Flaminia Cruciani

Flaminia Cruciani
 
 

Michele Paoletti intervista Flaminia Cruciani in occasione della pubblicazione Mondadori della poeta e archeologa romana. Laboratori Poesia e Samuele Editore sono orgogliosi di poter offrire questa anteprima assoluta.

 

Flaminia Cruciani, nata a Roma, è archeologa orientalista e analogista. Per lunghi anni è stata membro della “Missione archeologica italiana a Ebla” in Siria. Nel 2008 ha pubblicato Sorso di Notte Potabile, ed. LietoColle e nel 2015 Lapidarium, ed. Puntoacapo. Semiotica del male, edito da Campanotto, è del 2016, mentre del 2017 è Piano di evacuazione, Samuele Editore. Chora, un libro scritto a due mani con Ilaria Caffio, con la prefazione di Carlo Pasi, è del 2018, Spagine edizioni, Fondo Verri. Una sua antologia bilingue We were quiet in the same language, con la prefazione di Marco Sonzogni, sarà pubblicata nel prossimo ottobre da Gradiva Publications, New York. La stessa antologia bilingue, bulgaro/italiano, Мълчахменасъщияезик / Tacevamo nella stessa lingua, sarà pubblicata a Sofia nei prossimi mesi da Scalino Edizioni. Suoi testi letterari sono presenti in numerose antologie, italiane e straniere.

Nel 2017 Carlo Pasi ha scritto una monografia sul libro Semiotica del male: “Lo scavo dell’origine, Nota critica poetica su “Semiotica del male” di Flaminia Cruciani”, Petrarte Edizioni. Suoi testi letterari sono presenti in numerose antologie italiane e straniere. Alcune sue poesie sono state pubblicate nella rivista peruviana Vallejo & Co.

Insieme con altri poeti ha fondato e dirige il movimento culturale Poetry and Discovery. È membro dell’Académie Européenne des Sciences, des Arts et des Lettres di Parigi. In luglio parteciperà 28º Festival Internacional de Poesía de Medellín. É in uscita Lezioni di immortalità, nella collana “Strade blu”, con l’editore Mondadori.

 
 

Come nascono le tue poesie?

Scrivo per dare voce ai fantasmi che mi abitano, che mi visitano, che irrompono, ai miei “coinquilini”, a quelle forze del desiderio che s’imprimono in me come ostacoli, come tracce dell’invisibile, di abissi, di altri mondi o di altri universi.

Queste interferenze continuamente sfogliano le mie vene, sono satelliti inquietanti e irriducibili. Sono battiti obliqui, al di là del genere, che hanno una forza arcaica, a volte erosiva, che trapassano, oscillano e sacralizzano.

Come afferma Aristotele nel De Anima, il linguaggio è legato alla presenza di un fantasma. Attraverso la scrittura questi phantasmata si rivelano e la visione interiore oscurata si polarizza in un’immagine.

Il fantasma, la cui natura è discontinua, è un luogo del desiderio, che si addensa, si disgrega, luogo tragico, infernale e di beatitudine. Uno spettacolo inconscio vertiginoso e arroventato.

Ma questo “corpo” estraneo non è mai completamente estraneo, né mai completamente integrato. L’unico modo per oggettivarlo è la trasformazione alchemica in poesia. Come dice R. Char“Le poème est l’amour réalisé du désir demeuré désir (La poesia è l’amore realizzato del desiderio che resta desiderio).

Io credo che nasca tutto da lì ogni volta. Quando il baricentro si sposta su queste profondità fatali, in cui si prova a dare un nome all’innominabile.

In questo gioco di riflessioni, nella percezione di questo spettro errante che è intermittente, si riverbera, si assenta, riappare, interviene nel gioco dello specchio (speculum) l’immaginazione che sorveglia queste sensazioni e se ne innamora. L’eros è la chiave di tutto, il processo creativo è questo processo fantasmatico sui simulacri dell’intimo sentire. Trasformare l’ombra in inchiostro, l’intuizione fluttuante nella trasgressione della forma. “L’insubordinazione del fantasma” in un limite indeterminato, in materia fantasmabile, strappandola al silenzio.

C’è tutto un laboratorio segreto dello scrittore, un’officina rituale, a cui è difficile avere accesso. La poesia è l’esperienza estrema, per me, che nasce dalla musica, dal suono di certe parole, che m’impigliano, mi catturano e il mio arto fantasma smaschera per intonare la poesia. Dal silenzio il fantasma diventa musica.

