Costantino Kavafis

Costantino Kavafis

 
 

In Costantino Kavafis (1863-1933) vi sono cose salienti, come la ritrosia a pubblicare, l’omosessualità, il tardo esordio, la lingua. Diceva: “Io sono di origine costantinopolitana, ma nato in Alessandria d’Egitto, in una casa della via Cherif. Me ne andai di là che ero ancora bambino, e molta parte della mia infanzia la passai in Inghilterra. Più in avanti visitai ancora quel paese, ma per poco. Soggiornai anche in Francia. Adolescente, passai più di due anni a Costantinopli. In Grecia è da anni che non vado più. Il mio ultimo impiego è stato presso un ufficio dipendente dal ministero egiziano dei lavori pubblico. Parlo l’inglese, il francese e un poco l’italiano. Ma la mia lingua è il greco.” L’italiano lo studiò per leggere Dante in lingua originale, come succede a tanti poeti. Trovo in exergo la dichiarazione in “Il sole del pomeriggio, per la traduzione di Tino Sangiglio e Paolo Ruffilli. (Introduzione di Paolo Ruffilli per la Biblioteca dei leoni, 2014, da cui abbiamo tratto tre poesie inedite più il must che caratterizza Kavafis Per quanto puoi: che è anche in copertina dell’einaudiano Settantacinque poesie (1992) dove Nelo Risi parla di “materialità ridotta a pura trasparenza”.

Ponderoso invece il libro della serie Un secolo di poesia del Corriere, a cura di Filippomaria Pontani, (2011) che ha in quarta di copertina il must Per quanto puoi. Le tre traduzioni differiscono in più punti. Scrive Filippomaria Pontani: “Kavafis vota il suo ingegno e la sua anima a indagare l’essenza della precarietà: la precarietà di un regno ellenistico come quella del piacere goduto la notte scorsa, la precarietà dell’impero bizantino come quella della poesia fin-de-siècle, la precarietà degli ideali ellenici come quella della poesia che si scrive, la precarietà di Marco Antonio, l’ultima sera ad Alessandria, come quella della nostra vita, delle nostre candele ancora provvisoriamente accese”. Su tutto il monito ancora valido: non sciupare la vita.

Pierangela Rossi

 
 
 
 
Per quanto puoi
 
E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.
 
Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.
 
 
 
 
 
 
Voci
 
Care voci familiari,
di quelli già scomparsi, di quelli
per noi perduti come i morti.
 
Talvolta ci parlano nei sogni,
e la mente le sente talvolta tra i pensieri.
 
Tornano un attimo con il loro suono
– echi al rimbalzo del primo farsi della vita –
come musica che si perde lontano nella notte.
 
 
 
 
 
 
In chiesa
 
Amo la chiesa con le immagini dei santi,
l’argento dei corredi, le luci,
i candelabri, il pulpito, le icone.
 
E appena entro nella chiesa greca,
tra i profumi dell’incenso,
i canti e le armonie liturgiche,
la maestà dei pope e quel solenne
ritmo di ogni gesto – il gran fulgore
intenso dello sfarzo di tutti i paramenti –
la mente mi trasporta alle splendide virtù
di questa stirpe, la gloriosa nostra era bizantina.
 
 
 
 
 
 
Nella bottega
 
In bell’ordine con cura li avvolgeva dentro
la preziosa seta verde, nella sua bottega.
 
Fa da rubini rose. Gigli da perle
e viole da ametista. Come li pensa,
 
così li vuole, così li vede belli, non come
li studio in natura un tempo. Li chiude in cassaforte,
 
prove del suo lavoro audace e accorto.
E, se un cliente si affaccia alla porta,
 
estrae da vendere altre cose (magnifici
gioielli):  bracciali, catenine, collane e anelli.