Che piova la tenerezza – Antonio Nazzaro

Che piova la tenerezza - Antonio Nazzaro

Foto Sandra Uribe Pérez

 
 
 
 
Che piova la tenerezza
sulle ciglia semichiuse
di questa mattina
che respira appoggiata
al cuscino
 
 
 
 
Se fossi qui
smetterei la poesia
ma tu mi abbandoneresti
e non sarebbe solo la morte
a separarci
 
 
 
 
Avremo amori da scartare
come un pacco regalo o un frutto oramai andato
ma avremo amore
da dire da fare da guardare
e una carezza tenera
a spogliare l’alba
del sole
 
 
 
 

In questo piccolo esempio di testi inediti di Antonio Nazzaro emerge, a lato del suo impegno testimoniante già ampiamente visto (e apprezzato) negli editi (si veda la recensione al suo Amore migrante e l’ultima sigaretta, qui), uno dei temi e dei toni più cari all’autore. La relazione amorosa, intesa non solo come ipotesi sentimentale ma soprattutto come possibilità comunicativa tra gli esseri umani.

Un’ipotesi continuamente cercata, tale corrispondenza d’intelletti e necessità di sentirsi umani e vivi, che dichiara senza mezzi termini il proprio bisogno dell’altro in quanto vita e presenza, in quanto parte di mondo con cui ci si può relazionare.

In una realtà che vive una profonda crisi sociale e politica infatti (e si presti particolare attenzione a questo aspetto, perché non si parla di una crisi lontana da noi, ma di una realtà che già è apparsa nella nostra ma ancora non ce ne siamo accorti, addormentati come siamo da una vecchia eco residuale di ricchezza, ormai quasi grottesca, soprattutto a livello umano) è inevitabile infatti che la relazione e il bisogno della relazione si sposti da un piano sociale a uno più privato.

Ma tale spostamento non va inteso come una fuga dalla realtà, come un voltarsi dall’altra parte per ignorare il problema contingente, ma come un portare all’interno di un’umanità più accessibile (tale è il rapporto io/tu) la crisi sociale e politica inaffrontabile.

Perché in Antonio Nazzaro l’amore è di fatto un atto politico nel momento in cui intendiamo l’umanità come un macro stato dove in alcune zone (noi diremmo, sempre per cercare di non affrontare la vera questione, in alcuni luoghi) la vera crisi ha acquisito consapevolezza e in altri ancora no.

Un atto politico dalla disperata tenerezza che chiede l’altro, che chiede all’altro non solo di esistere ma di r-esistere. Perché se l’altro è allora è anche l’io, la relazione umana, e la possibilità dell’umano.

L’apparente semplicità che esclude immagini elaborate, che non intende colpire il lettore con violenza (basti quella del mondo), in realtà è un ulteriore approccio politico all’uomo in quanto tale. È un chiedergli, per bisogno altrettanto umano, di tornare chiaro e pulito nella consapevolezza che la crisi nasce dalla complessità. Complessità politica, burocratica, relazionale, dove si crea quel vuoto che è distanza e nel quale un poeta non può che ritagliarsi piccole sacche di resistenza e canto, intendendo il canto come un rapporto simile a una preghiera dell’io al mondo.

Anche quando Antonio Nazzaro sembra rivolgersi a una singola donna in realtà parla al mondo. Un mondo fatto di uomini e donne. E del bisogno che questi continuino ad essere.

Alessandro Canzian