Piano di evacuazione (Samuele ed. 2017) si apre con un’avvertenza al lettore: “Non sollecitare i versi con la ragione perché non possono essere sottoposti a un valore di carico della logica superiore a 0,025 gr/mq.”. Un libro che suggerisce di abbandonarsi ai versi, al potere evocativo della parola. É così?

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Piano di evacuazione si apre con un’avvertenza paradossale che invita il lettore a non usare la logica, perché i versi non possono sopportare un valore di carico neppure minimo. Piano di evacuazione è un libro paradossale, il paradosso è la formula unica adottata come cardine del libro, che meglio rappresenta l’inconsistenza e le contraddizioni del reale. Come ho spesso ripetuto nelle presentazioni, è un libro che nasce dopo una serie di studi durati anni. Che hanno riguardato la fenomenologia, il decostruzionismo, la fisica quantistica, le neuroscienze, la percezione visiva, la categoria del tempo i visual studies. Sono stati ambiti per me di studio intenso sin da quando ero molto giovane, perché io sono figlia di un ingegnere, che era anche un inventore, e quindi sono cresciuta in un ambiente stimolante in cui si ponevano molte domande anche sulla natura dell’esistenza. Piano di evacuazione è nato perché, dopo aver studiato una vita, credevo che finalmente mi sarei data delle risposte, invece più studiavo e più ero in grado di pormi domande migliori, ma non certamente di dare grandi risposte.  In particolare, dopo che mi sono specializzata in Discipline Analogiche, diventando analogista, ho compreso che tutto il paradigma, su cui m’interrogavo, è ulteriormente complicato dal nostro inconscio, che è un alter ego, il nostro doppio. Piano di evacuazione parla di questo limite interpretativo e conoscitivo della realtà. Recentemente,sul “Corriere della sera”, è stato definito un libro coraggioso, Franco Manzoni scrive: “l’autrice mostra un’innata predisposizione al coraggio nell’affrontare un tempo di nichilismo e invivibile realtà, dove dell’esistenza pericolante sembra non restare niente”. È un Piano di evacuazione dal reale, in cui cerco di dare risposte poetiche a quelle domande impossibili su cui mi sono interrogata una vita. Qui racconto la condizione pericolante dell’esistenza ,dove il “Piano di salvezza” è la poesia stessa.

È un libro con un impianto teorico stretto e forte, che mi rappresenta molto, potrei dire che è la mia autodafé, il mio atto di fede, la mia visione dell’esistenza per cui forse mi aspetto la condanna dall’inquisizione del reale.

Volevo scrivere un poemetto che fosse un esempio di decostruzionismo in poesia. Infatti, si rovesciano le gerarchie e gli appannaggi di potere, si sovvertono le opposizioni binarie,senza contrapporle. È una decostruzione del fallogocentrismo dominante, dell’imperialismo del pensiero logico-razionale del nostro mondo occidentale. Inoltre è un inno alla “différance”, al continuo differimento di senso. Perché in tutto il libro si pongono in causa i sensi, sia nostri che percepiscono, che il senso, il significato delle cose. E questi sensi sfuggono, scivolano, sono continuamente rinviati.

Come scrive Carlo Pasi su Piano di evacuazione: “La forma-poemetto scandita per intervalli di strofe ritmate, musicali, esprime il forte impatto della “fuga” anche secondo i canoni di Bach: esposizione e ripresa di temi che si rincorrono all’interno di uno schema prestabilito. Qui un “piano” che subisce continue sovversioni. Si assiste infatti a una deviazione, una rivolta – “il cuore è umano nella misura in cui si ribella”, (G. Bataille, La haine de la Poésie) nei confronti del linguaggio poetico della convenzione dominante. Sempre dall’angolo d’incidenza di G. Bataille, infatti, “evacua”, devia dalla consuetudine che aspira alla “bella poesia”; enuncia l’assillo intemperante, tenace di una “insensatezza” che la sospinge a delirare. Ma è un delirio concertato, una deriva secondo un “piano” pur sovvertito che si riallaccia al contesto musicale da cui nasce.”

 

Di Piano di evacuazione mi ha colpito anche l’ultimo testo, una vera e propria poesia futurista nella quale i versi e le parole crollano lungo il foglio. Ce ne vuoi parlare?

