Cactus – Panico/Anatrella

Cactus - Panico/Anatrella
 
 

Cactus di Melania Panico e Matteo Anatrella (Gechi Edizioni 2018).

Accostare poesia e fotografia è quanto di più rischioso può tentare un artista. Se poi le teste da accordare sono due ecco che il pericolo sale esponenzialmente muovendosi in un doppio terreno minato. Il binario, quella trave di ferro apparentemente illimitata che rappresenta l’esperienza e l’espressione di un individuo, qui si duplica in due esperienze ed espressioni mantenendosi comunque parallele e comunicanti. E in questo modo, rimanendo all’interno della metafora, permette al lettore/treno di poter essere portato in quel luogo all’apparenza infinitamente distante che è il messaggio artistico.

 
 
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Perché l’arte, quando ben riuscita, non dice chiaramente nulla ma fa sentire. Evoca, suggerisce dove andare senza effettivamente accompagnare mano nella mano il lettore. Sarebbe una forzatura, una violenza. Non esistono verità assolute così come non esistono destinazioni assolute. L’arte indica la strada, cosa si troverà o non si troverà al termine del viaggio concerne più il lettore che l’artista.

 
 
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In questo libriccino, Cactus, con poesie di Melania Panico e fotografie di Matteo Anatrella, troviamo due modalità espressive apparentemente diverse ma, a uno sguardo più attento, ricche di punti in comune. Sono ambedue linguaggi piani (per quanto chi vi scrive sappia ben poco di fotografia), chiaroscurali ma senza intendere il bianco e nero delle immagini. Sono linguaggi che hanno uno stile soffuso, non aggressivo, lineare e in qualche modo riflessivo.

 
 
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Nei versi di Melania manca quasi totalmente la frattura del verso nella direzione di un dire silenzioso che non va a minimizzare la drammaticità e l’intensità del contenuto, anzi lo rafforza: Lui era lì / con la bocca raccolta e muta / disposto a sacrificare l’equilibrio / per una venatura di clorofilla / si è aperto alla promessa / di ricucire la ferita. A cui fanno eco uno dei versi più belli ma anche più inquieti della raccolta: Certi passati spaventano anche da seduti, e uno dei versi più evocativi: ora in cielo la degenza della notte.

 
 
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Non un dialogo ma un unisono, questo Cactus di Melania Panico e Matteo Anatrella, tutto giocato su ombre e luci della vita e del paesaggio in una complementarietà che non è accostamento della diversità ma armonia delle somiglianze. Non solo un libro di poesie quindi né solo un libro di fotografie ma un vero e proprio oggetto di bellezza e stile.

 

Alessandro Canzian

 
 
 
 
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Alcune poesie da Cactus
 
 
 
 
Lui era lì
con la bocca raccolta e muta
disposto a sacrificare l’equilibrio
per una venatura di clorofilla
si è aperto alla promessa
di ricucire la ferita
con mani strette a pugno
mentre il tonfo del secolo
scuoteva insieme viso e suolo
la terra trema costretta
rinasce il giorno in lacrime orizzontali
grigio inebetito
posa le dita sulla fronte di una vite
può grattarne via l’odore
contemplare il rischio di una rinascita.
 
Sul solco che riconduce a casa
si affretta l’uomo che sa aspettare.
 
 
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Del ricordo intendo un verso a respingere
soluzione a tutte le corde spezzate
il giardino che si nasconde nei vetri
e le cose ancora da dire
dell’andare intendo la forza
i pugni di una farfalla ragazza cicatrice
costrizione di palpebre fraintese 
 
faceva il passo di uno scricciolo 
faceva il suono di un rantolo 
la bambina da poco
 
intorno al ventre sottile 
un cerchio di luce
le mani svuotate nella faccia
la ricerca delle questioni grandi.
Vorrebbe gridare il suo equilibrio, ora 
dire c’ero a sussurrare vittoria. 
 
Certi passati spaventano anche da seduti.
 
 
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Scelgo un bar a caso il momento sbagliato
piango ascoltando musica da spotify
le medicine danno alla testa
tutto l’acciaio e poi le lacrime facili
il salmone in forno e l’acqua bollente della doccia
i capelli perdono colore noi cosa abbiamo perso?
io non dimentico niente non dimentico niente
metto su un film brutto. STOP. Ne metto un altro
lo chiudo tossisco e fumo e anche così
non me la ricordo la strada di casa so che è vicina
ma forse è una sensazione sbagliata
come quando ho scelto il bar e tu non c’eri più
 
 
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