La gioia – Valentino Fossati


 

Recensione in versi di Luigi D’Alessio a una poesia di Valentino Fossati tratta da La gioia (Ladolfi 2014)

 
 
I tempi si somigliano
e Valentino Fossati
ci fa somigliare il tempo.
 
                              Non ho scritto al tempo.
 
Testi che a fine pagina
dici                  Che bella chiusa!
E invece no. Giri pagina
e il testo continua per l’ingiungere
di Geppe, Deborah, Zaira.
Angelo. La narrazione termina
con Angelo chiedere a Geppe compagnia.
 
                              E tu non sai se sia Angelo o l’Angelo.
 
E non lo sai e tu non sai del sole
che muore nel sax del buio
in una via Zamboni, sì
quella Bologna svanita
nelle nebbie delle ore 10 e 25
dove a pagina 58 d’improvviso
tu piccolo lettore sussulti
insieme al dolore di un
                              Addio, Luigi.
 
                                              Eppure.
 
Sere esatte. In cui l’estate
è esatta. Il sud un esatto
mormorio di lucciole,
dalla percezione del buio luminoso
che repentinamente è buio acre
nella letterarietà che Valentino lascia a noi,
prima di colare lungo la schiena del poeta.
 
Solo gli inverni, troppo amati troppo intimi,
dalla scrittura sono restituiti all’autore
per troppa appartenenza alla poesia.
In cui il coraggio è l’impudicizia
di chiamare tenerezza la tenerezza.
Dolcezza la dolcezza. O una mano luminaria
sulla ferita della città. Quelle città interiori.
Ah quella città in noi. Con la stazione,
i bus, le fermate e tanti Hopper
che si muovono nella loro durevole
staticità.                  Diomio!                  quelle città
che soffrono l’uomo. La donna. In cui
pure se c’è Cattolica, pure se Rimini,
la terrazza dei tigli, pure se c’è il tuo giardino
sai che nella poesia seguente
potrà potrebbe venire a piovere. E lì.
 
Dove tutto è cristallino e gli anni sono epoca
capisci appunto che un 1989, una 128 Fiat,
quel Mario mai invecchiato perché
morto di una pera mal tagliata, lì
Valentino Fossati insegna che tutto è dote.
La memoria. Una dote per il tempo malato
di oggi. In cui come il lui -vissuto
nel cuore del poeta- che si svestiva in modo freddo
noi ci vestiamo di abiti lasciati sul marmo.
 
                                                Il libro che ho tra le mani.
 
Leggevo una poesia colpito dal suo incipit.
Come passò la stagione.
Non è un libro di nostalgia. Ma Valentino
indica la nostalgia: il valore di differenziare il tempo.
Dare referenza a un tempo che non è,
quando il tempo che è
non corrisponde al nostro essere.
 
Ho aperto La Gioia.          A caso.           Una poesia.
Come passò la stagione.
Questo verso. Ognuno ha il proprio
Come passò la stagione,
e ecco che non intendevo scrivere
su Valentino Fossati. Per mia incapacità.
Per timore.
 
                                E come potrei
                                dopo la prefazione di Gianfranco Lauretano!
 
Ma la scrittura è sempre e sempre
autonoma da noi.
Volevo scrivere semplicemente
 
                                            Che bella questa poesia!
 
Andarmene…
Come a un improvviso tè con Proust.
 
Come passò la stagione,
quando lasciavi
con i ritratti dei santi la piazza
verso il treno dell’alba
                              (prima del ghiaccio)
così passava la tua ombra
al primo incrocio.
 
                                              Riconobbi -era tempo-
 
ogni parete che ti vide compagna
o che amica
ti fu sull’altra strada,
in altre stanze
mentre il sole                     -fischia-
attraversava i rampicanti, le grondaie
verso il prato
                                              -oltre i tendoni del ballo-
 
fino a noi         -la svolta-
 
al ritirarsi dell’inverno…