Carte da sandwich – Attilio Lolini


Alcuni giorni fa ero a Pordenone a parlare con un amico libraio il quale, per spiegarmi dei retroscena della cittadina di qualche anno fa, ha fatto l’esempio di una critica a un noto politico italiano che suona più o meno così: a certe persone non puoi chiedere di provare vergogna, perchè la vergogna è per loro un concetto estraneo. Queste persone sono talmente convinte di essere nel giusto, e si chiudono nella loro convinzione, che qualunque cosa facciano si considerano a prescindere dalla parte della ragione. Ho trovato questo stesso concetto poeticamente espresso in Carte da Sandwich di Attilio Lolini (Einaudi 2013). Lo stesso Lolini in una sua poesia afferma senza vergogna / son diventato carogna.

Una poesia questa che devo ammettere non sono stato in grado di apprezzare subito. Ma quando l’ho riletta, sopratutto alla luce della citazione del mio amico libraio, ho veramente colto molte sfaccettature e verità messe qua e là tra rime e assonanze che alla prima lettura mi erano fuorvianti. Sopratutto ho apprezzato il peso della parola che oltre il dato giocoso è sempre misurata e ben scelta, accorta.

Versi come In questo museo / di porcherie / che visito (occidente) / peccatore redento / del passato mi pento oppure accade sempre più spesso / che uno incontri / il proprio cadavere / ci vada a letto / e lo tenga / ben stretto / al calduccio restituiscono appieno tutta la drammaticità delle cose e delle persone, delle loro piccolezze e meschinità.

Ma perchè le cose sono meschine? Perchè le cose sono piccole? Perchè le cose badano a trasformarsi / in altre cose, fogli / piccoli scarafaggi / dalla dura corazza / stanno sul davanzale. E le persone parimenti hanno gentili parole / in cui credemmo / volano leggere / poi cadono sui rami / pendule a irridere / oggi e domani. Uno sguardo disincantato sul mondo e le falsità prive del concetto di vergogna di cui all’inizio di questo articoletto. Sguardo che Lolini traduce senza disperazione ma con rassegnazione portando anche la poesia alla medesima inutilità: la poesia abita / una vecchia culla / nasce felice / se non dice nulla.

Una delusione e una sconfitta umana che chiede chiusura, negazione di tutto: se dicono: alzati! / cacciati sotto le lenzuola / rientra nelle trasparenze / di pareti nude dove sconfitti / stanno i desideri. Al lettore il giudizio su tale posizione che, oltre ogni dubbio, affonda le sue ragioni su una realtà vissuta e direi abbastanza riconoscibile da ognuno almeno qualche volta nella vita.

Personalmente, pur apprezzando l’intelligenza dell’autore, devo ancora confessarmi fiducioso nella bontà delle persone. Spesso infatti le meschinità e le cattiverie sono frutto di situazioni difficili e difficilmente gestibili. E la mancanza di vergogna un’impossibilità concreta di capire le conseguenze delle proprie azioni sugli altri (e in mancanza di consapevolezza anche la responsabilità si riduce di molto). Che fanno capire ad esempio perchè il termine cattivo derivi dal latino captivus che non significa malvagio, ma imprigionato (si pensi al termine cattività). Un essere imprigionato in qualcosa che non è il sé, e che non rappresenta tutta l’essenza del sé.

Oltre a questo vorrei considerare anche un altro aspetto fondamentale nella poesia. Ci sono già ambiti della vita in cui si deve per concetto pensare male degli altri, prepararsi al peggio delle persone. Il poeta dovrebbe invece mantenere la fiducia nel genere umano, nelle persone. Perchè la poesia altro non è che un atto d’amore verso il mondo anche quando tutto sembra contro. Se non fosse così avrebbe ragione Lolini a dire non chiedere perchè / siamo qui / senza conoscere alcunché / carichi del peso / di cose senza nome.

Ma allora, dove andremmo?

Alessandro Canzian