Cesare Pavese


 
 

“C’è un giardino chiaro, fa mura basse, / di erba secca e di luce, che cuoce adagio / la sua terra. E’ una luce che sa di mare. / Tu respiri quell’erba. Tocchi i capelli / e ne scuoti il ricordo. /Ho veduto cadere / molti frutti, dolci. Su un’erba che so, / con un tonfo. Così trasalisci tu pure / al sussulto del sangue. Tu muovi il capo / come intorno accadesse un prodigio d’aria / e il prodigio sei tu. C’è un sapore uguale / nei tuoi occhi e nel caldo ricordo. “ sono i bellissimi versi sulla copertina di “Cesare Pavese. Lavorare stanca. Introduzione di Vittorio Coletti”

Nell’introduzione Vittorio Coletti mette a confronto Ungaretti e Pavese. Non si possono immaginare due poeti più diversi. Lavorare stanca (con le poesie censurate) è il laboratorio di scrittura dei romanzi. Perché lavora sul racconto, sul raccontare. Anche Torino è qui e segna la distanza della solitudine con la realtà. Il libro è del 1998, ristampato da Einaudi nel 2001.

Pierangela Rossi

 
 
 
 
Gente spaesata
 
Troppo mare. Ne abbiamo veduto abbastanza di mare.
Alla sera, che l’acqua si stende slavata
E sfumata nel nulla, l’amico la fissa
E io fisso l’amico e non parla nessuno.
Nottetempo finiamo a rinchiuderci in fondo a una tampa,
isolati nel fumo, e beviamo. L’amico ha i suoi sogni
(sono un poco monotoni i sogni allo scroscio del mare)
dove l’acqua non è che lo specchio, tra un’isola e l’altra,
di colline di verde sul piano del mare.
Le colline mi vanno, e lo lascio parlare del mare
Perché è un’acqua ben chiara, che mostra persino le pietre.
 
Vedo solo colline e mi riempiono il cielo e la terra
con le linee scure dei fianchi, e striate di vigne
faticose sul suolo bruciato. L’amico le accetta
e le vuole vestire di fiori e di frutti selvaggi
per scoprirvi ridendo ragazze più nude de frutti.
Non occorre: ai miei sogni più scabri non manca un sorriso.
Se domani sul presto saremo in cammino
Verso quelle colline, potremo incontrar per le vigne
Qualche scura ragazza, annerita di sole,
e, attaccando discorso, mangiarle un po’ d’uva.
 
(1933)
 
 
 
 
 
 
Paesaggio
 
Tra la barba e il gran sole la faccia va ancora,
ma è la pelle del corpo, che biancheggia tremante
tra le toppe. Non basta lo sporco a confonderla
nella pioggia e nel sole. Villani anneriti
l’han guardato una volta, ma l’occhiata perdura
su quel corpo, cammini o si accasci al riposo.
 
Nella notte le grandi campagne si fondono
In un’ombra pesante, che sprofonda i filari
E le piante: soltanto le mani conoscono i frutti.
L’uomo lacero pare un villano, nell’ombra,
ma rapisce ogni cosa e i cagnacci non sentono.
Nella notte la terra non ha più padroni,
se non voci inumane. Il sudore non conta.
Ogni pianta ha un suo freddo sudore nell’ombra
e non c’è più che un campo, per nessuno e per tutti.
 
Al mattino quest’uomo strascicato e tremante
sogna, steso a un muro non suo, che i villani
lo rincorrono e vogliono morderlo, sotto un gran sole.
 
Ha una barba stillante, di fredda rugiada
e tra i buchi la pelle. Compare un villano
con la zappa al collo, e s’asciuga la bocca.
Non si scosta nemmeno, ma scavalca quell’altro:
un suo campo quest’oggi ha bisogno di forza.
 
(1934)
 
 
 
 
 
 
Disciplina
 
I lavori cominciano all’alba. Ma noi cominciamo
un po’ prima dell’alba a incontrare noi stessi
nella gente che va per strada. Ciascuno ricorda
di esser solo e aver sonno, scoprendo i passanti
radi – ognuno trasogna fra sé,
tanto sa che all’alba spalancherà gli occhi.
Quando viene il mattino ci trova stupiti
a fissare il lavoro che adesso comincia.
Ma non siamo più soli e nessuno più ha sonno
e pensiamo con calma i pensieri del giorno
fino a dare in sorrisi. Ma a volte un pensiero
meno chiaro – un sogghigno – ci coglie improvviso
e torniamo a guardare come prima del sole.
La città chiara assiste ai lavori e ai sogghigni.
Nulla può disturbare il mattino. Ogni cosa
può accadere e ci basta d alzare la testa
dal lavoro e guardare. Ragazzi scappati
che non fanno ancora nulla, camminano in strada
e qualcuno anche corre. Le foglie dei viali
gettan ombre per strada e non manca che l’erba,
tra le case che assistono immobili. Tanti
sulla riva del fiume si spogliano al sole.
La città ci permette di alzare la testa
A pensarci, e sa bene che poi la chiamiamo.
 
(1934)