Lei non mi ha lasciato, l’amore se l’è presa – Federico Rossignoli

Bozza automatica 2836

 
 
Menelao
 
Lei non mi ha lasciato:
l’amore se l’è presa,
l’ha condotta via, schiava,
e la tiene in sposa
dietro a mura di corpi
vigorosi e bronzo,
le porte splendenti ben serrate.
Le mura si abbattono,
i corpi si svuotano,
si può far tutto questo
restando amorosi?
Io credo di si: intanto
uccido.
 
 
 
 
 
 
Elena
 
Mi lasciai trovare nuda
perché il sangue non sporcasse
i vestiti e rimanesse
dietro a me qualcosa di pulito,
testimone che la luce
non potevo rifiutare.
Qui, tra i seni, c’era il solco
per la spada, per piantarla.
Sciocco, debole maschiume!
La mia nudità divenne torre
indurita dagli scudi –
furono da allora queste altezze
le segrete dove mi rinchiusi.
 
 
 
 
 
 
Lanciatrice di giavellotto
 
Non c’è democrazia nel tuo
corpo, c’è la tirannide.
Per grazia divina ingrossa
i muscoli, impone balzelli
sul posto, eppure la linea
che ti compone non si scompone.
Corri sempre più veloce
e nel massimo splendore
lasci il posto al giavellotto
affinato dalla foga.
Vada pure: a te spetta
il respiro in piedi, il braccio
strappato retto dall’altro
come dopo la bora potente.
 
(Federico Rossignoli, Spolia, vol. II, Samuele Editore, 2017)
 
 

In questi testi di Federico Rossignoli si assiste a una rielaborazione del mito in chiave contemporanea: non si tratta di un mero esercizio di stile, ma sostanzialmente di uno strumento simbolico, di un’occasione (anche) narrativa per definire allo stesso tempo sia un punto di contatto con una specifica tradizione figurativa e rappresentativa, sia per nominare ed affrontare tematiche che restano attuali e universali attraverso e nonostante lo strumento del mito. Si assiste difatti a un contatto sostanzialmente contenutistico e tematico, più che formale o stilistico; il registro utilizzato, anzi, sostiene una propria vivacità spontanea e diretta, restituendo un testo che suona attuale, lucido, immediato.

Nel primo, ad esempio, la storia di Menelao diventa il pretesto per parlare dei sentimenti, e di come la fine dei rapporti porti inevitabilmente a dissidi, conflitti, sofferenza: “Lei non mi ha lasciato: / l’amore se l’è presa”, ed è questa ad esempio un’occasione per ricollegarsi alla tradizione classica, in cui l’amore diventa una personificazione divina di un principio astratto, in grado di compiere azioni che gli uomini non possono che subire (“l’ha condotta via, schiava, / e la tiene in sposa”). Gli episodi sanguinosi della guerra di Troia vengono richiamati con un’ironia mordente, nella domanda posta a sé stesso dal protagonista e allo stesso tempo al lettore: “si può far tutto questo / restando amorosi? / Io credo di sì: intanto / uccido.”, rievocando contestualmente un altro binomio che dalla tradizione classica si è trasfuso a quella letteraria e non solo italiana, quello di amore e morte.

Spolia II - Federico Rossignoli

Il secondo testo, specularmente, offre il ritratto di Elena che, sempre in prima persona, mostra la donna che ha subito il rapimento di amore, arresa al proprio destino, nel bene e nel male, che si lascia “trovare nuda / perché il sangue non sporcasse / i vestiti e rimanesse / dietro a me qualcosa di pulito”, con “tra i seni … il solco” per piantare la spada: anche questa postura di piena sottomissione alla sorte prescritta, al capriccio del dio che piega i mortali, è un collegamento diretto al pensiero classico. Vi è però poi un attacco agli uomini (“debole maschiume!”), che ci mostra una figura femminile che, quasi deridendo ciò che, per causa sua, ha portato a una guerra sanguinaria, si rinchiude nella prigione della sua nudità, “torre / indurita dagli scudi”, la stessa a cui si riconsegna in punto di morte.

La conferma dell’omaggio alla tradizione classica, e in particolare greca, in senso ampio e non solo relativo al mito, ma che si interseca anche alla cultura quotidiana, popolare, intima di una stagione dell’uomo, è nel terzo testo, un epinicio, richiamo diretto ai componimenti di Simonide, Bacchilide e Pindaro, testo in cui si celebra una vittoria sportiva; e allo stesso modo, Rossignoli omaggia una “lanciatrice di giavellotto”, lodandone le virtù fisiche e le abilità atletiche, attraverso immagini che richiamano “grazia divina”, “massimo splendore” e un “giavellotto / affinato dalla foga”, dimostrando che il collegamento con la tradizione, anche quella più antica, deve passare necessariamente attraverso la vita attuale e concreta e ad essa rivolgersi, per non perdere quei connotati di universalità e di immediatezza icastica che l’hanno contraddistinta.

Mario Famularo