Il finale è il crollo annunciato in tutto il libro. È un gioco grammofonico, in cui il gramma, segno, e la phoné, suono, si contendono l’attenzione del lettore. Come la différence/différance. È un gioco derridiano.

È un libro a cui sono molto legata, è il mio progetto più complesso in cui è difficile orientarsi, anche perché ha vari livelli di lettura. Sta per uscire un saggio critico scritto da Carlo Pasi, dal titolo “La sovversione del pensiero, improvvisi su Piano di evacuazione di Flaminia Cruciani” con l’editore Idea Books. È un libro che spiega il labirintico Piano di evacuazione, in cui Pasi, con una critica dal linguaggio poetico, offre il filo di Arianna per orientarsi e trovare la strada, attraverso il confronto con alcuni autori, indicati come i complici con cui ho concertato il Piano:

“Oltre a Proust proporrei ibridazioni, proiezioni ed incroci con autori come Artaud, Bataille, Derrida, che in una sorta di complicità rovesciata, fossero loro a intonarla – la poesia di Flaminia Cruciani – come fantasmi che tentano di prolungarsi nel respiro-scrittura, attraverso altre voci prescelte fra le più congeniali.”

 

Sta per uscire il tuo ultimo lavoro, Lezioni di immortalità, con Mondadori. Vuoi raccontarci com’è nato? Com’è stato il percorso di scrittura?

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Questo libro ha una genesi particolare. È nato da un incontro speciale con una editor molto nota e molto brava: Mari Cristina Olati. Il mio libro Semiotica del male, edito da Campanotto nel 2016, era stato segnalato dal “Corriere della sera” come uno dei libri più belli dell’anno. Maria Cristina incuriosita, dopo averlo letto, mi contattò e ci incontrammo.  Mi disse che era rimasta colpita dalla mia scrittura e che desiderava capire se ci fosse la possibilità di intraprendere un progetto condiviso. Ci confrontammo diverse volte, le proposi tre temi e le inviai alcuni miei scritti. Lei scelse questo progetto poetico-archeologico. Come una veggente disse: “Potremmo intitolarlo Lezioni di immortalità, te la senti di scrivere queste lezioni? Aspetto le prime 80.000 battute entro il 23 settembre”. Lei già vedeva il libro, di cui mi aveva illustrato la sua idea di struttura.

Era giugno, stavo per andare in vacanza. Piano di evacuazione stava per essere pubblicato e dovevo lavorare alle bozze. Iniziai a scrivere i primi capitoli partendo dal titolo… ecco fra pochi giorni lo troverete in libreria.

 

Di cosa parla Lezioni di immortalità?

Io credo che l’archeologia abbia una sua poetica, questo libro vuole raccontarla, ed è una poetica del profondo, dell’esplorazione del nascosto, della discesa come metafora della conoscenza. Questa conoscenza è sempre una tensione cosmica, animata dal desiderio.

Se il lavoro del poeta è scuotere il cielo aspettando che qualche frammento cada, il lavoro dell’archeologo è scuotere la terra, senza imbarazzo del cosmo, aspettando che qualche frammento di cielo appaia.”

Cerco di mettere a fuoco e di raccontare questa poetica attraverso la mia esperienza di archeologa in Siria a Ebla, dove per molti anni ho partecipato alle annuali campagne di scavo della “Missione Archeologica Italiana”, diretta da Paolo Matthiae.

L’immortalità è l’aspirazione fondamentale dell’uomo, è la domanda impossibile che egli continua a porsi da millenni, alla quale può rispondere la poesia e l’archeologia. Queste Lezioni di immortalità naturalmente non sono quelle che io presumo di dare al lettore, ma quelle che ho ricevuto,come scrivo nella premessa:

desidero raccontare la lezione di immortalità ricevuta da questa terra primordiale, che è molto più di un luogo e merita di essere rivelata. Con le sue città millenarie che hanno resistito a tutto, e sopravvivranno ancora, e di quel deserto, vero o immaginario, simbolo del meraviglioso, del magico e del miracoloso che ebbe una parte così importante nel misticismo medievale orientale, con gli anacoreti, gli eremiti e con le sue rovine che ci benedicono.

Scrivendo questo libro sento che quel tempo vissuto e quelle terre amate non sono finiti e che la lezione di immortalità continua.

