Come fibre sottili di una trama incerta e sconosciuta – Ilaria Amodio

 
 
E mi trafigge
questo silenzio
che dice e non dice
 
dei cocci sparsi in terra,
parole taglienti, rischiose
e l’eco frusciante
della vita che non abbiamo vissuto.
 
La porta che hai socchiuso
è rimasta inerme
e con essa il suo mondo
 
le possibilità, i sapori
le trame, gli agguati.
 
Scegliere è un privilegio
eppure, a volte, una condanna
allo stesso tempo
 
non sapremo mai
dell’altra esistenza
scartata, ma ne avvertiremo
le onde e le maree
del fiume che scorre parallelo
e ad ogni istante ci accompagna.
 
 
 
 
 
 
Dal finestrino del tram
immagino la storia dei passanti
dietro gli sguardi, le strette di mano
i sentieri e i bivi
ricamati nelle loro vite.
Le nostre si intrecciano
come fibre sottili
di una trama incerta
e sconosciuta, spiragli di luce
attraversano il groviglio
di persone, si posano sui volti
di chi è alla fermata
in attesa come le scritte sui muri.
E io vorrei solo afferrare la tua mano
con un balzo saltare
dal tram, come nelle vecchie pellicole
e non staccarmi da quelle tue dita
che chiamano a restare
a cucirmi nel tuo sguardo e abitarlo
per una breve eternità.
 
 
 
 
 
 
La nostalgia per il mondo
va e viene come una marea
di vite che ci abitano e vite
che non abbiamo vissuto
storie che furono e più non sono.
Popoli migranti si mescolano
a società nuove
i padri lasciano le nostre mani
se ne vanno per terre straniere
aspetto che germogli un fiore
su questo palmo
che si apra in benedizione
verso l’Altro
lasciarvi cadere ogni possibilità
minuscoli granelli di sabbia
che così sarebbe stato
che avresti comunque preso
la mia mano.
 
(Ilaria Amodio, inediti)
 
 

Il sottile turbamento della possibilità, che si insinua come un’inquieta consapevolezza della perdita, traspira nelle parole di Ilaria Amodio, che insiste sul considerare le innumerevoli alternative esistenziali che si dipanano ad ogni minima scelta, quotidiana o decisiva che sia. La scelta, dunque, vissuta sia come libertà che come condanna ad essere liberi di scegliere, essendo responsabili per ogni cosa – tranne per questa stessa responsabilità, richiamando il pensiero di Sartre.

Nel primo testo si presenta immediatamente l’opposizione tra un “silenzio / che dice e non dice” e “parole taglienti, rischiose” – che accompagnano solo a un esito, escludendo la “vita che non abbiamo vissuto” e una “porta … e con essa il suo mondo”. L’autrice lo evidenzia: “dell’altra esistenza / scartata … non sapremo mai”, anche se “ne avvertiremo” il “fiume che scorre parallelo” e “ci accompagna”.

Non vi è una patina di angoscia esistenziale, di noia o di nausea, ricollegandosi all’esistenzialismo prima citato, ma, piuttosto, una certa serenità, che si riflette sul dettato e sui suoi tempi.

Nel secondo testo la riflessione sulla scelta si proietta su “la storia dei passanti / dietro gli sguardi”, arrivando a immaginare “i bivi / ricamati nelle loro vite”. Tale riflessione porta alla consapevolezza delle proprie, e in particolare agli affetti del presente, al gesto corporale (“vorrei solo afferrare la tua mano / con un balzo saltare … e non staccarmi”) con una scelta determinata di “cucirmi nel tuo sguardo e abitarlo”: è quindi il contatto con l’altro da sé, nel groviglio delle possibilità, la vera prospettiva di direzione e di senso nella visione della Amodio.

Ce lo conferma nel terzo testo: “la nostalgia per il mondo” (e questo dolore per il ritorno, in qualche modo, fa pensare alle riflessioni sulle alternative perdute, sulle scelte che le hanno escluse) “va e viene come una marea / di vite che ci abitano e vite / che non abbiamo vissuto / storie che furono e più non sono”: insieme a ciò che non è mai stato si mescola ciò che è stato e non è più (si potrebbe pensare alla saudade), in un mosaico di provvisorietà, transitorietà e possibilità, che non fa che incorniciare con maggiore energia il valore prezioso dell’attimo presente e del gesto che lo trattiene (e difatti, nella chiusa, ciò è confermato da un “avresti comunque preso / la mia mano”).

Tale sentimento, nuovamente, viene trasfuso a “popoli” e “società”, essendo comune all’universalità degli uomini; l’autrice infine conferma che la possibilità che “germogli un fiore” è strettamente collegata alla “benedizione / verso l’Altro”, in cui bisogna lasciar “cadere ogni possibilità”.

Accogliendo l’altro da sé, infatti, è possibile seminare i germogli di un altrettanto accogliente possibilità di senso, nella speranza fiduciosa di un “così sarebbe stato”, in una sottile trama di correlazioni tra il valore ultimo delle proprie scelte e la corrispondenza delle loro conseguenze sul reticolato del proprio esistere.

Mario Famularo