La strada continua e non voglio vedere – variazioni

 
 

Un grandissimo successo l’esercizio di questa settimana con 18 autori che hanno svolto 31 variazioni nei 7 giorni canonici di laboratorio. La cosa interessante è stata la deriva, a un certo punto, verso la forma haiku apparentemente molto lontana dall’originale ripresa 4 volte da 3 autori, e le traduzioni in diversi dialetti (oltre a una traduzione in spagnolo): veneto, friulano pordenonese, friulano carnico.

Il testo è di Stefano Simoncelli ed è edito in Residence Cielo (Italic Pequod 2018) oggi in presentazione a Trieste a Una scontrosa grazia.

Stefano fu amico di Ferruccio Benzoni, poeta fra i più alti del secondo Novecento e fondò con Benzoni e Walter Valeri la rivista “Sul porto”.

 

Il testo originale, a seguire le variazioni:

 
 
La strada continua e non voglio vedere
dove finisce, se su un ponte di legno
o una palude. Intanto si alternano
 
le curve a strapiombo, i dossi, i rettilinei
dove mi volto indietro a guardare gli alberi
che si rincorrono sparendo, le buche da saltare
 
imprecando e questa notte che lei è venuta a trovarmi
con il rumore silenzioso della neve su altra neve
che cancellava le piazze, marciapiedi e sassi
 
portandosela via. «Se esci copriti bene»
le avevo telefonato un minuto prima
«mettiti sciarpa e capello. Fa freddo»
 
ma non pensavo mai un freddo così.
 
 
Stefano Simoncelli
 
 
 
 

VARIAZIONI

 
 

Maria Milena Priviero

 
 
No se vol proprio saver tut quant
Dove ch’el ne porta el vent, dove ch’el
ne mola a ciapar fia’
Su la riva roversa de un fiume
in seca a spetar che la piova lo impinisa
a pensar a cosa che ne gera
capita’ prima, par esser rivai
cussi’ strachi a mexa via -se spera-
E po’ trovar un pont par l’altra
riva.
Ma qua no ga camp el telefono.
Scrufai ne l’aqua che manca,
l’ultimo “sasso” se lo tira lo “stesso”.
 
 

Non si vuole sapere davvero tutto quanto/ Dove ci porta il vento, dove ci lascia a prendere fiato.
Sulla riva sbagliata di un fiume in secca /ad aspettare che la.pioggia lo riempia./ A pensare a cosa ci fosse successo prima/, per essere arrivati cosi’ stanchi e a mezza strada – si spera- / E poi trovare un ponte per l’altra riva. / Ma qua non ha campo il telefono. / Piegati nell’acqua che manca, / l’ultimo sasso lo si tira lo stesso.
(dal friulano, zona pordenonese)

 
 
 
 
 
 

Francesco Sassetto

 
 
E se va ogni giorno par cale stréte e imbusàe,
cantòni sconti, ponti storti, se va drìo de l’aqua
che core i canali, la gira in tondo e po’ la sparìsse.
 
Se va sensa vardarse indrìo, se sbrìssa su pière
vecie e sbecàe, co le siòle consumàe, soto
’sta scravassàda che no finisse, ti me ga ciamà
 
’sta note, ti me ga dito de star ben covèrto e che
desso ti rivi e ’sta piòva xe sempre più forte
e mi in mezo a un campo sgiònfo de aqua ingelàda
 
stàgo qua stréto a l’ombréla granda. E te spèto.
 
 

E si va ogni giorno per calli strette e nascoste, / angoli oscuri, ponti storti, si va seguendo l’acqua / che corre i canali, gira in tondo e poi sparisce. // Si va senza voltarsi indietro, si scivola su pietre / vecchie e scheggiate, con le suole consumate, sotto / questo temporale che non cessa; mi hai telefonato // stanotte, mi hai detto di coprirmi bene e che / adesso saresti arrivata e questa pioggia è sempre più forte / ed io in mezzo ad un campo gonfio d’acqua gelata / rimango qua stretto all’ombrello grande. E aspetto te. (dal veneto)

 
 
 
 
 
 
La strada va vanti, la va drita e queta
o la tira in salìta, se storze, la gira
in tondo fra tèra batùa e strapiombi
 
no vardo indrìo, no vardo le buse par téra,
no importa se se fa ponte o palùdo,
stanote ti xe vegnùa e fòra cascàva
 
na piòva ingelàda, le cale, i campi de giasso,
“covérsite ben” – te go dito co ti ga ciamà –
“fora xe da bàtar bròche”.
 
