I simboli e l’allegoria (esercizio)

I simboli e l’allegoria (esercizio)

Un elaborato strumento espressivo, dopo aver padroneggiato le analogie, le metafore, ecc., consiste nel comprendere come caricare di valore simbolico un particolare lemma, concetto o immagine, e come disporre tali simboli in una articolata allegoria, che si sviluppi per l’intero componimento, o, in ogni caso, per una consistente frazione dello stesso.

Come definire un “simbolo” o una “allegoria”?

L’esempio più diffuso, e scolastico, è quello della Commedia, e delle tre fiere nella selva oscura.

È abbastanza chiaro: la selva, le singole fiere, simboleggiano ognuna uno specifico concetto astratto (la superbia – il leone, l’avidità e la cupidigia – la lupa, la lussuria – la lonza, lo smarrimento, il dubbio e la ricerca – la selva oscura) e tutti gli elementi, composti in un’unica immagine, danno luogo all’allegoria.

L’allegoria è una figura retorica, per la quale si affida a una scrittura (o in genere a un contesto, anche orale) un senso riposto e allusivo, diverso da quello che è il contenuto logico delle parole. Diversamente dalla metafora, la quale consiste in una parola, o tutt’al più in una frase, trasferita dal concetto a cui solitamente e propriamente si applica ad altro che abbia qualche somiglianza col primo, l’allegoria è il racconto di una azione che deve essere interpretata diversamente dal suo significato apparente.

 

Traccia:

 

TEMA = libero.

 

METRO = libero.

 

SCHEMA = libero.

 

REQUISITI = utilizzare un’allegoria che si svolga per l’intero componimento.

 

Esempio:

 

Le note sono sette, di scala musicale:

Se ben vorrai suonare, ricerca l’equilibrio,

D’ognuna comprendendo essenza e ruolo.

 

Il Do nessuno mai potrà ignorare,

Ch’è giusto pur donarsi a chi ha bisogno;

Di certo non potrai sempre aspettare

Che l’altro ogn’or provveda, come in sogno.

Eppur non ignorar la distinzione

Sottile tra gentili e sprovveduti:

Chi dà comunque e sempre, a sé antepone

Quel che disprezza i suoi benigni aiuti.

Tra queste sette note, col Do iniziare è dolce,

Per render la ballata squisita e pur preziosa:

Ma d’una nota sola non v’è accordo.

 

Il Re tu di te stesso sii ogni giorno,

E non tiranno odioso al mondo esterno;

D’ogni passione e sogno mai lo scorno

Dovrai mostrar, neppure al crudo inverno.

Dispotico nemmeno col tuo cuore

Sarai, perché imbecille è imposizione

Che non fa nascer frutto dal dolore:

Severo dunque, mai senza ragione.

Se il Re sembra egoista, col Do s’innobilisce,

Rendendo ‘l ritmo fiero, grandioso e generoso,

All’altri attento e pure a sé fedele.

 

Sovente il Mi è mal visto e interpretato,

Confuso col mi piace e il mi difendo;

Intendo che non è così sbagliato

Di sé pensar qualcosa sia stupendo.

Piuttosto è ancor più vero che disprezza

Sé stesso sempre e solo, senza posa,

Quel che d’altri è invidioso, mai l’apprezza,

Né mai può condividere qualcosa.

Così che sia arricchita la dolce melodia

D’amor verso sé stessi, già mai oltre misura,

Che il Do pur non sovrasti e sostituisca.

 

Il Fa sia giusta guida mai tradita,

Che lesta pur l’azione alla teoria

Consegua come morte alla tua vita,

Temuta e necessaria, e così sia.

Ché già senza la pratica concreta,

Grammatica soltanto è vaneggiare,

Combattere con lorica di seta,

Discutere, ma senza dimostrare.

Il Fa sia luminoso, insieme all’altre note,

Prezioso componente di fiera sinfonia,

E l’altre irrobustisca vigoroso.

 

Il Sol d’in su quell’etere ammirando

Ogn’ora andrai, del limite mortale

Pur sempre l’importanza ricordando;

Ché l’uomo appare fragile animale,

Eppur è il sol che coglie la grandezza

Di tutta la maestà dell’universo,

E nella mente sua di tanta ampiezza

Si fa celebratore, il canto terso:

La giusta posizione in tal composizione

Col Sol potrai soltanto inver determinare,

Cosciente di mortale condizione.

 

E Là il passo volgendo ormai sicuro

Sarai già diventato un uomo attento,

Rivolto verso un nobile futuro,

Potrai pur contrastar qualsiasi evento.

Tu poni ‘l tuo orizzonte più lontano,

Di là dal fato avverso e ‘l caso immondo,

Sospira, taci e ascolta ‘l vento, piano,

Comprendi infine l’anima del mondo.

Più in Là sempre rivolgi, ancora e sempre oltre,

Non essere mai pago, e non crollar sconfitto:

È questa la natura dei migliori.

 

E il Si che spesso e ovunque ti confonde?

Si dice e pur si pensa tra la gente,

Che scomodo il dissenso ogn’or nasconde,

Rendendo l’individuo un molle niente.

Piuttosto grida contro le ingiustizie,

Ancor di più se ‘l mondo è cieco e sordo,

E non lasciare mai le tue delizie

Schiacciate coi tuoi sogni dall’ingordo.

Completa ed armoniosa sarà la tua canzone,

Col Sì gridato forte a vita ed al valore,

Vedrai che il tempo ti darà ragione.

 
 

Mario Famularo