E come il vento – L’Infinito, lo strano bacio del poeta al mondo – Davide Rondoni

E come il vento – L’Infinito, lo strano bacio del poeta al mondo - Davide Rondoni

Davide Rondoni, E come il vento – L’Infinito, lo strano bacio del poeta al mondo, Fazi 2019.

 

Dalla collina di Posillipo mi fermo con l’auto, scendo e osservo il golfo di Napoli. C’è vento e l’aria è tersa. Quante volte mi sono fermata a guardare il golfo da questo punto? Migliaia. Eppure mi fermo ancora. Ogni volta è uno spettacolo diverso, uno spettacolo al quale non posso restare indifferente. Succede lo stesso con questa poesia: L’Infinito. Quante volte abbiamo letto L’Infinito? Quante volte abbiamo masticato la parola “sempre”, l’abbiamo tenuta tra le labbra o l’abbiamo ripetuta nella mente a noi stessi? Eppure ogni volta che leggiamo questa poesia composta duecento anni fa, nel 1819, scopriamo qualcosa che ci era sfuggito: “si scopre sempre qualcosa”, ci avverte Davide Rondoni, allontanando l’idillio leopardiano dall’idea errata di semplice rapimento momentaneo o di non si sa quale naufragio. Perché siamo ancora qui a chiederci cosa sia l’infinito, che cos’è questo “luogo” e perché abbiamo necessità di sperimentare il senso della infinitudine, noi che – umani – siamo stati capaci di contare tutto, di limitare o delimitare tutto, con la mente e non solo. Queste sono le domande che si pone Rondoni quando comincia un altro viaggio nella poesia di Leopardi. Infinito è quando facciamo i conti con la dis-misura. Quando non ci basta la misura. Per questo, visto che il reale non è solo quello che riusciamo a misurare o a prevedere, per “naufragare dolcemente” dobbiamo restare nel luogo non altrove dalla poesia.

“Il luogo che non è altrove dalla poesia può trovarsi ovunque. È il luogo dell’avvenimento del mondo. È lo spazio esteriore e interiore dove si presenta con più evidenza l’avvenimento del mondo, la natura del mondo come evento”. È chiaro che – in base a questa lettura – l’infinito non fa a botte con il razionale. Non è né una semplice illusione e neanche una lotta contro la ragione. L’infinito non è un rifugio: “l’infinito non è lo smisurato inteso come incalcolabile, ma è il profondo inteso come fonte inesauribile, ritmica del vivente”. Una fonte da cui attingere e che fa parte di noi, del nostro essere umani e quindi desiderosi, speranzosi. Anche Leopardi è un uomo. Un giovane uomo che si siede e medita, il giovane uomo che comincia la celebre poesia con “sempre”.

E da quella parola si capisce tutto.

Nella seconda parte del saggio Rondoni si dedica alla sua lettura de L’Infinito. Il momento del sedersi e mirare di fronte al mare potrebbe inizialmente far pensare a movimenti oppositivi: da una parte Leopardi meditabondo, dall’altro lato il mare. Ma non è forse vero che l’atto della meditazione, della riflessione, innesca un movimento? Interessante questa lettura di Rondoni legata al corpo, come se l’organismo della visione fosse un vero e proprio movimento. Perché si avveri ovvero si inneschi il meccanismo della visione ci si deve concentrare. C’è sempre come un canto che arriva da lontano e parlarne lo fa risuonare. Proprio questa voce fa sì che si possa oltrepassare lo “spauramento”, grazie a una diversa disposizione dell’animo, disponibilità a naufragare nell’immensità. “È in gioco, insomma, una prodigiosa conoscenza del tempo, che si fa luogo dell’infinito. In un cortocircuito prodigioso, l’esperienza solitamente segnata dalla misura (il tempo) diviene invece esperienza che eccede la misura e dell’infinito”. Ciò che colpisce della lettura di Rondoni è il legame che lui stesso intravede tra infinito e consapevolezza: un abbandono dolce non più spaurato.

 

Melania Panico