostra le zanne
si schiarisce il mio specchio
riconosco gli occhi
il sorriso
gli occhi della lupa
mi provocano
un tremore diffuso
scuote il mio corpo
non si avvicina la lupa
né io mi avvicino a lei
chiuse il muso
cosa mi annuncia
cosa vuole?
mi guarda con amore
e si allontana trottando.
 
(da Stella Indomita, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
Mi prendeva in giro la lupa?
April is the cruellest month
Era forse beffardo il suo sguardo
e non di amore?
Sono sempre stata timorosa
profetizzo gli inganni
e i disastri
e nessuno mi crede.
Sono Cassandra
mi sono d’un tratto
fatta silenziosa
sono la lupa Cassandra
e non faccio che ululare
e mi stupisco del mondo
che ogni giorno peggiora.
 
(da Il Mandala, in Amore senza fine)
 
 

Per capire il complesso significato di tali ricorrenze si rimanda alla succitata prefazione di Martha Canfield dove, ad esempio in riferimento al simbolo/metafora della lupa, si legge:

 

A quel punto però – come avviene nelle svolte fondamentali dei viaggi eroici o iniziatici – compare una creatura salvifica. Già il serpente aveva chiarito che “su questa soglia / non c’è violenza”. Allora arriva la lupa e si ferma presso di lei. Donna e lupa si guardano, non si avvicinano, ma gli occhi dell’una creano “un tremore diffuso nel corpo dell’altra”. Donna e lupa. Il simbolismo del lupo, come molti altri, ha un duplice aspetto: l’uno feroce e satanico, l’altro benefico. Qui è chiaro che predomina il suo valore positivo, il quale aumenta quando il lupo è femmina. Sono stati studiati i rapporti tra donna e lupa e sono stati messi in evidenza molti aspetti caratteriali comuni, naturalmente considerando non la donna sottomissiva e schiacciata dalla preponderanza maschile di quasi tutte le società, bensì la donna forte, intraprendente, spesso definita “selvaggia”. Questa, come la lupa è piena di energia, capace di dare la vita, pronta a difendere il territorio e i cuccioli, è inventiva, leale ed errante. Così, non poche autrici latinoamericane si sono identificate con la lupa, da Alfonsina Storni, di cui è famoso il componimento intitolato proprio La loba (in La inquietud del rosal, 1916) a Carmen Boullosa, che si autoritrae in Loba comida (v. La delirios, 1998).

La lupa nel percorso di Claribel è un personaggio inaspettato, ma l’incontro fra le due si dimostra subito come positivo. La donna percepisce nei suoi occhi un abbozzo di sorriso e anche se il suo messaggio non viene trascritto letteralmente, si capisce che sta comunicando affetto e solidarietà. […] La lupa lascia il messaggio e se ne va. La lupa rivela alla donna la sua profonda identità. Allora, se la lupa è la sua gemella, forse i dubbi possono incominciare ad aprire strada a nuove certezze.

 

Sempre in relazione alle ricorrenze Claribel Alegría ne pone una, fondamentale, che più che ricorrenza si delinea come un refrain, una riproposizione che ha la capacità di mutare significato nonostante la ripetizione della formula. Fino a un ultimo esito dove il cambiamento di significato, l’apertura (emblematicamente a chiusura dell’opera), arriva a modificare il testo stesso. La strofa che si ripete e che muta in chiusa fa riferimento a una canzoncina di bambini che la traduttrice specifica essere tradotta con certa libertà:

 
Chi sei, Dio
chi sei?
È già da molti anni
che Darwin e Nietzsche
ti hanno ucciso.
Sei solo una forza
un manto di energia
che giorno dopo giorno
si va sfilacciando?
Cosa farò senza quel manto?
Dove andranno i suoi ritagli?
Il mio è trasparente
forato
potrei tenerlo nel pugno.
Dov’è quel coro
che ora inebria
il mio udito
quel coro che è greco
e che mi duole
la voce di Antigone gemendo:
non abito tra gli uomini
né abito tra i fantasmi.
 
“Andiamo all’orto
di montezzemolo
per veder donn’Anna
mangiare il prezzemolo.”

 
(da La Soglia, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
Torna
torna, amor mio
non importa se in sogno
aiutami con me stessa
addolcisci le mie carenze
prenditi gioco delle mie paure
le carezze del vento
mi annoiano già
ho bisogno delle tue
le tue parole.
Il mio mandala è ruvido
torto
ma tu ci sei dentro
sei il centro
senza di te la pioggia
è solo pianto
e il sole
un astro scialbo
di splendori tramontati.
 
“Andiamo all’orto
di montezzemolo
per veder donn’Anna
mangiare il prezzemolo.”

 
(da Stella Indomita, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
Entrambi siamo
viaggiatori
ho seminato nel nulla,
il canto
mi scappa via
sono Andromeda
nella roccia
l’anima e il corpo dolenti
il mio dolore è solitario
vanno e vengono
sagome
incubi
sagome.
Cosa cerco, amore
cosa cerco?
 
“Andiamo all’orto
di montezzemolo
per veder donn’Anna
mangiare il prezzemolo.”

 
(da Pegaso, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
Il serpente
e la mia ombra
mi aspettavano
mi volevano cullare
mi volevano rivestire
e in coro cantano per me:
“Donna Ana non è qui
sarà forse giù in giardino
ad aprire la rosa
e chiudere il ciclamino.”