Ma dopo el frédo più fondo lo gavévo mi.
 
 

La strada prosegue, va diritta e piana/ o va in salita, si torce, gira / in tondo fra terra battuta e strapiombi // non guardo indietro, non guardo le buche per terra, / non importa se si fa ponte o palude, / questa notte sei venuta e fuori cadeva // una pioggia gelida, le calli, i campi di ghiaccio, / “copriti bene” – ti ho detto quando hai chiamato” – / “fuori fa un freddo intenso (da battere i denti)”. // Ma poi il freddo più fondo l’avevo io. (dal veneto)

 
 
 
 
 
 
Sei venuta da me questa notte e faceva freddo
“copriti bene, c’è ghiaccio sulle strade”,
ti avevo detto.
 
Hai detto qualcosa – non so – col cappotto ancora
addosso, dovevi andare da qualche altra parte.
Nel silenzio il freddo si faceva più forte.
 
 
 
 
 
 

Vincenzo Tschinke

 
 
Strada facendo non vedesti dove
Finisse ponte o palude curvando
Sui rettilinei si andava sbandando
Guardavi gli alberi sparire altrove
 
Una volta a casa verso le nove
Cade pure la neve cancellando
Qualunque senso che noi ragionando
Useremmo come motivi o prove
 
Non c’è da preoccuparsi più nessuno
Viene a trovarti con codesto tempo
Da lupi non c’è sciarpa né cappello
 
Che tengano quando senti il cancello
Che stride è solo il vento nottetempo
Starsene a letto è molto più opportuno
 
 
 
 
 
 

Monica Messa

 
 
Giro
il cucchiaino
nella tazza di caffè.
Tutto questo nero
che si avvolge attorno
mi riporta a te,
a quella notte
che sei venuta a trovarmi,
al silenzio di neve su neve
rotto soltanto
dallo schianto di lamiere.
 
«Copriti bene»
ti ho telefonato un minuto prima
l’ultima volta che ho sentito la tua voce.
Che modo sciocco di dirsi addio!
 
 
 
 
 
 
Quasi un haiku
 
Neve su neve
cancella ogni cosa
e porta via tutto.
 
 
 
 
 
 
Il sole si fa beffa di noi.
Bianco ora illumina la neve
ma tu non puoi vederlo,
tu non sei con me.
Lo stesso sole
che fa biancheggiare i nostri prati.
Una lacrima cade sul tavolo,
come sulla neve il tuo destino.
 
 
 
 
 
 

Adriano Gasperi

 
 
Viaggio complicato da natura matrigna e umana incuria,
questo mio andare senza meta certa, nè sicuro approdo a
incontrarla per l’ultima volta.
Notte ghiacciata dallo spettro di lei distesa sul giaciglio di alluminio
assente da un mondo ormai troppo lontano.
 
 
 
 
 
 

Paolo Parrini

 
 
Mi resta la sua voce,
per poco temo
perché le curve e i dossi
divoreranno il suono,
le buche da saltare
feriranno gli occhi
e la neve sarà sudario
a coprire l’odore, il respiro.
Ogni sera che verrà
avrà il colore della tua voce,
nel freddo senza tempo
annegherò le mie parole.
 
 
 
 
 
 

Loretta Tartufoli

 
 
Rumoroso silenzio diffonde
la neve che cade e cancella
ogni cosa che trova, immobile,
le piazze, i marciapiedi
le strade. E quella con
le curve a strapiombo che lei
percorreva per venirmi a trovare, e dove
s’è persa in una gelida notte che
mai avrei pensato tale.
 
