Le prime volte non c’era stanchezza – Luigi Finucci

Le cose che il bambino ama / rimangono nel regno del cuore / fino alla vecchiaia. / La cosa più bella della vita / è che la nostra anima / rimanga ad aleggiare / nei luoghi dove una volta / giocavamo. (Khalil Gibran)

Mi sembra opportuno introdurre questo breve intervento con i versi del poeta libanese per offrire una chiave interpretativa al libro di Luigi Finucci Le prime volte non c’era stanchezza (Eretica Edizioni, 2016).

Molteplici gli indizi che sembrano confermare questa suggestione: la dedica al figlio in primis, l’introduzione di Alessandra Piccoli che parla di un tono delicato, sottovoce, dove il poeta è bambino e i suoi giochi sono innocenti, ma anche le sue precedenti esperienze editoriali come L’Aspirante Astronauta (Giaconi Editore, 2015), un libro illustrato di poesie per bambini.

Il punto di vista innocente e privo di sovrastrutture logiche e culturali dei bambini sembrerebbe un traguardo privilegiato, date tali premesse, e la sensazione che persiste, dopo aver letto e riletto l’ultima pubblicazione di Finucci, è proprio quella di un tentativo di tornare a tale originario punto di osservazione, ovvero quello del bambino.

Le ragioni di tale scelta potrebbero rinvenirsi nel desiderio di esprimere la forza di un’innocenza perduta contro la corruzione dell’uomo contemporaneo, che lo ha portato a uno smarrimento ideologico ed esistenziale. Crisi che il novecento letterario, e poetico in particolare, ha denunciato da diverse angolazioni.

In che modo il Finucci realizza tale proposito? Il linguaggio e le immagini utilizzate si mantengono costantemente ad un livello di immediata percezione, senza particolari astrazioni o ardue involuzioni del dettato poetico: Le strade finiscono / sempre dove nasce / un albero, / dove le ombre / diventano pane e marmellata […] disegnai una casa ed un letto […] C’è un porto / nella casa dei ritorni, / è sempre gentile […] il campo arato e / la poesia del grano / giocavano a nascondino […] C’è una scala / tra le mura / dove il bambino / ricorda il suo gioco / più prezioso […] Farfalla diventa l’aria / e i bambini si rincorrono / senza meta, / rincorrono la gioia.

Alla regressione bambina del dettato nelle poesie di Finucci riaffiora talvolta un’amara consapevolezza esistenziale: il rincorrersi delle ore, il disgregarsi dei ricordi, dei quali alcuni sopravvivono e alcuni si perdono: l’orologio bussa […] Si può ascoltare ciò / che il tempo ha perso sulla strada? […] … il confine tra / la spiaggia e le battaglie / era il tempo […] ne cancellano il ricordo / così da proteggere / i loro figli […] – Gli occhi grandi! Gli occhi grandi! – / non si dimenticano, tutto il resto è finito […] È il mentre / che dà l’idea / dell’età che avanza […] Piccolo bambino / scomparso nel passato […] ma non ricordo quel mattino.

Le poesie emblematiche che incarnano quanto appena esposto sono: Il pescheto, dove appare l’idea di Finucci di contrastare la moderna perdita di senso con l’originaria innocenza del bambino; le lacrime vere del fanciullo / danno vita agli spiriti dei / petali rosa … La vita è tornata, / l’innocenza di quelle lacrime / accende i colori / a quel mondo vuoto / portando attesa / nel cuore degli uomini e Raggio di sole nella pioggia, dove è raffigurata la dinamica della perdita dell’innocenza e dello spirito infantile, e il suo valore salvifico, attraverso l’immagine di una favola raccontata da una donna; Una donna racconta / una storia dei demoni … un bambino ascolta le sue / parole / e l’incoscienza lo spinge / nel mezzo del bosco, tra le / volpi. / Lui chiede perdono / i suoi occhi sono innocenti / hanno visto il male. Da evidenziare anche Stavano sul fiume per la particolare immagine di una barca vista assieme a un amico che l’ha disegnata due volte / – una per me, una per un bambino –.

È evidente sia l’associazione del poeta all’immagine del bambino sia la distinzione tra i due linguaggi, che sono separati e netti. Il disegno deve essere fatto due volte, con due destinatari diversi.

Lo stesso punto prospettico, ovvero quello di un’innocenza che, più che originaria, appare come un punto di arrivo dopo un lavoro di erosione dal male del tempo e della realtà, viene rappresentata ad osservare la natura circostante, il tempo che scorre, tra una lucida ragione che costringe ad affrontare memorie così lontane / che offuscano il cammino / portando alla pazzia, vedendo negli uccelli un volo mancato, e clochard, beduini, squarci di Marocco e di Etiopia, riflessioni sull’amore (tra il tempo che consuma tutto, ma non il sentimento, modellato dalle esperienze, fermo mentre / tutto scorre / come il sasso nel fiume).

Non mancano considerazioni sul senso di una ricerca differente, spinta dalla ragione di quell’uomo adulto raffigurato nell’immagine dei navigatori in Paradisi: cos’è che cercavate? / Non bastavano i paradisi, / voi cercavate qualcosa / che non esiste. L’ossessione del ricordo e della ragione, della ricerca di un senso, è dunque essa stessa priva di senso finendo per diventare un vincolo e una prigione, imbrigliando l’uomo in problematiche e cortocircuiti cerebrali che l’innocenza di un bambino nemmeno potrebbe concepire. Ed è questo a renderlo libero.

In quest’ottica leggerei anche il titolo della raccolta: le prime volte, quando l’esperienza era incontaminata, non c’era stanchezza, quella data dai mulinelli del pensiero, citando Pasquale Di Palmo.

E la chiusura del libro, in qualche modo, sembra confermarlo: Ecco cosa sognavo, / i miei occhi erano innocenti … eravamo in tanti / a toccarci l’anima / con le mani piccole … Il nostro mondo era breve, / infinito per i nostri occhi. / Il nostro mondo era libero / come un sogno / di cui non ricordo la fine, in un sogno dove gli uomini, tornati a vivere il mondo con occhi da bambino, riscoprono una vicinanza umana innocente, autentica, e con essa la possibilità di vivere il mondo in libertà, in uno slancio di positiva humanitas.

Eppure Finucci scrive di un sogno, certo in grado di orientare il presente e il futuro, ma pur sempre ombra di un qualcosa di perduto, trasfigurato nella dimensione dell’idealità, da ricordare con una serena, ma pungente, nostalgia.

 

Mario Famularo