 
(da Il ritorno, in Amore senza fine)
 
 

Un cambiamento, un’apertura che chiude l’opera ultra-testamentale di Claribel Alegría con quello stesso amore e quella nota ironica che sia in Voci sia in Amore senza fine percorrono versi e pagine. Se infatti in Voci leggevamo piccoli racconti poetici:

 
Tè Canasta
 

– Che ti succede Letty, mi sembri preoccupata – disse Elsa alla sua amica mentre giocavano a canasta sorseggiando del caffè.
– Non è una cosa da poco, cara – Letty alzò lo sguardo e scrutò le altre, una per una –, qualche giorno fa ho ingaggiato un killer perché sparasse a quella sciacquetta che va in giro con mio marito e il deficiente si è sbagliato e ha fatto fuori sua sorella.
– Che cosa orribile – disse Elenita senza alzare lo sguardo dalle carte.
– Voi che dite – Letty fece una pausa –, lo pago o no?

 
 

In Amore senza fine leggiamo alcuni inserti, come la già citata canzoncina, particolarmente emblematici:
 
Sono governata dalle passioni
non ragiono
la ragione
mi confonde
e canto
e canto
qual è il tuo nome?
Trullallero trullallà.
 
(da Il Mandala, in Amore senza fine)
 
 
 
 
 
 
Accendo di nuovo la mia lampada
illumino le grotte
che serbano il mio mandala
il mio mandala è una sfida
un rifugio
non lo capisco
un rompicapo
infinito
tutta la mia vita lì
tutto il mio io
le grotte custodiscono i sogni
che irrompono
nei miei sogni
mi sento il personaggio
di un racconto impersonale
che cerca
e cerca
e non trova mai niente
nemmeno
il suo nome
Trullallero trullallà.
 
Mi prendeva in giro la lupa?
April is the cruellest month
Era forse beffardo il suo sguardo
e non di amore?
 
(da Il Mandala, in Amore senza fine)
 
 

Quasi a dire, in perfetta assonanza con la chiusa, che per raggiungere la conoscenza di sé utile ad affrontare la morte o la nuova vita bisogna riacquisire l’innocenza e la purezza di un bambino, senza per questo rinunciare alla consapevolezza dell’adulto. E che forse la visione “del bambino” completa, evolve, la visione dell’adulto.

Il tutto anche per cogliere la difficile bellezza del mondo che la parola, la poesia, riesce a esprimere. Nonostante tutto. E in questo estremamente emblematici appaiono due estratti dai libri fino ad ora presi in considerazione appunto riferiti alla parola:

 
Poesia

A Juan Ramón

Inconfondibile è la voce
che mi insegue
che non si scolla da me
che tesse insonnie.
Come la pioggia
cade
come il vento
solo questa voce ascolto
mi possiede
lascia cadere avanzi di pane
e fugge via.
 
(da Voci)
 
 
 
 
 
 
La loro bellezza accesa
mi affligge
parole in altre lingue
che non capisco
le cullo
le assaporo
parole che inventai
o che inventarono altri.
Beviamo tu ed io
alle parole
alle parole volanti
che hanno raggiunto anche te
attraverso gli alberi neri
che affilano
la mia angoscia.
Beviamo per il canto
che diventa fiamma
beviamo per la fiamma
e l’incendio.
 
(da Parole, in Amore senza fine)
 
 

Chiudo questa piccola opinione sui due libri editi in Italia di Claribel Alegria, sicuramente incompleta e non esaustiva della complessità di un’autrice così importante, con i due testamenti presenti nei libri. Due saluti, diversi, al termine delle opere. Uno ai propri cari che, dai figli, si estende a tutti gli uomini. Uno a sé stessa ma nella prospettiva di una poesia che è riuscita a far diventare il sé un riflesso di tutti. Perché, con la parola, Claribel Alegria è riuscita a uscire dai confini (oggi così pressanti) del singolo essere umano e diventare altro, diventare altri. Nel verso Claribel Alegria non era più Claribel Alegria ma la voce dell’essere umano in quanto tale, con tutte le sue paure, speranze, preoccupazioni, bellezze.

Alessandro Canzian

 
 
 
 
Testamento

Ai miei figli

Vi lascio una scala
traballante
incompiuta
con qualche scalino rotto
alcuni marci
e più di uno
intero.
Riparatela
mettetela in piedi
saliteci sopra
salite
fino a toccare la luce.
 
(da Voci)
 
 
 
 
 
 
Il Ritorno
 
Lenta è l’aria che mi avvolge
rovente la polvere
il viaggio è stato lungo
è un viaggio senza fine
spesso inciampo
mi rialzo
cado
di nuovo mi rialzo
e cado ancora
non so
cammino a balzi
riconosco il paesaggio
riconosco l’abisso
la stessa terra
degli albori
mi brucia i piedi
continuo a camminare
in rettilineo
ed ecco che sono
nello stesso posto
dove cominciai.
 
Mi bruciano i piedi
mi bruciano
scorgo il tempo
con la sua torcia
anche lui mi scorge
alza il braccio e dice:
hai in tasca
una meteora?
Balbetto
tremo
il distacco cerco
il distacco.
 
È difficile la tua meta
mi risponde
bisogna iniziare da te
sei l’ostacolo principale
spogliarti
delle paure
e dei dubbi
dell’assurdo desiderio
di fare sempre qualcosa
e di quell’amore senza fine
che tu
non vuoi mollare.
 
Il serpente
e la mia ombra
mi aspettavano
mi volevano cullare
mi volevano rivestire
e in coro cantano per me:
“Donna Ana non è qui
sarà forse giù in giardino
ad aprire la rosa
e chiudere il ciclamino.”
 
(da Amore senza fine)