 
 
 
 
 
Lunga e diritta corre la strada
poi ecco una curva, un dosso
a strapiombo. Cosa c’è in fondo
non voglio vederlo, non voglio
sapere il rumore di neve – impresse
impronte d’improvvisa frenata –
ancora stridono nel freddo della notte.
 
 
 
 
 
 
Non l’ho voluta vedere
la fine della strada che
percorrevi per venire da me.
La neve ha steso il lenzuolo
su impronte di pneumatici
su relitti accartocciati e
il cielo – con me – ha pianto
in questo freddo che
si fa di ghiaccio.
 
 
 
 
 
 

Rocio Bolanos

 
 
El camino continúa y no quiero ver
dónde termina, si en un puente de madera
o un pantano. Mientras tanto se alternan
 
las curvas a la orilla, los túmulos, las rectas.
donde me volteo para mirar los árboles.
que se corretean desapareciendo, los baches de esquivar
 
maldiciendo y esta noche que ella vino a verme
con el ruido silencioso de la nieve sobre otra nieve
que borraba las plazas, aceras y piedras
 
llevándosela. «Si sales cúbrete bien»
la había llamado un minuto antes.
«ponte la bufanda y el gorro. Hace frío»
 
pero jamás pensé un frío así.
 
 
 
 
 
 

Matteo Piergigli

 
 
Curve a strapiombo dossi
rettilinei alberi rincorrono.
La neve resiste, cancella
strade e marciapiedi. Aspetto.
Il silenzio mi guarda coltivare l’inverno.
 
 
 
 
 
 
La strada le curve
a strapiombo su un ponte
di legno i dossi gli alberi rotti. Impreca la neve
cancella la notte portandola via.
Preghiera di carne di sogno svanito fa freddo
una sciarpa non basta.
 
 
 
 
 
 
Rincorro alberi
Rettilinee curve
la neve copre
 
 
 
 
 
 
“se esci copriti bene”
“fa freddo”
certe cose finiscono
la notte a chiedere perché
è un franare
senza soluzione di continuità
 
 
 
 
 
 

Vernalda Di Tanna

 
 
Ti avevo telefonato un minuto prima.
«Se esci copriti bene» – fra le curve
continua la strada e non voglio vedere
dove finisce, su un ponte di legno o altrove –
«mettiti sciarpa e cappello», la notte
è un marciapiede senza fine, una roccia
che preme sul respiro, ora che sei venuta
a trovarmi, ti cancellano gli alberi.
Te l’avevo detto «Fa freddo», ma
mai avrei pensato ad un freddo così:
palude di neve che viene a soffiarti
gli occhi come un vetro.
 
 
 
 
 
 
Linee cadute –
Ti cancellano alberi
curve innevate
 
 
 
 
 
 
Linee cadute –
Ti cancellano alberi
curve innevate
 
Una scheggia soffiata
negli occhi come un vetro
 
 
 
 
 
 
Nel segno breve che si finge
lineare, le curve cancellate
e una palude che ristagna
e imbianca
 
silenzio. Cade la linea
telefonica e si arresta
tra gli alberi il vento.
Resta solo il freddo.
 
 
 
 
 
 

Teresa Murgida

 
 
Chiudevano gli occhi
sassi e piazze
sotto la neve
di quella sera.
Sulla strada dritta
venivi a trovarmi
cantando silenziosa
contro i tigli nudi.
 
 
 
 
 
 

Anna Leone

 
 
Così rimango avviluppata a questo ricordo, dove premura e consiglio
non bastarono a scaldarti gli inverni.
 
Mai come oggi ascolto la tua distanza
e piove, piove a lungo, dentro questa mia parentesi di vita.
 
Tu lo sai: vado di ponte in ponte resistendo,
ma più spesso mi impaludo appena oltre la soglia dove ti aspetta.
 