 

Recentemente sei stata ospite della ventottesima edizione del Festival Internazionale di Poesia di Medellín in Colombia. Un evento a cui hanno partecipato oltre cento poeti, pensatori, sciamani, artisti provenienti da tutto il mondo. Ci vuoi raccontare questa straordinaria esperienza?

Ho avuto l’onore di essere invitata quest’anno al Festival Internacional de Poesía de Medellín, che è il festival di poesia più importante del mondo. È stata un’esperienza memorabile, anche perché quest’anno era dedicato a “Poesia, sciamanesimo e canti originari”. Hanno partecipato sciamani provenienti da tutto il mondo, inaugurando l’evento con canti e rituali.

La cosa che fa molta impressione lì è la partecipazione del pubblico.

Ci sono migliaia di persone che vengono ad ascoltare la poesia, numeri simili a quelli di un pubblico da stadio o da concerto rock qui in occidente.

Fa impressione che vengano persone di ogni età, da bambini ad anziani con un entusiasmo e un’attenzione, un silenzio nell’ascolto, mai visti altrove. È accaduto molto spesso che dopo la lettura venissero a ringraziarmi, dicendo che le parole che avevano ascoltato erano state importanti per loro. In migliaia acquistavano la rivista Prometeo del Festival, in cui per ogni autore partecipante sono raccolte alcune poesie, una fotografia e la biografia. Mi chiedevano una dedica o di fare una fotografia insieme. L’emozione più grande è vivere questa cultura mitica, primigenia, il cui rapporto con l’invisibile è ancora forte, è un mondo che non ha perso la sua aura. Per questo la poesia è fondamentale per loro, perché rappresenta la voce degli dèi, una dimensione veritativa che attraverso il poeta si rivela. Questa dimensione magica, vivace e quotidiana, per me è stata una meravigliosa esperienza. Io che nel nostro occidente, che ha smesso di comunicare con il cosmo, mi sento così a disagio, lì fra gli sciamani, nel loro alone incantato, fra invocazioni degli spiriti,tecniche estatiche, mi sono sentita perfettamente a casa.

Inoltre, l’adesione di così tanti poeti, circa cento, da tutto il mondo è stata una straordinaria opportunità d’incontro e di confronto artistico. Ho avuto la possibilità di conoscere e ascoltare alcune voci poetiche straordinarie, come quella cristallina e meditativa del cinese Zhao Lihong, o quella irriverente, potente e spiazzante di George Mario Angel Quintero, un poeta nato a San Francisco che oggi vive in Colombia.

Nessun Festival al mondo vanta un’organizzazione simile.  Ogni poeta ha un interprete personale, che traduce simultaneamente, e un autista che lo accompagna nelle varie letture. Ho avuto l’onore di ascoltare i miei testi, tradotti in spagnolo da Mario Pera, interpretati dalla bravissima attrice colombiana Berta Nelly Arboleda Ruíz. Un gruppo di tanti giovani, gentili e simpatici, organizza e coordina tutto. I direttori del festival Fernando Rendón e Luis Eduardo Rendón sono uomini che vivono per la poesia, si comprende immediatamente che è la loro ragione di vita. Non ho mai visto un’adesione spirituale così forte e autentica alla poesia come quella dei Rendón.

Partecipando ho compreso il mito legato a questo Festival e perché è il sogno di ogni poeta essere invitato.

 
 
 
 
Partecipo al destino della materia
provo il mondo mi sta stretto
cammino fra pagine di fuoco a piedi nudi
 
l’attesa è desiderio incarnato
vertigine invisibile il passato
inopportuno il rumore del tempo
 
il funambolo alchemico origina dall’intimità
della luce, interpreta il dominio delle ali
saccheggia la fine in terra sconsacrata
 
è necessario il sangue, lo confesso
resto in carica, estranea, elevata al consenso
senza argomenti per allargare il vero
 
volo ancora nel mio atomo aereo
non è vero, forse, che possiamo intonare il mare?
Vieni, riposa nella mia tempesta
 
ti aspetto nel sonoro millimetro d’assenza condivisa
la chioma senza campo magnetico
computo della mia leggerezza millenaria
 
il midollo salato d’invisibile
libero il sangue in anemone alato
s’incurva d’assoluto la malinconia
 
cresco nelle diocesi dell’abbondanza
a radici svelate, ho ali spezzate d’infinito
non ho più tempio ma volto crescente a Dio
 
nel mio tuorlo maledetto, nell’essenza
spirituale della mia incompatibilità organica
battezzato alla mia lava sei libero dai contorni
 
quante verità sei in una? Abito dove urta
il tuo pensiero, nei miracoli in riserva
in datazioni di istanti impliciti
 
che cos’è rubare se non cedere al principio di località
al sovrapporre dell’avere
e ritrovarsi un mandato di causalità in mano
 
noi viaggiatori del nulla incoerente senza fermate
sostiamo in stazioni disabilitate, prendo la coincidenza
della funzione d’onda, del suo cifrario perfetto.
 