 
 
 
 
 

Toni Piccini

 
 
Continuo volendo ignorare
se ponte o palude la fine
della strada dopo sequenze
di montagne russe senza biglietto
fra linee d’asfalto con eco di buche
e questa notte in cui lei mi ha bussato
con suono di neve su neve a magia
di sparizione dei selciati
 
poco fa l’invitarla ancora
a proteggersi dal freddo
ancora e poi mai più
poi freddo sconosciuto
e addosso senza fine
 
 
 
 
 
 

Mario Famularo

 
 
andare senza tregua tra i filari dei
sentieri più incostanti che
svaniscono con gli alberi, le curve
gli accidenti del cammino
 
la neve su ogni cosa che ricorda
quel suo volto già confuso tra
le piazze, cancellate senza
fine
 
copriti diceva che il freddo non
perdona

 
un gelo come questo non
lo si può fermare
 
 
 
 
 
 
la carezza del tuo volto la premura
tra le pieghe soffocanti delle strade accidentate e
la furia più spietata dell’inverno
 
 
 
 
 
 

Gianni Moroldo

 
 
S’indure la strade e jo no vûl viodi gran
dulà che e mûr, se sore un puint di len
o un agaçâl. Intratant s’intiercin
lis curvis sore il vueit e curumbulis e dreturis
indulà che mi volti indaûr a voglonâ i arbui,
che si scorsènin sfantantsi, lis busis di saltâ
tirant un folc e cheste gnot che jê e je vignude a
cjatâmi
cul businâ sordin de nêf sore altre
nêf
che e plate vie lis placis, i marcjepîts e i clas
puartantse vie…”Se tu jessis cuvièrziti ben”
i vevi telefonât dome un minût denant.
“pàriti cun siarpe e cjapiel. Al fâs frêt”
ma no pensavi mai un frêt di chê sorte.
 
 

Si prolunga la strada e non voglio affatto vedere/ dove muore, se sopra un ponte di legno /o un’acqua stagnante. Nel frattempo s’avvicendano/ le curve sul vuoto e ammaccature e accortezze/dove mi volto indietro a considerare gli alberi,/che rovinano scomparendo, le buche da saltare/tirando accidenti e questa oscurità in cui lei è venuta a/ trovarmi/ col grido sordo della neve sopra altra/ neve/ che annullava le piazze, i marciapiedi e i sassi/ portandola via con sé…/”Se esci ricopriti bene/le avevo telefonato solo un attimo prima./”proteggiti con sciarpa e cappello. Fa freddo”/ ma non.pensavo mai a un freddo di tal destino. (dal friulano carnico)

 
 
 
 
 
 

Fausto Maiorana

 
 
Grigio giorno di nebbia,
fatico a vedere la linea continua
si alternano i ponti
le pareti scoscese della camionabile,
 
fanno paura le buche
le salto alzando la ruota,
i rami dei pini sono carichi di umidità,
 
sgocciolano anime,
il grigio scompare nella sera per
fare posto al fascio di luce,
del faro, dritto, avanti a me,
 
il gelo mi sta penetrando,
comincio a sentirne le conseguenze,
anche il pensiero latita,
 
la maglia della mamma
non servemi servirebbe
un abbraccio
un bacio
 
 
 
 
 
 

Elisa Bernardinis

 
 
Io non lo so
dove comincia
la curva della parola
 
Il cielo si tuffa in una pozza di vetro
 
Vado, in questo silenzio di neve
che imbianca i pensieri, la gente
le strade e, anche se non la vedo,
so che è ancora al solito posto
la vecchia palude. Posso sentirne
 
il ribollire
sotto il biancore sfavillante
nel freddo
che pare mondare tutto
che pare possa perfino salvare l’agnello
 
– Stringo il cappotto –
 
«Ciao. Scusa, stasera non posso»
 
 
 
 
 
 

Massimiliano Chiti

 
 
Gli occhi non seguono la via
non importa se ci sia un ponte di legno
o una strada fangosa verso il domani
guardando gli alberi, voltandomi
che si rincorrono sparendo
scozzando dossi, rettilinei, buche
fra le curve in equilibrio con lo strapiombo
sei giunta di notte
col rumore della silenziosa neve
che fa famiglia con altra neve
e scolpisce le linee mute
di strade, piazze, sassi
le abbraccia,
nel tuo allontanarti
in questo freddo che c’ho nel cuore.