Facciamo quadrare i conti del visibile
detenuti nel positivismo a garanzie ostinate
infermi in feudi della certezza, nella tecnologia degli inganni
volare a piedi in topografie del cervello
dirottati dalla percezione della coscienza
pensieri verticali liberati in demoni
in quale difetto dell’universo mi attendi?
 
Il re è differenziale cieco
è risalire il secondo principio della termodinamica
fare l’acrobata su linee di infinito che cedono il passo
 
il limite è un pensiero messo alle strette
dalla paura che amministra il pericolo
ospite d’eccellenza della fuga
 
sbirciamo nella serratura dell’universo
nella sua ideologia arbitraria e insolente
come analfabeti autorizzati all’impresa
 
ho pensieri sfondati dai paradossi della normalità
come un angelo barbone in equilibrio sul presente
perché c’è più materia che antimateria?
Perché il verde è sacrificato al bosco
e le gocce alla pioggia
 
fondere con la fiamma il piacere alla sofferenza
qui c’è un verso che non c’è
ti caccio fuori dalle mie paure
 
chi ha poggiato l’universo sulla curvatura dello spaziotempo?
Chi ha ordinato l’alfabeto alle sue particelle elementari?
Un oste bendato, senza istruzioni per l’uso, con le unità semantiche in mano.
 
 

da Piano di evacuazione, Samuele Editore 2018

 
 
 
 

«L’archeologia è più affine alla poesia di quanto possiamo immaginare, si tratta in entrambi i casi di svelamenti, perché in un frammento si svela il mistero delle domande che ci abitano da sempre.» Flaminia Cruciani, poetessa e archeologa, ha fatto parte per diversi anni della Missione archeologica italiana a Ebla, in Siria. Con Ebla «gli italiani hanno scoperto una nuova lingua, una nuova cultura e una nuova storia» ha affermato Ignace J. Gelb, uno dei maggiori assiriologi americani del Novecento. Questo libro però non è un manuale di archeologia, e non è neppure un diario di viaggio o di avventure. È il racconto sincero e appassionato della più bella lezione di immortalità che Flaminia Cruciani abbia ricevuto dalla vita: l’archeologia in quella terra millenaria che è la Siria con la sua straordinaria gente. Dalla preparazione del viaggio all’organizzazione delle attività di scavo, dal rapporto con la popolazione locale alle numerose difficoltà della vita nel deserto, grazie a un linguaggio poetico e fortemente evocativo, l’autrice ci restituisce l’emozione di un lavoro tanto affascinante.

L’archeologo è un investigatore, nella ricerca sul campo indaga, procede all’indietro rispetto alla direzione del tempo per resuscitare, fra stratificazioni, un passato perduto. Se l’antico sopravvive attraverso le rovine, che sono l’opera d’arte della natura, e attraverso i reperti, l’archeologia forse è il momento supremo, il kairos, dell’immortalità. «Mi è sembrato importante scrivere questo libro adesso, perché l’archeologia è l’unico modo di comprendere il presente. Per non dimenticare la Siria, terra di prodigi originari.» Un racconto ricco di pathos, che riguarda ognuno di noi, dove l’attenzione è posta sulle nostre radici. Flaminia Cruciani ci ricorda infatti che nel Vicino Oriente sono nati i miti più antichi, come la Saga di Gilgameš, la prima riflessione della storia sul tema dell’immortalità, in cui all’eroe viene svelato il segreto della «pianta dell’eterna giovinezza». Che ancora oggi, dopo oltre quattromila anni, l’uomo non si è stancato di ricercare.

Per i mesopotamici il tempo passato figurativamente era ciò che stava di fronte, mentre il futuro era dietro le spalle. «Con questo libro» scrive Flaminia Cruciani «voglio restituirvi un tempo ritrovato, giovane, che inventa la vita.»

 
 

Dalla preview nel sito Mondadori su Lezioni di immortalità (Mondadori 2018)